Paracadutisti della Wehrmacht in piazza Sa Pietro a Roma, dopo l’8 settembre

Fu capo del Servizio segreto

che ordinò l’uccisione

dei fratelli Rosselli.

In Slovenia ordinò

di uccidere senza pietà

i civili. Dopo l’8 settembre

ordinò di non difendere

Roma e poi scappò.

Il generale maestro di intrighi, delitti e fughe

Il generale Mario Roatta

A soli 19 anni era già sottotenente di fanteria. Del resto la carriera militare era un destino segnato. Il padre, piemontese doc, era capitano dell’esercito. Mario Giuseppe Leon Roatta nasce a Modena nel 1887, ma solo perchè il padre vi era stato trasferito.

Durante la prima guerra mondiale si guadagna ben tre medaglie d’argento e il grado di tenente-colonnello.
Ma non è solo un buon militare operativo, Roatta mostra subito le sue doti migliori: le relazioni, la politica, l’intrigo. E così, nel 27, viene mandato a Varsavia come addetto militare.

Magro, viso affilato, ma dai tratti marcati, con un grosso naso, capelli impomatati. Porta degli occhialini tondi cerchiati di metallo a pince-nez, un vezzo che si intona bene con il suo aspetto azzimmato. Roatta è anche molto ambizioso, è un carrierista, come lo sono quasi tutti i militari di grado, ma lui mostra subito un vero talento nell’allacciare rapporti utili, mettersi in mostra, lavorare nell’ombra.

A capo del servizio segreto

Viene promosso colonnello e, poco dopo il rientro in Italia, nel 34 è messo a capo del Sim. Mussolini ha deciso di potenziare il servizio segreto militare e Roatta gli viene suggerito come l’uomo giusto. E probabilmente lo è. Una buona parola la mette anche Galeazzo Ciano, con il quale Roatta è entrato in contatto, attraverso il suo capo di gabinetto Filippo Anfuso.

Fino a quel momento il Duce aveva privilegiato l’Ovra, perchè si fidava poco dei militari. Ma ora l’Italia sta per giocare un ruolo maggiore sullo scenario internazionale e su quello militare. E occorre uno strumento adeguato.
A Roatta vengono raddoppiati i fondi, così può aumentare notevolmente il numero dei collaboratori, tra i quali per la prima volta vengono arruolate anche donne. Viene creata una sezione “intercettazioni” ed una di “prelevamento”, cioè sottrazione di codici crittati dalle sedi diplomatiche, che metterà a segno buoni colpi.

Il primo banco di prova è l’invasione dell’Etiopia. E Roatta non parte bene: il Sim prevede che i libici si solleveranno contro l’oppressore turco e invece, assieme ai turchi, combatteranno strenuamente contro gli italiani.
Il Sim sarà bravo invece a nascondere l’uso dei gas sulla popolazione. Venuti a sapere di alcune foto che stanno per essere spedite ad un giornale inglese, gli uomini di Roatta riescono a intercettarle e a sostituirle con foto di libici affetti da lebbra. Il giornale le pubblica e l’Italia può dimostrare che si tratta di foto false.

Appena conclusa la guerra di Etiopia, Roatta viene mandato in Spagna, pur rimanendo a capo del Sim, col compito di organizzare la partecipazione italiana alla guerra civile. Allaccia rapporti personali molto stretti con Franco, ed evidentemente lo conquista, tanto che il futuro Caudillo pensa di nominarlo capo di stato maggiore delle sue truppe, ma Mussolini si oppone.

Alla testa delle camice nere partecipa con successo alla conquista di Malaga e nell’occasione rimane ferito ad un braccio. Episodio che gli procura la promozione a generale di brigata. La sua ascesa e fama subisce però un duro colpo, pochi mesi dopo. Nel marzo del 37 le truppe italiane subiscono una dura sconfitta a Guadalajara, un vero e proprio smacco per il regime, perchè a sconfiggerle è anche il battaglione Garibaldi, formato da antifascisti italiani. Così cocente che Roatta viene rimosso e sostituito dal gen. Bastico.

Ma è solo un incidente sul suo percorso in ascesa. Rimane in Spagna, come comandante di divisione, e guadagna un’altra medaglia. Intanto dirige l’attività del Sim, che dietro le quinte della guerra civile è intensa ed anche efficace. Utilizzando l’organizzazione fascista francese Cagoule, riesce a sabotare i rifornimenti di armi dalla Francia verso i repubblicani. Per ogni mercantile, treno o autocarro fatto esplodere il Sim paga un premio.

L’uccisione dei fratelli Rosselli

Nell’autunno del 36 viene convocato a Roma da Ciano, al quale è ormai legato a filo doppio. Il ministro degli esteri ha da sottoporgli una questione delicata. I fratelli Rosselli a Parigi, soprattutto Carlo, sono un problema e bisogna trovare il modo di risolverlo.


Il gen. Roatta (al centro), assieme a Mussolini e al gen. Cavallero

Non c’è bisogno di entrare nei dettagli. Roatta sa fare il suo mestiere e non servono troppe parole per capirsi. Ciano raccomanda cautela e il generale lo rassicura: <Eccellenza abbiamo gli uomini giusti>.

Di occuparsi della questione viene incaricato il col. Santo Emanuele, capo del controspionaggio, che a sua volta passa l’ordine al maggiore Navale, capo del centro Sim di Torino, e al tenente Petrignani, che dirige un nucleo del Sim a Marsiglia.
Il centro di Torino aveva assunto un importante ruolo, proprio perchè teneva i rapporti con la Cagoule, un’organizzazione di cui facevano parte anche diversi militari. Per questo godeva di notevoli risorse, con le quali finanziava i terroristi francesi. Tra l’altro usufruiva anche dei proventi del “Cafè Jolanda”, un bordello di Sanremo che il Sim gestiva attraverso una tenutaria-informatrice..

Navale incontra i capi della Cagoule a Montecarlo e chiede loro di studiare i movimenti dei fratelli Rosselli per poi eliminarli. Quelli chiedono in cambio una partita di almeno cento moschetti Beretta semiautomatici.
Il 9 giugno del 37 l’auto con a bordo i Rosselli viene bloccata da altre due vetture, in una strada di campagna. Il commando è guidato da Jean Filliol, detto “l’assassino”. I due vengono fatti scendere ed uccisi. I corpi vengono trovati due giorni dopo.

Terminata la guerra di Spagna, nel luglio 39, Roatta viene mandato come addetto militare a Berlino. Incarico molto delicato, siamo nelle settimane che precedono l’inizio della guerra. Ma qui non ha modo di attivare le sue doti, poichè i tedeschi, irritati per la decisione dell’Italia di non entrare in guerra, lo isolano. Non verrà nemmeno informato dell’attacco alla Polonia.

Tornato in Italia alla fine del 39, viene nominato sottocapo di stato maggiore dell’esercito. Il capo è Graziani, che di lì a poco viene mandato in Libia a sostituire Balbo, abbattuto dalla cotraerea italiana. Così di fatto il capo è lui.

Ora Roatta fa parte dei massimi vertici delle forze armate e si occupa della preparazione dell’attacco alla Grecia, piano che Mussolini vuole entro l’estate. Il Duce deciderà poi, su pressioni tedesche, di rinviare la campagna greca. Tanto che verranno smobilitate una parte delle truppe presenti in Albania.

Il disastro greco

Ma all’inizio di ottobre Mussolini decide improvvisamente l’attacco, per “ripagare i tedeschi della stessa moneta“, visto che avevano invaso la Romania, senza neppure avvertirlo.
I generali sanno bene che in pochi giorni non è possibile organizzare adeguatamente l’attacco, per di più si avvicina l’inverno ed è meglio evitare le montagne dell’Epiro con pioggia e freddo. Ma, come già in passato, danno prova della loro impreparazione, piaggeria e mancanza di coraggio.

In un vertice del 15 ottobre, di fronte ad un Mussolini scalpitante, il gen. Visconti Prasca sostiene che le truppe sono pronte e sufficienti, che i greci sono impreparati e l’avanzata sarà facile. Badoglio, da sempre contrario all’invasione si mostra più prudente, ma non si oppone. Roatta, che in estate aveva previsto in 20 divisioni il numero necessario per l’occupazione della Grecia, dice che in un primo momento otto possono bastare e che presto ne invierà altre, pur sapendo che i tempi sarebbero stati lunghi. Del resto non può contraddire Prasca, avendo lui stesso, in un rapporto precedente (fatto come era uso per ingraziarsi il Duce e Ciano) elogiato in maniera smodata la preparazione e l’efficienza dell’esercito italiano.

Due giorni dopo Roatta e Badoglio, che di fronte a Mussolini si erano comportati da perfetti yes man, in una riunione coi capi di Marina e Aeronautica ammettono che si sta compiendo un grave errore, non solo per la carenza di uomini, ma ancor più di mezzi, armi ed equipaggiamento. Così decidono di provare a convincere Mussolini a sospendere l’attacco. Va Badoglio a parlare col Duce, ma ancora una volta si mostra debole e timoroso e ottiene solo un rinvio di due giorni.

Soldati italiani in Grecia

L’invasione della Grecia inizia il 28 ottobre e si rivelerà un disastro. Per fare un dispetto a Hitler migliaia di uomini vengono mandati a morire nel fango, sui monti dell’Epiro.

Un disastro, ma non per Roatta, che evidentemente ancora una volta si è mosso con astuzia e prudenza. Di fatto i vertici militari vengono azzerati, tranne lui. Badoglio viene fatto dimettere, il generale Prasca è congedato e il generale Soddu, sottosegretario alla guerra, rimosso.
Roatta non viene toccato ed anzi, nel marzo del 41 è promosso a capo di stato maggiore dell’Esercito.

I rapporti con il gen. Cavallero, che ha preso il posto di Badoglio, non sono buoni. Cavallero diffida di Roatta, troppo ambizioso e intrigante. Su di lui, ma soprattutto sulla moglie, cominciano a girare voci e pettegolezzi. Tanto che in una nota la polizia segnala che la moglie Ines <conduce una vita sfarzosa e inappropriata>.
Non è improbabile che la nota sia il frutto di una guerra sotterranea ai vertici delle forze armate. Oltre ad avanzare dubbi anche di tipo morale sulla moglie, vi si legge infatti il sospetto sulle disponiilità finanziarie di Roatta, derivanti da possibili introiti illeciti.

In Slovenia ordinò: nessuna falsa pietà

Sta di fatto che dopo 9 mesi Cavallero decide di toglierselo dai piedi e lo manda a comandare l’armata che occupa Slovenia e Dalmazia.
Qui da un punto di vista militare la situazione è tranquilla. Ma da qualche mese le formazioni partigiane si sono fatte più attive e piu organizzate, grazie anche all’appoggio di cui godono tra la popolazione. Due mesi dopo il suo arrivo, Roatta emana quella che poi diverrà la tristemente nota “Circolare 3C”.

Contiene le nuove disposizioni per stroncare la resistenza slava. Il primo obiettivo è cambiare la mentalità dei soldati italiani. Vanno cioè <ripudiate quelle qualità negative, compendiate nella frase “bono italiano“>. Ecco il problema, mentre i tedeschi sono temuti per la loro spietatezza, gli italiani sono considerati dalla popolazione “brava gente” e quindi non sufficientemente temuti. D’ora in poi, spiega Roatta, sloveni e croati dovranno avere paura anche degli italiani.

La popolazione civile deve essere considerata come una potenziale forza belligerante nemica. Il che comporta che alle azioni partigiane si risponde con rappresaglie sui civili: incendi di case e villaggi, esecuzioni sommarie, raccolta e uccisione di ostaggi, internamenti nei campi di concentramento. Si dovrà rispondere ai partigiani “testa per dente“, scrive Roatta.
Successivamente ordina di “…applicare le sue disposizioni senza false pietà“, dando così inizio a una vera e propria azione di terrore contro i civili che aiutano le bande partigiane

Il generale rincara poi la dose arrivando a propugnare una vera e propria pulizia etnica: <… Se necessario, non rifuggire da usare crudeltà. Deve essere una pulizia completa. Abbiamo bisogno di internare tutti gli abitanti e mettere le famiglie italiane al loro posto…. l’internamento può essere esteso… sino allo sgombero di intere regioni, come ad esempio la Slovenia. In questo caso si tratterebbe di trasferire, al completo, masse ragguardevoli di popolazione… e di sostituirle in loco con popolazioni italiane>.

Gli ordini di Roatta vengono eseguiti con particolare zelo. Secondo dati di fonte slava nella sola provincia di Lubiana vengono fucilati come ostaggi o durante operazioni di rastrellamento circa 5.000 civili, ai quali vanno aggiunti i circa 200 bruciati e massacrati in modi diversi. Novecento invece i partigiani catturati e fucilati. A loro si devono aggiungere oltre 7.000 persone in gran parte anziani, donne e bambini morti nei campi di concentramento in Italia. Complessivamente muoiono più di 13.000 persone; vengono distrutti 800 villaggi, bruciate tremila cae, e internate 33mila persone.

Fucilazione di civili in Slovenia

Anche se è possibile che questi numeri siano un po’ gonfiati, è fuor di dubbio che, nel corso del 42 e inizio 43, eseguendo gli ordini di Roatta, le truppe italiane si macchiano di efferate azioni di rappresaglia e crimini di guerra. Comportamento che ha l’effetto di aumentare enormemente l’ostilità della popolazione, l’appoggio all’esercito partigiano e le successive vendette verso la popolazione italiana.

La gara con i tedeschi non è solo nell’emulare la loro ferocia verso i civili, ma è mossa anche da contrapposti interessi nel teatro slavo. La Wermacht è alleata degli ustascia croati, un’organizzazione neonazista che, tra i suoi obiettivi, ha la cacciata degli italiani dalla Dalmazia. Roatta in risposta arruola gruppi di cetnici serbi, nemici giurati degli ustascia.

E’ anche per questo che, quando Hitler chiede che gli vengano consegnati gli ebrei sloveni, internati nei campi italiani, Roatta consiglia di rifiutare, facendo presente che ciò avrebbe potuto provocare la rottura con la minoranza serba alleata, visto che proprio agli ustascia era delegata la caccia agli ebrei, agli ortodossi e ai musulmani. L’l’Italia rifiuta la consegna, alla sua maniera, perdendo tempo.

Nel febbraio del 43 Roatta lascia Lubiana e viene mandato in Sicilia al comando della VI armata. Si teme uno sbarco alleato, ma prima di doverlo fronteggiare, viene richiamato a Roma e rinominato capo di stato maggiore dell’esercito. Entra far parte anche del Cosniglio della Corona, un organo ristretto a cui competevano le decisioni politiche più importanti.

Quando il 25 luglio Mussolini viene “deposto” ed arrestato, Roatta emana un’altra infausta circolare, con la quale ordina all’esercito e alla polizia di reprimere ogni manifestazione inneggiante alla caduta del fascismo.

Gli ordini di Roatta sono brutali e spietati, forse pensa di essere ancora in Slovenia: <… ogni movimento deve essere inesorabilmente stroncato in origine… contro gruppi di individui che perturbino ordine… si proceda in formazione di combattimento e si faccia fuoco a distanza, anche con mortai e artiglieria senza preavviso di sorta, come se si procedesse contro truppe nemiche>.
In soli cinque giorni vengono uccise 93 persone e 536 ferite.

La fuga da Roma

Non mostra altrettanta decisione e durezza nei confronti dei tedeschi l’8 settembre.
Lui stesso in agosto aveva firmato la circolare che dava disposizioni ai comandanti d’armata di tenersi pronti a bloccare tutte le vie di comunicazione con la Germania e ad attaccare le truppe tedesche, se necessario. L’attuazione delle disposizioni è però condizionata a un nuovo ordine.

Alle 18 dell’8 settembre Roatta è a colloquio con due generali tedeschi, coi quali ancora concorda operazioni miltari comuni. Negli stessi minuti Radio Londra annuncia l’armistizio. Il doppio gioco degli italiani, che dopo aver fatto l’armistizio con gli alleati continuavano a giocare su due tavoli, è finito. E nel peggiore dei modi, in balia degli eventi, nella più totale impreparazione e pavidità.

In realtà ci sarebbero le disposizioni già date in agosto, ma Roatta e il gen Ambrosio, capo di stato maggiore della difesa, pur essendo i due massimi vertici delle forze armate, sostengono che l’ordine di attuazione deve darlo il capo del governo Badoglio, ma non riescono a rintracciarlo. Lasciano così le truppe italiane allo sbando. Ad attaccare i tedeschi ci vuole più coraggio che attaccare i civili inermi, e Roatta quel coraggio non ce l’ha.

Ma il generale, così duro e spietato, fa di più. Alle 5:15 del 9 settembre, a battaglia già iniziata alle porte di Roma e all’insaputa del suo superiore Ambrosio, ordina al comandante dellle truppe poste a difesa della capitale, di spostare su Tivoli le sue due divisioni e di disporvi una linea di fronte escludente la difesa di Roma e li attendere ordini. Che mai arriveranno, perchè pochi minuti dopo scappa da Roma, assieme a Vittorio Emanuele III, Badoglio, Ambrosio e i ministri militari. Lasciando così la città alla mercè dei tedeschi.

Non solo il regime fascista è caduto, ma anche lo Stato italiano è collassato e un piccolo favore ai tedeschi può forse tornare utile.

A Brindisi Roatta non sembra particolarmente angosciato dalla disfatta militare e morale dell’Italia e al destino di migliaia di soldati abbandonati a loro stessi. Nel suo diario sono frequenti le annotazioni riguardo a del buon vino regalatogli o alle uova fresche; il disappunto per i ritardi del sarto che deve confezionargli una nuova divisa e la soddisfazione per il ritorno alle sane abitudini: il pinnacolo e il caffè in ufficio.

Pochi mesi dopo però viene accusato della mancata difesa di Roma e il 12 novembre Badoglio lo destituisce da ogni incarico, sotto la pressione degli americani, che debbono dare un contentino a Tito, che chiede la sua testa e non in senso figurato. La sua irresistibile carriera precipita.

L’arresto, l’evasione, l’ergastolo

Viene istituita una Commissione d’inchiesta, che gli attribuisce la responsabilità della disfatta dell’8 settembre. Nel novembre del 44 viene arrestato. Come accadeva ed è continuato ad accadere fin quasi ai giorni nostri, per un militare di grado non si aprono mai le porte di un vero carcere. Con la scusa di problemi cardiaci, Roatta viene ricoverato in un ospedale militare, presso il liceo Virgilio.

La battaglia di porta S.Paolo. Nella quale alcuni reparti italiani e qualche centinaio di civili si opposero all’ingresso delle truppe tedesche a Roma

Di lì a poco viene messo sotto accusa anche per l’omicidio dei fratelli Rosselli. Roatta si difende sostenendo che all’epoca era sì il capo del Sim, ma trovandosi in Spagna a comandare il servizio era in realtà il suo vice, il col Angioy. Ed ecco, a dare una mano a Roatta, spuntare l’ex colonnello del Sim Emanuele, che, con un’inaspettata deposizione, ammette le responsabilità del Servizio segreto militare, ma accusa proprio Angioy di essere il mandante del duplice omicidio. L’accusa viene anche facile, visto che Angioy era stato internato in un campo tedesco e poi, liberato dai russi, si trova ancora in un campo sovietico in Ucraina.

A confermare le responsabilità del Sim arriva anche la confessione del maggiore Nobile che ammette di essere stato lui a contattare gli uomini della Cagoule.

Da Berlino, dove è ambasciatore di quel poco che resta del regime fantoccio di Salò, siamo nel marzo del 45, l’ex braccio destro di Ciano, Filippo Anfuso, manda un memoriale, nel quale accusa Emanuele e scagiona Ciano. E’ vero che l’ex ministro, ormai fucilato, si sarebbe vantato di essere il regista dell’operazione, ma lo fece solo per vanità. Anfuso aggiunge anche che Mussolini era stato informato, ma non era il mandante. In pratica scarica tutta la responsabilità su un umile colonnello.

Un teatrino abbastanza ridicolo. L’estraneità di Roatta non sta in piedi. Nonostante fosse in Spagna continuò ad esercitare il suo comando sul Sim e il suo legame con Ciano era tale che non è credibile che il ministro lo scavalcasse rivolgendosi al suo vice, per un’operazione di tale importanza.

Il giorno prima che la Commissione d’inchiesta depositi le sue conclusioni, il 4 marzo del 45, Roatta evade dall’ospedale e trova rifugio in Vaticano (non sarà l’unico a usufruire della benevolenza della Curia). La fuga è stata un gioco da ragazzi, a dare il via libera è stato il comandante generale dei carabinieri in persona, il gen Taddeo Orlando, che era stato un subalterno di Roatta in Croazia. Pare che una mano l’abbiano data anche i servizi segreti alleati. Sia gli inglesi sia gli americani “salvano” e poi arruolano molti uomini compromessi col regime fascista che, per le loro competenze e relazioni possono tornare utili nella ormai imminente guerra fredda.

Il giorno dopo la fuga, Orlando viene destituito e una settimana dopo Roatta ed Emanuele vengono condannati all’ergastolo e Anfuso alla pena di morte, che non sarà mai eseguita. Invece di essere messo al muro finirà in Parlamento nelle fila del Msi..

Ma Roatta è al sicuro in Vaticano e da lì collabora con gli americani a mettere in piedi l’Armata italiana della libertà, un’organizzazione militare guidata da alcuni generali, della quale fanno parte militari, carabinieri e civili, che avrebbe dovuto fronteggiare i comunisti, nel caso questi non avessero accettato l’estromissione, ormai prossima, dal governo.

Dopo qualche tempo fugge dall’Italia e raggiunge la Spagna, ospite del suo vecchio amico Franco.

Intanto giunge anche la richiesta di estradizione da parte della Jugoslavia per processarlo come criminale di guerra. L’Italia rifiuta sostenendo che i criminali di guerra italiani debbono essere processati in Italia.

Ma le cose stanno rapidamente cambiando. A partire dal 46 la quasi totalità degli uomini delle forze armate e della polizia coinvolti con il regime fascista, vengono reintegrati nei loro posti. Dopo le elezioni del 48, la Cassazione annulla la condanna all’ergastolo. Poco dopo viene assolto anche dalle accuse per la mancata difesa di Roma. Infine, nel giugno 1951, viene archiviata l’istruttoria sui crimini di guerra, in base a un cavillo giuridico del codice militare di guerra, che vincolava l’azione giudiziaria italiana alla reciprocità, vale a dire alla disponibilità della Iugoslavia di Tito a procedere nei confronti di chi aveva commesso crimini di guerra contro cittadini italiani.

Nonostante le assoluzioni e il reintegro nel grado di generale, Roatta rimane in Spagna fino al 1966. Rientrato in Italia muore nel 68.

Ma la sua storia e i suoi intrighi non sono finiti. Nel 1998 i magistrati di Brescia trovano alcuni documenti dell’Ufficio affari riservati del Viminale. In essi si parla di una struttura segreta, chiamata “Noto servizio” e poi “Anello”, composta di civili, ma dipendente dal servizio segreto militare, utilizzata fino agli anni 80 per operazioni coperte in funzione anticomunista, che comprendevano anche omicidi.
Una di queste veline riporta che il “Noto servizio” fu messo in piedi, tra il 43 e il 44, proprio da Roatta. E questo spiegherebbe anche l’interesse degli alleati verso di lui.

Non è dunque inverosimile che la sua longa manus, per interposte persone, abbia continuato a colpire più a lungo della sua stessa vita.

giorgio gazzotti