A sangue freddo di Truman Capote è considerato il capostipite dei romanzi ispirati alla realtà, o romanzi-verità. Frutto di una lavoro durato sei anni, uscito a puntate sul New Yorker, ha ispirato numerosi film, è stato tradotto in decine di lingue. L’ultima edizione, pregevolissima, in italiano, del 2019, è di Alberto Rollo, che nella postfazione testimonia le difficoltà di tradurre un libro che è contemporaneamente un romanzo, un reportage, un saggio .

La mattina del 16 novembre 1959 Capote lesse sul New York Times la notizia dell’omicidio di Herbert Clutter,  un ricco agricoltore benestante, della moglie Bonnie e di due dei suoi quattro figli, Nancy (di sedici anni) e Kenyon (quindici), avvenuto a Holcomb, frazione di Garden City, in Kansas.  Capote chiese al New Yorker di essere inviato a  Holcomb ancor prima che si avesse notizia dell’identità degli assassini per intervistarne gli abitanti. Da allora, aiutato dalla sua amica Harper Lee (autrice del “Buio oltre la Siepe”)  non smise di indagare sulla vicenda, raccogliendo testimonianze, verbali, lettere, interviste (anche con uno degli assassini),  che alla fine rientrarono nel grande affresco del romanzo.

Il racconto è scandito in quattro capitoli, in cui si intrecciano le vicende della famiglia Clutter, degli assassini Hickock e Smith, dell’investigatore Dewey e della sua squadra. Ma protagonista è anche la comunità di Holcomb e di  Garden City, di cui vengono descritte con grande maestria alcune figure minori. Il lettore è avvisato dal titolo della prima sezione (Gli ultimi che li hanno visti vivi) di quale sarà il destino della famiglia Clutter, quasi un modello di American way of life (se non fosse per la malattia mentale di Bonnie), che vive in una comunità anch’essa ideale: dotata di buone scuole, modello di integrazione, aiutata anche dalle grandi risorse agricole e di gas naturale che consentono un benessere diffuso, solidale, in cui le uniche divisioni sembrano quelle segnate dalla confessione religiosa (sono tutti cristiani, ma tra metodisti e cattolici vi è una separazione incolmabile).

Sempre nel primo capitolo compaiono i due assassini, che si accingono a compiere il brutale delitto: Perry Smith e Richard Hickock, entrambi usciti da poco dal carcere, fin dalla nascita condannati  a una vita segnata da abbandoni, brutali  violenze ( Perry), disgrazie  e miseria, che  li ha segnati anche nell’aspetto fisico. Ma i due non hanno smesso di sognare e di progettare un futuro di felicità e benessere.

Quello che il lettore scopre molto più avanti è il legame tra assassini e vittime, del tutto assurdo e improbabile. Per questo la polizia, in particolare l’ispettore Dewey, che fa della ricerca dell’assassino la sua ragione di vita, non riesce inizialmente a risolvere il caso e la comunità idilliaca di Garden City diviene preda del terrore che proprio al suo interno si nasconda l’autore dell’atroce delitto.

Ma il racconto non finisce con la cattura degli assassini: Capote ci racconta il processo, che  si conclude con la condanna a morte, la descrizione del braccio della morte nel quale vengono rinchiusi (e le vicende di altri condannati a morte presenti nello stesso carcere ),  i tentativi, sollecitati dalle lettere di Hickock di alcuni avvocati e associazioni di  commutare in ergastolo la pena capitale e, alla fine, l’esecuzione della condanna in una specie di magazzino della prigione, in un angolo del quale si trova la forca.

E proprio questa parte insinua nel lettore dubbi che spiazzano il suo giudizio e che lo fanno immedesimare nello stesso stato d’animo che ha portato lo scrittore a rimanere immerso nella storia per anni. Il processo ha un esito segnato: i due imputati sono rei confessi ed hanno preparato il delitto, procurandosi tutti gli strumenti per portarlo a termine ed accordandosi per fornire una spiegazione che, a loro avviso, avrebbe potuto costituire una alibi. Agendo, appunto “a sangue freddo”.

Hanno ucciso persone che non conoscevano, che hanno implorato la loro pietà, per un motivo improbabile . Gli avvocati non hanno nessun’altra strada che insinuare nella giuria il dubbio che in quel momento non si rendessero conto di quello che stavano facendo. Ma quale giuria e quale lettore potrebbe credere a questa tesi? Eppure chi può dire cosa possa produrre tutta la violenza fisica e psicologica che un individuo subisce nella vita?  Un esempio è il racconto di  Perry Smith, uno degli assassini, che da bambino è stato abbandonato dalla madre alcolizzata e affidato a un collegio di suore:  <Mi svegliò. Aveva una pila elettrica e mi colpì con quella. Continuava a battermi, battermi, battermi con quella pila, che poi si ruppe, ma lei continuò a picchiare nel buio>.

L’altro, Hickock, responsabile della progettazione del delitto, nel 1950 ha subito, secondo una perizia che la corte non considera sufficiente a decretarne l’inferimità mentale, < una ferita molto severa con trauma cranico e diverse ore di incoscienza,> che  gli hanno causato un danno cerebrale permanente. Dopo quel trauma la sua vita, fino a quel momento abbastanza normale, comincia  a precipitare.

Afferma il perito: <Che lui sapesse cosa stava facendo e che, ciò malgrado, abbia proceduto è la più netta dimostrazione di questo dato di fatto. È una persona impulsiva nell’agire, incline a far cose di cui non vede le conseguenze o il futuro disagio per sé o per gli altri. egli mostra aspetti piuttosto caratteristici di quello che, in psichiatria, si chiama “severo disordine della personalità>.

La giuria sceglie di condannarli aall’impiccagione. Poi l’attesa nel braccio della morte.  <Negli Stati Uniti, quando vengono ordinate delle condanne a morte, il tempo medio che intercorre fra la sentenza e l’esecuzione è all’incirca di diciassette mesi>

Ma , almeno negli anni in cui è stato scritto il libro, questo intervallo poteva variare tra un mese e dodici anni.<Tanta disparità dipende un po’ dalla fortuna e in gran parte dalla durata della causa.> Anche avvocati mediocri possono ottenere numerosi rinnvii e revisioni. E spesso di appello in appello la data della condanna è decisa da <una partita a dadi, in qualche modo ordita a favore del criminale, che i tiratori giocano senza limiti di tempo, prima nei tribunali di stato, poi nelle Corti federali finché non si arriva al tribunale ultimo, la Corte suprema degli Stati Uniti. Ma perfino una sconfitta subita in quella sede non significa che il difensore del richiedente non possa inventare o scoprire nuove fonti per un altro appello; di solito ce la fanno, e così ancora una volta la ruota gira, e gira finché, magari anni dopo, il detenuto torna alla più alta corte della nazione, probabilmente solo per ricominciare la lenta crudele competizione. (…) Nel marzo del 1965, dopo che Smith e Hickock erano rimasti nel Braccio della Morte per quasi duemila giorni,la Corte suprema del Kansas decretò la fine delle loro vite fra la mezzanotte e le due di mercoledì 14 aprile 1965>.

Dopo cinque anni trascorsi nel braccio della morte, quando viene condotto al patibolo legato da cinghie di cuoio,  <gli occhi di Hickock, indeboliti da mezzo decennio di ombre, vagarono sui presenti finché,non vedendo quello di cui andava in cerca, chiese, sussurrando appena alla guardia più vicina, se c’era qualcuno della famiglia Clutter>. Queste le sue ultime parole. <È quasi senza senso chiedere scusa per quello che ho fatto. Addirittura inopportuno. Eppure lo faccio, ecco, chiedo scusa>. E alla fine tutti i dubbi vengono travolti da un sentimento infinito di pietà che accomuna le  vittime innocenti e gli spietati assassini.

Per chi ama il genere.n n’ analoga affascinante  immersione nell’atroce.e inquietante  banalità del male,è il molto più recente  “L’avversario” di Emmanuel Carrère, uscito nel 2000. Più sintetico e lineare, narra con uno stile molto diverso una storia vera che ha molte analogie con il romanzo di Capote, anche se, per certi versi, il lettore riesce a ritrovare nel personaggio di Carrère una logica perversa, che manca completamente nella vicenda di ” A sangue freddo”.

Truman Capote  è stato un famosissimo scrittore e sceneggiatore americano,(1924-1984), autore, fra l’altro, del celeberrimo ” Colazione da Tiffany”.. Visse un’infanzia tormentatissima, con una madre alcolizzata, abbandonato di fatto dal padre, disprezzato e deriso dalla gente per i suoi modi effeminati. In una famosa intervista, affermò che se non avesse trovato nella scrittura la via per fuggire dai condizionamenti della sua triste infanzia, il suo destino avrebbe potuto non essere tanto diverso da quello di  Perry Smith, uno dei due protagonisti del romanzo,