Fu il simbolo sexy della “Belle epoque”
Non era una grande ballerina, ma con
la sua danza carica di erotismo conquistò
i più importanti teatri d’Europa e Usa.
Non era di rara bellezza, ma re, principi,
industriali e banchieri fecero follie
per una notte
con lei. La ricoprirono di regali favolosi. Qualcuno si tolse la vita perchè respinto. Divenne ricchissima, ma
si giocò tutto ai casinò e morì povera

Gli uomini più potenti strisciarono ai suoi piedi

Quella di Carolina Otero è una storia stupefacente, a tratti inspiegabile. Va detto che gran parte delle informazioni, soprattutto di dettaglio, e i dettagli sono importanti, vengono dalla sua autobiografia. Alle autobiografie bisogna fare abbondanti tare, ma ugualmente la sua resta una storia sbalorditiva.

Ma partiamo dall’inizio. Carolina nasce nel 1868 in un paesino della Galizia, da una famiglia modesta ed anche un po’ disgraziata, che poco dopo si trasferisce a Santiago de Campostela. Il padre, un commerciante di vini, sospettando l’infedeltà della moglie, non la riconosce come figlia. Ed è ancora bambina che il padre viene ucciso in un duello. La madre, una gitana dell’Andalusia, si occupa poco di lei e la manda a lavorare come domestica.

A 10 anni subisce uno stupro, a causa del quale rimane sterile. Così almeno racconta lei. La madre la mette in una specie di collegio. Carolina è una ragazzina ribelle, cresciuta molto in fretta ad una dura scuola di vita. E’ vivace, furba, piena di risorse. Scappa due volte dal collegio. La seconda a 14 anni assieme a un ragazzo, Paco, di cui si è innamorata.

Scappa per andare a ballare con lui in un locale notturno a Cadice. Carolina pare abbia il fluido della danza nel sangue. In quel fumoso locale di terza categoria, si muove con tale energia e sensualità, che il proprietario rimane colpito e le propone due pesetas a sera, una discreta cifra, se torna lì a ballare. Lei ovviamente accetta e in collegio non torna più.

Si esibisce nel flamenco, che probabilmente le aveva insegnato la madre, e al pubblico piace. Dopo qualche tempo, racimolati un po’ di soldi, decide di tentare la fortuna in una città più grande e va a Lisbona, sempre assieme al suo Paco. Qui lavora come ballerina e cantante in un locale, il successo continua. E dopo qualche tempo debutta al teatro Avenida, di fronte ad un parterre de rois. In sala c’è addirittura re Pedro V, aristocratici e dame dell’alta società, ufficiali in alta uniforme.

Tutti, così almeno si narra, restano estasiati dalle sue movenze languide e feline, dai suoi occhi verdi, che vengono descritti pieni di fuoco, dalle sue mani che voluttuose accarezzano l’aria. Alla fine sono acclamazioni e pioggia di rose gialle sul palco.

Ma la gioia per il successo é spezzata da Paco che la tradisce con un’altra ballerina e, con lei, se ne va a Barcellona. Carolina è donna orgogliosa e di carattere, non può accettare di essere scaricata così. Li insegue a Barcellona, ma inutilmente, Paco non ne vuol più sapere di lei.

Non tutto il male viene per nuocere. Carolina ha venti anni, è ambiziosa e dotata di una volontà ferrea. Non si deprime più di tanto. Ora si trova in una grande città e decide di approfittarne. Si stabilisce a Barcellona e nel giro di poco tempo viene scritturata al Crystal Palace, un importante teatro dove si tengono spettacoli di quel nuovo genere che viene da Parigi, il cabaret.

Anche qui riscuote subito un notevole successo. Carolina non ha solo talento nella danza ed anche nel canto, ma è una ragazza con una forte personalità, estroversa, simpatica, solare, brillante e intelligente. A Barcellona viene in contatto con artisti e personaggi altolocati. Il conte Eusebi le fa da maestro, lei non è mai andata a scuola, ma impara in fretta. Lui la introduce nei salotti della città e lei, che viene dai bassifondi, vi si muove con disinvoltura e sa sedurre anche fuori dal palcoscenico.

Conosce Gaudi e ne nasce un rapporto intimo. L’architetto rimane affascinato dalla giovane ballerina. Scrive che le sue curve sono le stesse dei suoi disegni. Si dice che lei abbia fatto anche da modella per alcune parti della Sagrada Famiglia. Vero o no, di certo Gaudi le fa diversi ritratti.

Ma ormai Carolina è lanciata e non può fermarsi a Barcellona. La sua ambizione può avere solo una meta che la soddisfi: Parigi. Là dove tutto accade e dove tutti gli artisti di ogni genere e specie corrono. La sua intenzione è anche quella di andare a scuola di danza. Perchè a lei nessuno l’ha mai insegnata. La tecnica è poca, il suo ballo è istintivo. L’entusiasmo che suscita nel pubblico, essenzialmente maschile, nasce dai suoi movimenti provocanti e felini, dalla sfrontatezza, dal suo aspetto, “pelle vellutata, corpo morbido, occhi verdi assassini”, scrivono i critici; dalla sua sensualità e dai suoi costumi audaci. Uno dei suoi più famosi prevede il seno nudo, ricoperto solo da gemme preziose (o forse finte) incollate sulla pelle. I suoi seni, che la scrittrice Colette descrive così “hanno una forma curiosa, come limoni allungati con le punte in su”, sono una delle parti del suo corpo più apprezzate. Si dirà che le cupole dell’Hotel Carlton di Cannes, costruito nel 1912, sono state modellate sulla forma del suo seno.

Manifesto pubblicitario disegnato da Ertè

A Parigi non fa fatica ad entrare nel cartellone delle Folies Bergère, il tempio della Belle Epoque. Il teatro inaugurato qualche anno prima che ha rivoluzionato il modo di fare spettacolo, lanciando il varietà (due anni dopo aprirà anche il Moulin Rouge) .
Sul suo palco vanno in scena balletti, si esibiscono comici, cantanti, prestigiatori (i più famosi all’epoca sono i fratelli Isola), l’incantatrice di serpenti Nala Demajenti, il canguro pugile. Qualche anno dopo anche Charlie Chaplin. Pittori come Manet e Toulouse-Lautrec ne celebrano i fasti nei loro quadri.

Alle Folies Bergère, in quegli anni danza anche un’altra famosa ballerina, l’americana Loie Fuller. Anche lei non ha mai studiato danza, ma è una geniale inventrice di scenografie, esibendosi con i suoi lunghi veli e i giochi di luce.

Ma il pubblico apprezza di più l’erotismo esotico di Carolina, con i suoi capelli nero corvino e la pelle ambrata da gitana. Lei dice di essere andalusa, anche se non è vero. Insomma è un trionfo. Parigi la celebra come sex symbol della Belle Epoque. E qui scompare Carolina, al suo posto ora c’è la Belle Otero, come ormai tutti la chiamano.

Il bar delle Folies Bergère nel dipinto di Eduard Manet

Nel 1890 l’impresario André Jurgens, divenuto suo pigmalione, la porta in tournè in America. Anche qui è un trionfo. Quando torna in Europa, dopo due anni, le si aprono tutti i più grandi teatri del continente. E’ all’apice della carriera, è una star internazionale, forse la più famosa e idolatrata di tutte. La sua fama non è, come si è capito, di essere una grande ballerina, ma di essere la donna più conturbante e fatale.

Già da prima del suo arrivo a Parigi, la Belle Otero ha iniziato una seconda attività. Anzi, dal punto di vista economico, la principale. Quella di grande seduttrice, di cocotte o meglio di “grande horizontale”, che è la categoria più alta delle cocotte. Quelle che un tempo erano le cortigiane e oggi potremmo chiamare escort di superlusso. Ma in realtà oggi non esistono più, sono state il prodotto di un’epoca, che è durata anche relativamente poco.

In questa attività la Belle Otero era in buona compagnia. Non erano semplici prostitute, anche se il core business era lo stesso. Erano donne dotate di grande personalità e di straordinario talento seduttivo, capaci di creare attorno a sè un alone di mistero e di leggenda. Qualità grazie alle quali gli amanti potevano sceglierseli. Una scelta basata solo sull’ammontare del loro conto in banca. E dopo averli spremuti ben bene li gettavano.

Esisteva una certa quantità di uomini disposta a strisciare ai piedi di una donna (non certo la moglie) e a dilapidare patrimoni pur di godere delle loro grazie. E grazie a ciò molte di loro divennero tanto ricche da poter vivere nel lusso a volte sfrenato.

Tutto ciò era possibile nel contesto di una società pubblicamente sessuofobica e privatamente, nei suoi livelli alti, affamata di trasgressione. Nella quale la donna aveva un ruolo sottomesso ed era educata ad una condotta casta e pudibonda, il che dava a quelle che avevano fisico e carattere per collocarsi al di fuori della morale comune una straordinaria attrattiva.

Un fenomeno alimentato da una borghesia che ora si affianca all’aristocrazia quanto a ricchezze accumulate nei decenni del capitalismo selvaggio. Sono gli anni nei quali Parigi, fucilati a migliaia i ribelli della Comune, cambia volto. I nuovi ricchi corrono a comprare case sempre più sfarzose lungo i grandi boulevard, che il prefetto Haussmann fa costruire sventrando i miseri quartieri.

Le grandes horizontales erano donne libere ed emancipate, famose e mitizzate, creatrici di nuove mode. Erano le regine della vita notturna, anche se escluse dai salotti, ma spesso muse ispiratrici di artisti.
Ad esempio la Valtesse (acronimo di Votre Altesse), a cui Zolà si ispirò per il personaggio di Nana. In cambio della compagnia concessa a Napoleone III, aveva ricevuto il titolo di contessa. Oggi la sua camera da letto, sogno di tanti uomini, è un piccolo museo. Ma non era solo il letto il suo regno. Era anche una donna colta e raffinata e pure una generosa mecenate di artisti

Oppure Marie Duplessis, è lei la Signora delle Camelie di cui narra Dumas. Anche lei morta a 23 anni di tisi. Non si legò mai a nessuno: <Io gli ordini li dò, non li ricevo> diceva. Era famosa per la sua pelle d’alabastro, l’eleganza raffinata e aristocratica. Dickens scrisse inorridito che, il giorno della sua morte, i giornali francesi non parlavano d’altro che di lei.

La Belle Otero ha un altro stile. La sua non è certo una bellezza diafana, minata dalla tisi. E’ una bellezza selvaggia, forse anche selvatica, scura di pelle, alta, dotata di grande appetito anche a tavola, allegra, esuberante, dalla risata facile, abbigliamento vistoso, a volte un po’ eccessivo. Ma il suo successo non è inferiore, anzi.
Il suo palmares di trofei maschili, sia in quantità che in qualità e più ancora in termini di introiti, è probabilmente inarrivabile. Considerato anche che è un’attività a mezzo servizio con quella artistica.

Sono decine e decine gli uomini che la corteggiano e la ricorpono di regali, nella speranza di essere accolti fra le sue braccia. I fortunati non sono pochi: re, principi, nobili, industriali e banchieri. I nomi più celebri: Edoardo VII d’Inghilterra, il principe Alberto di Monaco, Leopoldo del Belgio che le regala una villa ad Ostenda. Lo zar Nicola II che le regala una villa principesca sul mar Nero. Alfonso XIII di Spagna, il Kaiser Guglielmo II, il re della Serbia, il Kedivé d’Egitto e lo Scià di Persia, il Primo ministro francese, Aristide Briand, i miliardari americani William Vanderbilt e Paulo Sertori.

L’indubbia avidità la porta anche ad accettare uomini non del tutto appetibili. Lei stessa definisce il barone Ollstreder come ripugnante.
Dai suoi favoriti viene ricoperta di gioielli di ogni tipo, alcuni sono sfarzosi pezzi unici. Come il collier dell’ex imperatrice Eugenia, i favolosi orecchini dell’imperatrice d’Austria, una collana di diamanti di Maria Antonietta; una collana di perle nere di due chili appartenuta a Eugénie de Montijo.

Molti son pronti a far follie sino a togliersi la vita se respinti e soprattutto quando vengono liquidati. Sui suicidi di amanti disperati forse la leggenda è un po’ sfuggita di mano. A seconda delle biografie si parla di tre, cinque addirittura sette. Due uomini, si narra, arrivano a sfidarsi a duello per lei, perdendo entrambi la vita. Un aneddoto più da piece comica che tragica..

L’unico suicidio di cui vi è certezza è quello di Hernest Jurgens, il suo primo impresario, quello che la porta negli Usa. Qui lui si innamora follemente , lei si concede, ovviamente un amore a peso d’oro. Quando lei gli da il benservito, Andrè la invita ad una cena d’addio in uno dei più famosi ristoranti di New York, che fa arredare in stile funerario: alle pareti tendaggi di seta viola, marrone e verde scuro, stessi colori per le tovaglie, lanterne in ferro battuto e candele viola che riflettono sulle sete lugubri bagliori. I cibi serviti tutti su vassoi di argento opacizzato da cameriere mulatte in clamide viola e calzari d’argento.

Pare che la Bella Otero, sorpresa e turbata dalla messinscena, chieda: <Porque todo eso?>. E pare che Jurgens, fissandola con sguardo disperato, non risponda. Un addio sommamente scenografico e straziante, ma senza parole. Ma con un epilogo tragico: l’uomo che aveva lasciato la famiglia per lei, si era ridotto sul lastrico per farle regali favolosi e aveva anche perso lavoro e reputazione, si uccide col gas qualche giorno dopo.

La Belle Otero avrà uno stuolo di amanti di lusso, ma non si lega nè innamora mai di nessuno. Sono storie che possono durare una notte o una manciata di giorni o qualche settimana, ma inesorabilmente lei comunica la parola fine all’interessato. L’unico amore vero della sua vita rimane quello verso il ragazzino Paco, col quale fuggì dal collegio. Che fu anche l’unico a rifiutarla.

Tutto questo oggi può apparire molto strano, quasi inverosimile. Sicuramente la Belle Otero aveva qualità eccelse nell’arte del peccato, ma se guardiamo le sue foto, le perplessità si rafforzano. Con gli standard di oggi si potrebbe arrivare a dire che era persino un po’ bruttina. Oltrechè, come artista, abbastanza mediocre.

Un poco aiutano a spiegare il suo irresistibile magnetismo le parole di un direttore di teatro che la vide ancora giovanissima: <… mi apparve come un linguaggio vivente: la sua danza era messaggio, parola, allegoria. Lei mi fece pensare all’amore carnale, al corpo a corpo nella danza amorosa… tramite le evoluzioni della danza richiamava ossessivamente alla mente il tortuoso ondeggiare del serpente tentatore. Il suo corpo, i suoi gesti, il suo sguardo, il soffio vitale che emanava da lei, arroventavano l’aria tanto che a un certo punto, preso da un impulso sconosciuto, le gridai: “Basta, ora tu danzerai per me!”>.

A questo si aggiunge un temperamento quasi sfacciato nella sua esuberanza e spregiudicatezza. La Belle Otero, ad esempio, amava i coup-de-teatre, le messinscena spettacolari. Come quando in un club di Mosca si offre al granduca Nikolaj completamente nuda, adagiata su un enorme vassoio d’argento portato a spalla da quattro ufficiali in alta uniforme.

O quando organizza, assieme a Diane Valon, altra celebre cocotte, un duello nel Bois de Boulogne davanti a una folla di curiosi molto eccitati. In un’alba gelida, si presentano accompagnate dai padrini e con indosso una pelliccia lunga fino ai piedi. Impugnate due pistole, lasciano scivolare la pelliccia a terra e, a torso nudo, si sparano. Nessuna rimane ferita, ovviamente. La Otero è qualcosa che va al di là del suo focoso fascino e della sua ars amatoria, è un lussuoso oggetto di moda, è un mito e una sorta di status symbol che alcuni uomini potenti dell’epoca non possono, anche se per poco, non possedere.

Gli aneddoti che ci rendono la sua vita come una fiaba prosaica e fantastica sono numerosi. Non sempre attendibili in ogni particolare, ma nella sostanza veritieri.

Lo Scià di Persia, appena giunto a Parigi, attratto dalla sua fama, che aveva raggiunto anche l’oriente, vuole averla. E’ un uomo ben poco avvenente, anzi lei lo descrive come puzzolente e debolmente virile, ma è ricco come può esserlo lo scià, come dirgli di no? Muzzaffar-ed-Din è metodico, ogni appuntamento si ripete uguale. Arriva a casa della Otero alle 14 e se ne va alle 17, scortato dai suoi giannizzeri. Poco dopo si presenta un ciambellano che porge alla donna, sopra un cuscino, un cofanetto d’oro con dentro un gioiello. Il cofanetto d’oro però il ciambellano se lo riporta via.

Il granduca Nicolaj, quello a cui era stata portata su un vassoio, quando ha sentore che l’amore a lui concesso stia per scadere, decide di sequestrarla. Lei riesce a fuggire attraverso una minuscola finestra della stanza dove era stata rinchiusa. Ma cade nella neve praticamente nuda, a meno venti, e si prende la polmonite. Così almeno lei racconta.

Una sera del 1901 è invitata a bordo del panfilo Lysistrata, da James Gordon Bennet, editore americano. Dopo una cena con John Rockefeller, Henry Ford e William Vanderbilt, si esibisce nelle sue danze gitane. Alla fine Vanderbilt si getta ai suoi piedi nudi e, baciandoglieli, esala un: «Permettetemi di adorarvi».

Colui che in quel momento è forse l’uomo più ricco d’America, grazie alle sue compagnie di trasporto marittime e ferroviarie, è da qualche settimana in gara con Rothschild per aggiudicarsi il letto della Otero. Gara combattuta a suon di gioielli fatti appositamente per lei da Tiffany. Quella sera, dopo i baci, mette sul piatto uno yacht, che la bella spagnola sul momento rifiuta dicendo che soffre il mal di mare. Ma che poi accetta. Non è escluso che, pur avendo Vanderbilt vinto la gara, lei non abbia concesso un premio di consolazione anche a Rothschild.

Il banchiere Berguen arriva ad offrirle 25.000 franchi per passare una sola mezz’ora nella sua camera. Non è noto se abbia avuto i suoi 30 minuti.
Lo zar, invece, saputo del suo ottimo appetito, le manda un astuccio con 12 cucchiai di oro massiccio ed una fornitura di rarissimo caviale.

Un’altra leggenda narra che una sera da Chez Maxim’s (altre versioni parlano dell’hotel de Paris di Montecarlo) il suo tavolo era vicino a quello di Alberto I di Monaco (nonno dell’attuale principe). Lei chiede un po’ di pane e si vede arrivare un lungo grissino sul quale è avvolta una collana di perle di grande valore, omaggio di Alberto. Viene da chiedersi se il monegasco girasse sempre con in tasca una collana di perle per ogni evenienza, ma la storia è bella così.

Leggenda nella leggenda, pare che lei, avvicinatasi al principe, gli sussurri: «Mangerò le perle e indosserò il pane». E’ fatta, diventano amanti, e lui perde letteralmente il senno tanto da donarle i gioielli della corona. Rinsavito dopo essere stato regolarmente abbandonato, è costretto a pagarle una fortuna per riaverli.
Si capisce perchè uno dei suoi motti preferiti era: «La fortuna viene dormendo, ma non da sola.»

Anche le donne perdono la testa per lei. Valentine de Bruges, attrice e soubrette di una certa notorietà, la copre di regali, le dichiara la sua passione e le rivela il suo desiderio carnale. Pare che la Belle Otero sia molto tentata, questa volta non tanto dal valore dei doni, quanto dall’esperienza che le avrebbe dischiuso anche la porta del mondo femminile. Ma le cronache ufficiali dicono che, dopo aver illuso l’attrice, la respinge. E così per qualche tempo la bella Valentine si veste a lutto.

Anche durante la tournè in Italia, gennaio 1896, miete successi di pubblico e di spasimanti. Con un’eccezione: a Bologna viene fischiata, forse è l’unica volta che accade.
Per consolarsi riceve dal conte Florio, in cambio di una notte d’amore, un gilet fatto di smeraldi firmato Cartier, che lei indossa direttamente sulla pelle.

Resta invece un piccolo mistero come D’Annunzio, che ovviamente non poteva mancare un appuntamento di questo genere, sia riuscito a farla sua. Essendo che il Vate più che grandi ricchezze aveva un certo numero di creditori alle calcagna.
Il poeta, corso a vederla a teatro, rimane estasiato e le invia una propria foto con dedica “alla beltà vivente”, descrivendola come “un sogno d’ebano e d’oro”.
La Otero disvela una insospettata sensibilità alla poesia, visto che accetta l’invito di recarsi a casa di D’Annunzio, che le fa trovare un tappeto di rose rosse su cui posare i suoi piedini incantati. Cavandosela indubbiamente con una spesa modesta.

La Belle Otero vanta anche un record nel nuovo mondo del cinema. Nell’agosto del ’98 infatti un operatore cinematografico, che lavora per i fratelli Lumiere, filma un minuto di un suo spettacolo a San Pietroburgo. Si può dire che fu la prima stella del cinema.

Grazie ai sontuosi compensi per le sue esibizioni e ai favolosi regali che riceve, accumula una spropositata ricchezza, secondo alcune stime circa 25 milioni di dollari. Un patrimonio che comprende persino un’isola. A Parigi ha casa al Bois de Boulogne con quindici domestici, un segretario, una carrozza e un’automobile, una delle prime in circolazione, avuta in dono direttamente dalla De Dion-Bouton, casa automobilistica dell’epoca. Questa volta non è un regalo d’amore, bensì una trovata pubblicitaria, l’auto infatti è stata costruita su misura per lei, tenendo conto anche dell’altezza dei suoi vistosi cappelli piumati.

La Belle Otero accumula denaro, ma lo spende in egual misura, concedendosi agi e lussi, ma soprattutto dando sfogo al suo principale vizio: il gioco. Accanita frequentatrice dei casinò, in particolare quello di Montecarlo, è in grado di perdere in una sera qualche milione di franchi. Nel 1901 in alcune serate al casinò di Nizza lascia al tavole verde 8 milioni e la sua collezione di perle e diamanti.

Il 28 giugno 1914 il colpo di pistola che uccide l’arciduca Francesco Ferdinando e dà il via alla prima guerra mondiale, uccide anche la Belle Epoque. Un’epoca si chiude, anche per la Belle Otero.
Anche se per lei forse più spietata della guerra è ormai l’anagrafe, Nel 14 ha 46 anni, che all’epoca sono di più dei 46 di oggi. La sua carriera volge al termine. Nel corso della guerra organizza spettacoli per i soldati francesi. Ma, terminato il conflitto, abbandona le scene.

Si ritira a Nizza, dove acquista una sontuosa proprietà, costata diversi milioni di dollari. E dove vive sola, senza un compagno, dopo averne avuti decine e senza l’amore che non ha mai avuto. Qui vive di ricordi e scrive le sue memorie. Ed è pian piano dimenticata da tutti, tranne un misterioso e imperituro innamorato.

Continua a vivere in modo dispendioso e a sperperare denaro al casinò. Solo che ora assegni e regali non arrivano più e così il suo patrimonio si assotiglia. Ha anche la sfortuna di vivere molto a lungo, si potrebbe dire sopravvivendo decenni a sè stessa. Così i soldi finiscono e deve vendere la sua lussuosa casa. E poi tirare avanti quasi in povertà.

Riesce a sopravvivere grazie all’assegno che le arriva ogni mese da un anonimo ex, si dice sia re Leopoldo del Belgio. E successivamente grazie al sussidio concessole dal comune.
Muore nel 1965 a 97 anni, nella modesta stanzetta di una pensione. In tasca pochi franchi e su un fornelletto a spirito un po’ di caffè riscaldato..

Nella sua autobiografia ha scritto: «Sono stata schiava delle mie passioni, degli uomini mai». Che è l’epitaffio perfetto per la grande Belle Otero.

giorgio gazzotti