La mala erba è una favola nera, ambientata in un piccolo borgo, Colle San Martino, circondato da boschi e montagne non lontano da Roma. Ma non è un paesaggio idilliaco. La natura è affascinante, ma tutto ciò che è stato costruito dall’uomo no. Insomma Colle San Martino non potrebbe entrare nella classifica dei borghi più belli d’Italia: l’abitato richiama piuttosto una brutta periferia. Come in ogni favola c’è una principessa: la diciassettenne Samantha De Santis, studentessa liceale nella vicina città, che non ha che un sogno: scappare da quel luogo chiuso come una prigione, che non le offre prospettive. Ma quando Samantha si trova in difficoltà non trova un principe che la soccorra. Gli adulti che la circondano sono inadeguati, anche il padre, che pure la ama (da lei ricambiato) è un disperato che non riesce a trovare lavoro, incapace di aiutarla. I ragazzi che frequenta sono indifferenti ed egoisti. Poi c’è il cattivo: il signore del castello, Cicci Bellè, padrone del palazzo che domina il piccolo borgo. Grazie alla sua ricchezza, ha con i suoi concittadini lo stesso ruolo che un signore medievale ha con i servi della gleba. D’altra parte non c’è solidarietà tra i trecento abitanti di Colle San Martino, quasi tutti, compreso padre Graziano, il parroco avido e spregiudicato, hanno qualcosa da nascondere o conducono vite incolori e un po’ squallide . Samantha avrà il suo lieto fine, pagato però con la trasformazione nella donna lupo <capelli lunghi, occhi gialli, un corpo da mozzare il fiato, gli artigli al posto delle unghie> rappresentata dal poster che tiene appeso nella sua cameretta. Il romanzo ha una trama sicuramente originale, scorre velocemente, non mancano i colpi di scena, non tutti, però, adeguatamente motivati. Si capisce che, nell’intento dell’autore, dovrebbe essere esemplare. Insomma Colle San Martino è una metafora ma non è ben chiaro di cosa. O forse lo è troppo.

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