Ho acquistato ‘Tempo di seconda mano’, anni fa, appena terminata la lettura di ‘Preghiera per Cernobyl’, ma non me la sono sentita di leggerlo subito: troppo intensa e psicologicamente impegnativa era stata la lettura del libro sul disastro nucleare, così ‘Tempo di seconda mano’ è rimasto per anni nella mia libreria, ad aspettarmi. Poi l’aggressione russa all’Ucraina e le domande che non trovavano una risposta del tutto convincente nelle parole degli esperti, in primo luogo su come sia possibile che tante persone approvino una guerra così insensata e disumana. In ‘Tempo di seconda mano’ ho trovato delle risposte. E sono così convincenti perché vengono dalla gente comune: insegnanti, professionisti, studenti, contadini, funzionari di partito: il modo di raccontare della Aleksievic è far parlare le persone fino al momento in cui <la vita, la semplice vita si trasforma in letteratura>.
Il motivo unificante del libro, anche se non l’unico argomento, è la fine del comunismo in Unione Sovietica, le grandi speranze di una rivoluzione democratica che si trasformano in pochissimo tempo in un incubo: disoccupazione, povertà, violenza, esplosione delle rivalità etniche, dissoluzione dello stato.
<Quanto più si diceva e scriveva: ‘Libertà! Libertà!’, tanto più rapidamente sparivano dai banchi di vendita non solo il formaggio e la carne, ma anche il sale e lo zucchero. I negozi erano vuoti. Era terribile. Avevamo tessere di razionamento per ogni articolo, come durante la guerra.>
< C’è un uomo disteso in una pozza di sangue. Un foro di proiettile nella schiena ha trapassato l’impermeabile. Gli sta accanto un poliziotto. Era la prima volta che vedevo un uomo morto ammazzato. Ma presto ci ho fatto l’abitudine. Il nostro fabbricato è molto grande, venti ingressi. Tutte le mattine si trovava un cadavere in cortile>
< Hanno radunato tutti gli uomini, giovani e vecchi, per gruppi di venti-trenta e hanno fatto irruzione nelle case dove vivevano le famiglie armene. Hanno ucciso, violentato: le figlie davanti ai padri,>
< …prima pensavo che i tagiki fossero come i bambini, incapaci di fare del male. In sei mesi o anche meno Dušanbe (in Tajikistan ) e i suoi abitanti erano diventati irriconoscibili. Gli obitori erano stracolmi>
Nel ricordo delle persone sono ben presenti anche gli orrori dello stalinismo, che costringeva la popolazione a vivere nel terrore di una denuncia < Il fratello denunciava suo fratello, il vicino denunciava il suo vicino… Perché avevano bisticciato per l’orto o per una stanza nell’appartamento di coabitazione>.E la ferocia del regime ricadeva anche sui figli dei deportati: <All’orfanotrofio gli orfani dei deportati li tengono fino ai quattordici anni, poi li mandano in miniera. E a diciotto anni hanno la tubercolosi…>.
Poi qualcuno tornava e riprendeva la propria vita, magari accanto a chi lo aveva denunciato <Era la nostra vita. Era così! Noi siamo così… Riesce a immaginare un carnefice e una vittima di Auschwitz che lavorano nello stesso ufficio…>
Eppure in molti dei racconti prevale una sorta di accettazione per l’orrore dei Gulag stampati nella memoria di chi ne è uscito e dei suoi familiari. <Noi in casa abbiamo avuto per molto tempo un grande ritratto di Stalin appeso alla parete. Per molto tempo… questo me lo ricordo bene… Ma papà non portava rancore, erano tempi così, diceva… Un’epoca crudele. Costruivamo una nazione forte. E l’abbiamo costruita>.
E così in una parte consistente della popolazione (ovviamente è impossibile quantificare) prevale una sorta di rimpianto per quegli anni spaventosi, in cui però l’ URSS era diventata una grande potenza. <“Cosa sarebbe successo se i putschisti (allude al tentativo di colpo di stato per deporre Michail Gorbačëv, dell’agosto 1991) avessero vinto?” Risposte: “Saremmo rimasti il grande paese che eravamo…” “Guardate un po’ la Cina… lì i comunisti sono al potere… e la Cina è diventata la seconda economia mondiale…”>
Al tempo del comunismo il tenore di vita era molto basso, ma la cultura letteraria e scientifica era diffusa (almeno nelle città), moltissimi laureati (anche le donne) <si poteva comunque vivere una vita normale. C’era l’amore e l’amicizia… i vestiti e le scarpe… Ascoltavamo con passione scrittori e artisti. Adesso non più. Al posto dei poeti, maghi e sensitivi riempiono gli stadi. Si crede agli stregoni, come in Africa. La nostra… vita sovietica… è stata, se vuole, il tentativo di instaurare una civiltà alternativa. Con un’espressione altisonante… il potere del popolo!>
E poi la Cecenia < Organizzano dei viaggi turistici in Cecenia. Ti portano su un elicottero dell’esercito e ti mostrano le rovine di Groznyj e i villaggi distrutti. Laggiù si combatte e si ricostruisce al tempo stesso. Si spara e si ricostruisce. E lo fanno vedere. Noi stiamo ancora piangendo e qualcuno già fa i soldi con le nostre lacrime. Con la nostra paura. Come con il petrolio.> E, non meno terribile , la condizione dei soldati russi inviati a combattere <Si viveva dietro il filo spinato…Intorno solo torri di guardia, campi minati…Uscirne era impossibile, ti avrebbero ucciso. Morte agli occupanti! Bevevamo tutti, ci sbronzavamo come animali.>
E poi, ancora, l’esperienza di una ragazza bielorussa torturata e incarcerata per un mese per aver partecipato ad una manifestazione di protesta per i brogli elettorali che ripetutamente hanno confermato la rielezione di Alexander Lukashenko <E’ sempre la sessa storia…Che si ripete ciclicamente…Il popolo è un gregge di antilopi. E il potere è la leonessa. La leonessa sceglie la sua vittima e la uccide… Le altre continuano a brucare l’erba e guardano con la coda dell’occhio… Quando quella sceglie la nuova vittima sospirano tutte sollevate ‘ Non è toccata a me!… Si può continuare a vivere!>
Una volta cominciato, il libro non ti lascia più andare, più di qualsiasi romanzo o saggio, per la forza della testimonianza di tante vite vissute, del racconto di tante sofferenze. E’ impossibile però non chiedersi se le testimonianze rappresentino davvero il modo di pensare dei russi.
La risposta l’ho trovata oggi, (30 aprile 2023) nell’intervista, pubblicata su Robinson, di Ezio Mauro all’autrice: <Stalin, per esempio. Sono rimasta sconvolta di quanto fosse presente Stalin nella nostra memoria genetica, e mi ha colpito quanto le persone erano convinte di aver bisogno di Stalin per fare una vita normale. Sono esattamente queste aspettative delle piccole persone che hanno fatto di Putin un piccolo Stalin. Perché le persone in fondo sono ciò che fa di loro la storia. Soltanto grazie a Gorbaciov c’è stata una vera e propria esplosione, che però ha coinvolto solo una piccola parte delle persone, nelle città. L’immensa provincia russa è rimasta tale e quale. Si tratta di un Putin collettivo, o di una piccola parte di Putin che è insediata dentro ogni uomo comune in Russia>.
‘Questo può spiegare il consenso russo per Putin?’(chiede Mauro)
<Quando tornavo dai miei viaggi raccontavo agli amici moscoviti quanto mi spaventava questa mentalità. Ti stai sbagliando, mi rispondevano, ormai i cambiamenti sono irreversibili e andranno avanti. Cos’è successo? Abbiamo assistito sbalorditi alla velocità con cui hanno chiuso centinaia di siti e giornali: e molti attivisti sono stati costretti ad abbandonare la patria, a scappare….. Perché la nostra sofferenza in Russia non si trasforma mai in qualcosa di qualità? Non lo so, ma vedo che da noi la liberazione può avvenire solo dall’alto, come è successo con Gorbaciov. La Russia è diventata un Paese militare, in ogni angolo si vedono questi manifesti di guerra:” noi vinceremo”>
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