Perchè il secondo libro dell’Eneide mi ha sempre affascinato tanto? Credo per la capacità di Virgilio di coinvolgere emotivamente il lettore nel racconto della distruzione di Troia. Era un evento evitabile: bastava seguire il buon senso di Laoocoonte. Come si fa a credere che i Greci se ne siano andati, che in quel cavallo, costruito sicuramente da uno degli uomini più astuti del mondo, Ulisse, non si celi un inganno?
Non possiamo non stupirci e, al tempo stesso, indignarci perchè in guerra dovrebbero vincere non i più astuti, ma i più valorosi e soprattutto, gli aggrediti e non gli aggressori. Eppure noi assistiamo, momento per momento, alla rovina di uomini che si scavano la fossa con le proprie mani, e lo fanno lietamente! Quante volte è successo nella storia! Almeno, per Omero, a determinare tutto c’era il Fato, a cui non ci si poteva opporre. Oggi non abbiamo più neppure quello.
“Orsù, comincia da principio, ospite, e raccontaci
le insidie dei Danai e le sventure dei tuoi
e il tuo errare. Infatti, questa è la settima estate
che ti porta errabondo per tutte le terre ed il mare” (Virg, Eneide I 753 – 756)
Chiunque abbia letto l’Iliade sa che, nonostante il titolo, il poema di Omero non si conclude con la presa di Troia, ma con i ludi funebri in onore di Patroclo ed il riscatto del cadavere di Ettore.
Neppure l’Odissea lascia spazio al racconto dell’inganno dei greci, attraverso lo stratagemma del cavallo di legno, progettato proprio dal protagonista del poema, Odisseo; anzi, quando il laerziade si trova a dover raccontare ai Feaci la sua storia, in un episodio molto simile a quello di Enea alla corte di Didone, inizia semplicemente così:
Ora ti racconterò il mio ritorno travagliato,
che Zeus mi inflisse, mentre partivo da Troia.
Da Ilio il vento, sospingendomi, mi avvicinò ai Ciconi… (Hom, Od., IX 37 – 38)
Ma, allora, in quale testo si leggono i racconti relativi alla falsa partenza dei greci e al cavallo di Troia? Quali opere raccontano tutto quello che sappiamo della terribile ultima notte di Ilio? In parte si tratta di informazioni che ricaviamo dalle tragedie greche, come, ad esempio, le Troiane di Euripide, in parte si tratta proprio della narrazione di Enea, nel corso del secondo libro, che ci accingiamo a leggere.
Il libro è in parte riassunto e in parte tradotto. Lascio il testo latino, perchè nessuna traduzione può rendere la bellezza dell’originale, di cui è bello anche assaporare il suono.
Enea comincia a narrare a Didone la sua storia (vv. 1-9)
Conticuere omnes intentique ora tenebant
inde toro pater Aeneas sic orsus ab alto:
Infandum, regina, iubes renovare dolorem,
Troianas ut opes et lamentabile regnum
eruerint Danai, quaeque ipse miserrima vidi
et quorum pars magna fui. quis talia fando
Myrmidonum Dolopumve aut duri miles Ulixi
temperet a lacrimis? et iam nox umida caelo
praecipitat suadentque cadentia sidera somnos.
sed si tantus amor casus cognoscere nostros
et breviter Troiae supremum audire laborem,
quamquam animus meminisse horret luctuque refugit,
incipiam.
Tacquero tutti e tendevano, intenti, il loro volto. Dal suo trono elevato il venerabile Enea cominciò: ” O regina, tu vuoi che io rinnovi un dolore che non può essere narrato, che io racconti di come i Danai distrussero la grande e misera potenza di Troia. Cose che io vidi coi miei occhi e di cui fui parte. Neppure i Mirmidoni , o i Dolopi, o i soldati del crudele Ulissie potrebbero, raccontando questa storia, astenersi dalle lacrime! E già la notte precipita dal cielo e le stelle, scivolando sul loro percorso, invitano al sonno. Ma se è tanto grande il tuo desiderio di sapere cosa ci è accaduto e quale sia stata la fine angosciosa di Troia, sebbene l’animo inorridisca nel ricordare e vorrebbe fuggire dal dolore, comincerò a raccontare.
(mia traduzione. non troppo libera)
L’inganno del cavallo , l’arrivo di Laocoonte
Fracti bello fatisque repulsi
ductores Danaum tot iam labentibus annis
instar montis equum divina Palladis arte 15
aedificant, sectaque intexunt abiete costas;
votum pro reditu simulant; ea fama vagatur.
huc delecta virum sortiti corpora furtim
includunt caeco lateri penitusque cavernas
ingentis uterumque armato milite complent.
est in conspectu Tenedos, notissima fama
insula, dives opum Priami dum regna manebant,
nunc tantum sinus et statio male fida carinis:
huc se provecti deserto in litore condunt;
nos abiisse rati et vento petiisse Mycenas.
ergo omnis longo soluit se Teucria luctu;
panduntur portae, iuvat ire et Dorica castra
desertosque videre locos litusque relictum:
hic Dolopum manus, hic saevus tendebat Achilles;
classibus hic locus, hic acie certare solebant.
pars stupet innuptae donum exitiale Minervae
et molem mirantur equi; primusque Thymoetes
duci intra muros hortatur et arce locari,
sive dolo seu iam Troiae sic fata ferebant.
at Capys, et quorum melior sententia menti,
aut pelago Danaum insidias suspectaque dona
praecipitare iubent subiectisque urere flammis,
aut terebrare cavas uteri et temptare latebras.
scinditur incertum studia in contraria vulgus.Primus ibi ante omnis magna comitante caterva
Laocoon ardens summa decurrit ab arce,
et procul ‘o miseri, quae tanta insania, cives?
creditis avectos hostis? aut ulla putatis
dona carere dolis Danaum? sic notus Ulixes?
aut hoc inclusi ligno occultantur Achivi,
aut haec in nostros fabricata est machina muros,
inspectura domos venturaque desuper urbi,
aut aliquis latet error; equo ne credite, Teucri.
quidquid id est, timeo Danaos et dona ferentis.’
sic fatus ualidis ingentem viribus hastam
in latus inque feri curvam compagibus alvum
contorsit. stetit illa tremens, uteroque recusso
insonuere cavae gemitumque dedere cavernae.
et, si fata deum, si mens non laeva fuisset,
impulerat ferro Argolicas foedare latebras,
Troiaque nunc staret, Priamique arx alta maneres.
Stanchi per la guerra e sconfitti dai fati, i capi dei Danai ( sono già trascorsi tanti anni!) costruiscono un cavallo alto come un monte, con la divina arte appresa da Pallade, i fianchi sono di assi d’abete connesse tra loro . Fingono che sia un dono agli dei per il rientro, quella fama dilaga. Ma nel ventre del cavallo hanno rinchiuso guerrieri scelti , sorteggiati: tutta la cavità è piena di uomini armati. Di fronte a Troia c’è Tenedo, isoletta notissima e ricca, finchè il regno di Priamo durava; ora solo un golfo, un approdo mal sicuto per le navi. G
Giunti qui, i Greci si nascondono nel lido deserto. Noi pensiamo che se ne siano andati, che si dirigano, sospinti dal vento, a Micene.
Finalmente la Troade si libera dal lungo lutto: si spalancano le porte; che bello poter uscire e poter osservare da vicino i luoghi dove vi era l’accampamento dorico finalmente deserti e la spiaggia abbandonata!
Qui c’erano le schiere dei Dolopi, qui la tenda del crudele Achille, in questo luogo stava la flotta, qui erano soliti schierarsi per la battaglia . Alcuni si stupiscono per il dono fatale della vergine Pallade. E si meravigliano per la mole del cavallo: per primo Timete esorta a portare i cavallo dentro le mura, fin dentro la rocca, forse aveva tradito la sua città, o forse il destino di Troia voleva così.
Ma Capi, e quelli più saggi, vogliono buttare a mare il dono insidiono dei Greci, o incendiarlo, o penetrare, per esplorarlo, il ventre del cavallo.
Il popolo è dviso fra gli opposti pareri. Allora, primo fra tutti, accompagnato da un grande seguito, Laocoonte irato scende giù dalla rocca, e urla ancora lonatno: ” O infelici, quale grande pazzia è questa, o cittadini? Credete che i nemici siano partiti? O pensate che un dono dei Greci non contenga dei tranelli? Così conoscete Ulisse? O gli Achei si nascondono in questo cavallo o questa macchina è costruita per distruggere le nostre mura, e spierà le nostre case e incomberà dall’alto sulle città. Non vi fidate del cavallo , o Troiani, qualsiasi cosa sia. Temo i Troiani anche quando offrono doni.
E detto così scagliò la sua grande asta nel fianco del mostro, nel ventre ricurvo. Quella si conficcò vibrando , la cavità risuonò e il ventre gemette. Se i numi non fossero stati avversi, se la nostra mente non fosse stata male indirizzata noi saremmo stati indotti ad esplorare il nascondiglio dei Greci, e Troia vivrebbe ancora e sarebbe ancora salda la reggia di Priamo.
Laocoonte viene punito dagli dei, il cavallo entra a Troia, comincia la battaglia finale
Ecce, manus iuvenem interea post terga revinctum
pastores magno ad regem clamore …….
un gruppo di pastori ha catturato un greco e lo portano, con le mani legate, davanti al re. E’ il completamento dell’inganno di Ulisse . Enea commenta:
accipe nunc Danaum insidias et crimine ab uno
ascolta gli inganni dei Danai, e dal crimine da un solo crimine conoscili tutti
Il giovane è Sinone che racconta una storia lacrimevole: è un perseguitato da Ulisse, è restio a raccontare la propria vicenda…. A questo punto sono i Troiani a implorarlo di raccontare e Sinone va avanti: i Greci da tempo progettavano il ritorno, ma l’oracolo dichiara, tramite l’indovino Calcante, che per propiziarlo è necessario sacrificare una vita umana. Ulisse costringe Calcante a indicare Sinone come vittima. Gli altri, sollevati dal non essere stati scelti, accettano di buon grado. Ma Sinone riesce a scappare: è una vittima, un perseguitato… Priamo gli offre ospitalità e lo accoglie (noster eris, sarai dei nostri!).
Sinone rivela che il cavallo è un dono propiziatorio a Minerva, irata per il furto del Palladio dalla rocca di Troia. Se i Troiani lo porteranno in città la protezione di Minerva sarà assicurata e sarà Troia a portare guerra ai Greci. L’inganno funziona.
Ma non basta : di nuovo intervengono gli dei. Dal mare emergono due giganteschi serpenti che attaccano prima i figli di Laoccoonte, poi lui stesso, accoso in aiuto. Il sacerdote, come un toro sacrificato sull’altare, manda gemiti tremendi al cielo. I serpenti,dopo l’orribile pasto, salgono sulla rocca e si rifugiano nel tempio di Minerva, sotto lo scudo della dea.
Dopo il prodigio i troiani non hanno più dubbi: loro stessi aprono le mura e fanno entrare il cavallo (Monstrum infelix) nella città . Nemmeno il suono d’armi che proviene dalle cavità li insospettisce, (immemores et caeci furore!), nemmeno le parole di Cassandra hanno qualche effetto.
Nel cuore della notte , mentre i Troiani dormono, godendosi la prima notte di pace, sepolti nel sonno e nel vino, Sinone apre il ventre del cavallo, i Greci lì rinchiusi escono, la flotta torna , comincia il massacro . La casa di Anchise è lontana e protetta dagli alberi, ma Enea è turbato da un terribile sogno.
Il sogno di Enea
Tempus erat quo prima quies mortalibus aegris
incipit et dono divum gratissima serpit.
in somnis, ecce, ante oculos maestissimus Hector
visus adesse mihi largosque effundere fletus,
raptatus bigis ut quondam, aterque cruento
pulvere perque pedes traiectus lora tumentis.
ei mihi, qualis erat, quantum mutatus ab illo
Hectore qui redit exuvias indutus Achilli
vel Danaum Phrygios iaculatus puppibus ignis!
squalentem barbam et concretos sanguine crinis
vulneraque illa gerens, quae circum plurima muros
accepit patrios. ultro flens ipse videbar
compellare virum et maestas expromere voces:
‘o lux Dardaniae, spes o fidissima Teucrum,
quae tantae tenuere morae? quibus Hector ab oris
exspectate venis? ut te post multa tuorum
funera, post varios hominumque urbisque labores
defessi aspicimus! quae causa indigna serenos
foedavit vultus? aut cur haec vulnera cerno?’
ille nihil, nec me quaerentem uana moratur,
sed graviter gemitus imo de pectore ducens,
‘heu fuge, nate dea, teque his’ ait ‘eripe flammis.
hostis habet muros; ruit alto a culmine Troia.
sat patriae Priamoque datum: si Pergama dextra
defendi possent, etiam hac defensa fuissent.
sacra suosque tibi commendat Troia penatis;
hos cape fatorum comites, his moenia quaere
magna pererrato statues quae denique ponto.’
Era il momento della notte in cui comincia il primo sonno per gli umani stanchi e serpeggia dolcissimo come un dono degli dei.
Nel sogno mi sembrò che Ettore mi stesse davanti, angosciatissimo, che piangeva a dirotto. Come quel giorno in cui era stato trascinato dalla biga , cosparso di sangue e polvere, con i piedi gonfi trapassati da cinghie.
Ahi come lo vidi! Quanto diverso da quell’Ettore che ritornò vestito dalle spoglie d’Achille o dopo aver scagliato fiaccole contro le navi dei Danai. La barba incolta, i capelli incrostati di sangue, mostrando quelle ferite che aveva ricevuto intorno alle mura della patria. Nel sogno mi vedo piangere e chiamare l’eroe con tristissime parole. ” O luce della Dardania, o speranza sicura dei Teucri, Quali ostacoli ti tennero lontano? Da dove vieni , Ettore tanto invocato ? Ti rivediamo, sfiniti, dopo tante uccisioni dei tuoi, dopo tante disgrazie della città e dei suoi abitanti. Ma per quale motivo il tuo volto, un tempo sereno, è così orribilemnte sconciato? Perchè vedo queste ferite?
Lui nulla, non si sofferma sulle mie insensate domande , ma con angoscia, singhiozzanso, urla:” Fuggi, figlio di Venere, sottraiti a questo incendio. Il nemico ha le mura , Troia precipita dalla sua altezza. E’ stato dato abbastanza alla città e a Priamo, se Pergamo avesse potuto essere difeso da un braccio umano, l’avrebbe difesa il mio. Troia ti affida le sue cose più sacre, i Penati. Saranno i compagni del tuo destino, cerca altre mura per loro, le innalzerai, grandi, dopo aver percorso il mare.
Questo è il passo fondamentale del libro, e forse, dell’intera Eneide. Enea riceve la missione di fondare Roma dal più grande eroe troiano: i Romani si riconoscono in un mito di fondazione che li contappone ai Greci ( orientali, infidi) , alle cui debolezze morali oppongono le virtù per eccellenza romane, la lealtà e il rispetto per la parola data . Roma è fondata da un profugo, che avrebbe voluto trascorrere la sua esistenza a Troia e morire combattend per la sua patria. E’ come se una delle più grandi potenze della storia volesse ricordare, scegliendo questo eroe come fondatore, che la storia , nel suo divenire, anche quando è la storia si un grande impero, provoca nei singoli sofferenza e dolore.
Il sogno poi, duemila anni prima dell’ affermarmarsi della psicoanalisi, mostra come sono complessi i processi mentali : Enea sa benissimo, come tutti a Troia, che Ettore è morto e che il suo corpo è stato straziato da Achille, eppure in quel momento, nel sogno, la sua mente ha rimosso quel fatto e lui si comporta, nel sogno, come se lo ignorasse
Enea al centro della battaglia
Enea si sveglia e vede le insidie dei Danai in azione , il golfo riluce della luce sinistra degli incendi, urla, fragore . Nonostante il sogno premonitore, pensa ad una estrema difesa , con pochi uomini, fra un mare di spade. Sa di essere destinato alla morte, ma una salus victis nullam sperare salutem, l’unica salvezza per i vinti è il non sperare in nessuna salvezza.
Un gruppo di Greci non li riconsce come nemici: i Troiani li massacrano, afferrano le loro armi.
Vedono Cassandra trascinata in catene, giungono al palazzo di Priamo, lì è il fulcro della battaglia. Enea si rivolge a Didone: “E forse vuoi sapere quale sia stato il destino di Priamo? “
La fine di Priamo
Penetrano nel palazzo da un passaggio nascosto, vedono quanto accade da un luogo riparato : nella casa urla di donne , che imprimono baci sulle porte. Si fa strada con violenza Pirro (figlio di Achille ) . Nel cuore del palazzo il vecchio re si riveste delle armi giovanili, nonostante la moglie Ecuba cerchi di trattenerlo . Polite, uno dei suoi figli, inseguito da Pirro, figlio di Achille, viene ucciso senza pietà sotto gli occhi del padre. Irato Priamo si rivolge all’uccisore del figlio: non può essere figlio del grande Achille, che ha avuto pietà del vecchio padre e gli ha restituito il cadavere di Ettore, quello che uccide un ragazzo sotto gli occhi del padre . Il vecchio re, ormai senza forze, gli scaglia contro una lancia, che si conficca debolmente nello scudo.
..cui Pyrrhus: ‘referes ergo haec et nuntius ibis
Pelidae genitori. illi mea tristia facta
degeneremque Neoptolemum narrare memento.
nunc morere.’ hoc dicens altaria ad ipsa trementem
traxit et in multo lapsantem sanguine nati,
implicuitque comam laeva, dextraque coruscum
extulit ac lateri capulo tenus abdidit ensem.
haec finis Priami fatorum, hic exitus illum
sorte tulit Troiam incensam et prolapsa videntem
Pergama, tot quondam populis terrisque superbum
regnatorem Asiae. iacet ingens litore truncus,
avulsumque umeris caput et sine nomine corpus. .
La fine di Troia, la fuga di Enea
La terribile visione della morte di Priamo suscita in Enea il ricordo dei suoi familiari: il padre Anchise , Creusa, il piccolo Iulo. In quel momento scorge Elena, nascosta; un desiderio di vendetta lo assale. Ma la madre Venera gli appare e gli mostra la realtà che agli uomini è nascosta. Non è Elena a causare la rovina di Troia, sono gli stessi dei che la devastano: Nettuno, Giunone, Minerva.
Enea corre a casa , vuole portare in salvo il vecchio padre, ma Anchise si rifiuta di seguirlo: non vuole sopravvivere ala fine di Troia. Enea ritorna al primo proposito: morire difendendo eroicamente la città . Ma improvvisamente, sulla testa del figlio si manifesta una prodigio: un fuoco divino gli lambisce i capelli e le tempie. Allora Anchise capisce : è il volere degli dei che la stirpe di Enea si salvi, anche lui è disposto a seguirlo. Enea lo prende sulle spalle, Iulo per mano, Creusa lo segue. Ma durante la fuga un drappello di Greci si avvicina. Enea scappa, ma perde . Enea affida padre e figlio ai compagni che sono riusciti, come lui, a fuggire e torna a cercare la moglie.
Ormai la battaglia è finita, orrore e silenzio dappertutto, i Greci ammassano il bottino, bambini e donne aspettano atterriti il loro destino. Folle Enea si aggira per la città , fino a quando il simulacro di Creusa gli appare. E’ lei stessa a spiagargli la sua scomparsa: gli dei non vogliono che lei segua il marito . In Italia lo attende una sposa regale . Ma lo rassicura: non sarà schiava dei vincitori. Enea è disperato, per tre volte tenta di stringerla tra le braccia, ma ormai Creusa è un soffio di vento, un labile sogno. Ad Enea non resta che ricongiurgersi ai troiani sfuggiti alla carneficina , pronti a seguirlo dovunque , miserabile vulgus di futuri profughi, tanti uomini , donne ,giovani costretti a lasciare la propria terra.