La concezione del Paradiso dantesco non ammette l’uguaglianza. Poiché la beatitudine eterna  si ottiene per grazia divina, ma anche per i meriti acquisiti durante la permanenza sulla terra,  è abbastanza logico pensare  che non possano essere equiparate le benemerenze di chi sceglie il martirio in nome della fede o la rinuncia totale ai piaceri mondani per ritirarsi a pregare in un eremo e la vita, pur convintamente rispettosa della legge divina,  di un uomo ( o di una donna )  “comune”. Alcuni studiosi hanno anche sottolineato come, poiché il sistema feudale rigidamente gerarchizzato è per Dante il migliore possibile, sia per lui quasi inconcepibile immaginare  una “società “ celeste del tutto egualitaria.

Tutti i beati risiedono stabilmente nell’Empireo, al cospetto di Dio, ma non sono ugualmente vicini alla fonte della loro beatitudine. Non è però nell’Empireo che avviene l’incontro con Dante, almeno nei primi canti del Paradiso: i beati, scelti da Dio con uno scopo preciso ,  scendono per incontrarlo nei cieli (Dante li chiama sfere)  che circondano la terra  e che  girano intorno ad essa con velocità crescente. Ogni cielo,  prende il nome dal pianeta (o satellite) che vi è incastonato.

Il primo incontro avviene nel cielo della luna, il più basso e il più lento nella sua rotazione. Lì  Dante incontra Piccarda, sorella allo stesso tempo del suo grande amico Forese e del suo acerrimo nemico Corso. La luminosità emanata da Piccarda non nasconde le sue fattezze umane, mentre, nei cieli più alti, i beati, di rango superiore, si presenteranno alla vista di Dante come delle luci, più o meno intense.

( Paradiso, canto III, vv. 46-51)

I’ fui nel mondo vergine sorella;
e se la mente tua ben sé riguarda,
non mi ti celerà l’esser più bella,

ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda,
che, posta qui con questi altri beati,
beata sono in la spera più tarda.

Piccarda Donati

Piccarda, che nel mondo è stata una suora, è divenuta più bella, ma Dante, se interrogherà opportunamente la sua memoria (mente), la potrà riconoscere.

E’ la stessa Piccarda ad aggiungere   che la sua beatitudine è al livello più basso, infatti è stata designata ad incontrare Dante nel cielo della Luna, quello che gira più lento (e che si trova più lontano dall’Empireo, cioè da Dio) .

Dante non si lascia sfuggire l’occasione per chiarire un dubbio teologico: le anime che godono di una beatitudine inferiore non aspirano ad una maggior vicinanza a Dio? E’ Piccarda a tenere una breve lezione su questo argomento, con lo stile elevato della filosofia scolastica.

(Paradiso, canto III, vv. 64-90)

“…Ma dimmi: voi che siete qui felici,
disiderate voi più alto loco
per più vedere e per più farvi amici?».

Con quelle altr’ ombre pria sorrise un poco;
da indi mi rispuose tanto lieta,
ch’arder parea d’amor nel primo foco:

«Frate, la nostra volontà quïeta
virtù di carità, che fa volerne
sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.

Se disïassimo esser più superne,
foran discordi li nostri disiri
dal voler di colui che qui ne cerne;

che vedrai non capere in questi giri,
s’essere in carità è qui necesse,
e se la sua natura ben rimiri.

Anzi è formale ad esto beato esse
tenersi dentro a la divina voglia,
per ch’una fansi nostre voglie stesse;

sì che, come noi sem di soglia in soglia
per questo regno, a tutto il regno piace
com’ a lo re che ‘n suo voler ne ‘nvoglia.

E ‘n la sua volontade è nostra pace:
ell’ è quel mare al qual tutto si move
ciò ch’ella crïa o che natura face».

Chiaro mi fu allor come ogne dove
in cielo è paradiso, etsi la grazia
del sommo ben d’un modo non vi piove.

La carità (l’amore ) di Dio fa sì che la loro volontà dei beati sia completamente appagata. Se desiderassero essere più in alto, i loro desideri non si accorderebbero al volere divino, e questo non può essere neppure ipotizzato in  cielo ( on capere in questi giri). Perché Dante, che rappresenta ovviamente il lettore della Commedia, non abbia dubbi, nei versi successivi Piccarda ripete lo stesso concetto: nessun appartenente al regno dei cieli può discostarsi dalla volontà del re, che ovviamente è Dio,  e conclude affermando  che nel conformarsi alla Sua volontà  i beati hanno finalmente raggiunto la pace, e con la pace la felicità.  A un lettore moderno forse questa concezione di felicità può apparire molto lontana. Eppure non è molto diversa  da quella proposta dalle filosofie orientali oggi tanto in voga  ed è sicuramente attuale nella nostra epoca di sfrenato consumismo. Solo ponendo un confine ai desideri si può raggiungere la pace e, se non proprio la beatitudine, almeno la tranquillità . Del resto quell’ ateo di Epicuro  lo aveva capito tre secoli prima di Cristo.