Che avesse ragione il vecchio Don Lisander (Manzoni di cognome) quando sosteneva che <la poesia ( letteratura) deva proporsi per oggetto il vero, come l’unica sorgente d’un diletto nobile e durevole; giacché il falso può bensì trastullar la mente, ma non arricchirla, né elevarla; e questo trastullo medesimo è, di sua natura, instabile e temporario…>?
Certamente l’affermazione è contestabile, ma è altrettanto vero che è difficile trovare un romanzo più appassionante dell’ ultimo libro di Scurati su Mussolini. L’autore dichiara esplicitamente di non discostarsi dalle fonti storiche, che vengono riportate in poche significative righe alla fine di ogni capitolo (lettere, diari, soprattutto quello di Galeazzo Ciano).
E il libro fa esattamente quello che Manzoni aveva ipotizzato come scopo della letteratura: rendere la storia viva, i personaggi uomini e donne reali, in modo che chi legge possa appassionarsi al racconto quasi stesse assistendo ad una rappresentazione teatrale delle vicende storiche. Scurati procede in ordine cronologico: dopo aver raccontato l’ascesa e il consolidamento del Fascismo, in questo terzo libro tratta la storia di Mussolini e del paese che si era affidato a lui nei due anni e mezzo che precedono il 10 giugno 1940, giorno in cui viene proclamata l’entrata in guerra dell’Italia e sancita la catastrofe del regime e di tutti gli italiani.
Si comincia col viaggio trionfale in Italia di Hitler nelle primavera del 1938, durante il quale un tronfio Mussolini si compiace di mostrare ad un Hitler apparentemente deferente le magnificenze dell’arte italiana, quasi per dimostrare la superiorità dell’Italia sulla Germania, per arrivare, dopo meno di due anni, ad una situazione completamente rovesciata: un duce gregario del dittatore tedesco, che, sperando di approfittare vilmente della sbalorditive vittorie della Germania, pur perfettamente consapevole della drammatica impreparazione militare del suo paese, lo consegna alla carneficina della seconda guerra mondiale.
<Se dovessi aspettare che l’esercito sia pronto, dovrei attendere anni per entrare in guerra ma devo farlo ora. Faremo quel che potremo>. Pur essendo una storia nota, non si può non rimanere attoniti di fronte alla superficialità e alla totale mancanza di coscienza degli uomini a cui gran parte del popolo italiano si era affidato. Mussolini in primo luogo, ma anche e soprattutto Galeazzo Ciano, genero, delfino e ministro degli Esteri del duce, incapace fino alla fine di dichiarare apertamente la sua posizione antitedesca e contraria alla guerra, per paura, tornaconto personale, mancanza di scrupoli. Mussolini e Ciano, alla luce della rigorosa documentazione proposta da Scurati, diventano quasi dei personaggi da commedia all’italiana (il trombone supponente che crede di poter fregare impunemente il prossimo salvandosi per il rotto della cuffia, il servo sciocco e untuoso) e il lettore non può non rabbrividire pensando a come sia facile essere trascinati in tragedie di proporzioni immani da uomini di tal fatta.
L’entrata in guerra dell’Italia è preceduta dalla proclamazione delle leggi razziali, anche queste un atto di furbizia per ingraziarsi il futuro alleato tedesco. Dalle fonti citate appare con chiarezza che il pregiudizio antisemita, su cui Hitler aveva costruito la propria ascesa, non era invece così strettamente connaturato all’ideologia fascista. Ma un conto è citare delle fonti storiche un conto è rappresentare la tragedia di uomini e donne che vedono la propria vita sconvolta da queste leggi. Per farlo Scurati sceglie la notissima Margherita Sarfatti, di origine ebraica, amante del Duce fino all’inizio degli anni ‘30, protagonista di primissimo piano della cultura italiana ed europea, direttrice editoriale di Gerarchia, rivista di teoria politica fondata da Mussolini, costretta a lasciare l’Italia per evitare la persecuzione antiebraica.
E, meno noto, Renzo Ravenna,< il podestà (di Ferrara) venuto dal ghetto, … brillante avvocato civilista, interventista e reduce combattente della Grande guerra, persona amabile, di buon cuore, benvoluto, uomo pratico, Renzo ha sognato una città moderna, rinata dalle memorie culturali del suo passato, fin da quando nel millenovecentoventisei …Benito Mussolini lo ha nominato podestà. > Ravenna si trova ad amministrare una realtà contadina povera, tormentata da malnutrizione e disoccupazione. Ravenna capace ed onesto amministratore, capisce che il passato medievale e rinascimentale di Ferrara può essere valorizzato e ottiene finanziamenti per le grandi celebrazioni dei quattrocento anni dalla morte di Ariosto, il Teatro Comunale, le mostre pittoriche della scuola ferrarese, l’inaugurazione di musei, il torneo delle contrade. E nel 1938 assiste incredulo ed impotente alla proclamazione delle leggi che lo dichiarano un pericolo per il paese e il partito che aveva servito fedelmente.
Scritto con uno stile fluido ma raffinato la vicenda del romanzo scorre come un film ambientato in luoghi descritti con grande efficacia, dalla sala del Mappamondo a Palazzo Venezia dove Mussolini riceve i postulanti intimoriti dalla vastità dell’ambiente, all’ impressionante Berghof, la tana alpestre di Hitler scavata nella roccia delle montagne salisburghesi, dai banchetti sontuosi offerti dal re al Führer in visita in Italia, alla foresta delle Ardenne nella quale l’esercito tedesco avanza implacabile gettando nel terrore i francesi. Tutto d’un fiato fino a quel 10 giugno 1940.
< Da oggi, qualunque cosa accada, il fascismo è finito. Piero Calamandrei, Diario, 10 giugno 1940 (subito dopo aver ascoltato alla radio la dichiarazione di guerra di Mussolini)>
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