Bonifacio VIII è il principale nemico di Dante, vero artefice del suo esilio. Un papa che si immischia in questioni politiche per interessi personali: a Firenze sostiene i Neri, la fazione opposta a quella di Dante. Insomma un papa interessato più al potere temporale che a quello spirituale. L’esatto contrario di Gesù . Dante non ha peli sulla lingua, non teme di farsi nemici e colloca all’Inferno anche personaggi potenti della sua epoca, ma per Bonifacio c’è un problema .
Il viaggio di Dante all’Inferno è collocato nel 1300, anno giubilare e quindi pieno di significato, anche se Dante comincia a scrivere la Commedia dopo il 1304 (è la data più probabile, anche se non tutti sono d’accordo). Ma nel 1300 Bonifacio è vivo (morirà solo nel 1303).
Può Dante rinunciare a mettere all’Inferno il suo principale nemico? La sua prodigiosa fantasia gli suggerisce un espediente narrativo raffinatissimo.
(Inferno XIX, vv.22-33)
Fuor de la bocca a ciascun soperchiava
d’un peccator li piedi e de le gambe
infino al grosso, e l’altro dentro stava.Le piante erano a tutti accese intrambe;
per che sì forte guizzavan le giunte,
che spezzate averien ritorte e strambe.Qual suole il fiammeggiar de le cose unte
muoversi pur su per la strema buccia,
tal era lì dai calcagni a le punte.«Chi è colui, maestro, che si cruccia
guizzando più che li altri suoi consorti»,
diss’ io, «e cui più roggia fiamma succia?».
Siamo nell’ ottavo cerchio dell’inferno, molto in basso (più si scende più i peccati sono gravi, e i cerchi sono nove). Dante vede, dall’alto di un ponte che soverchia un fossato, che sul fondo e sulle pareti, scavati nella pietra, ci sono sono dei pozzetti circolari infuocati. I peccatori (sono i simoniaci, cioè quelli che hanno usato le loro cariche spirituali per ottenere vantaggi personali) sono conficcati a testa in giù nei pozzi, fino alla parte “grossa” delle gambe (polpaccio o coscia). Le piante dei piedi, rivolte verso l’alto, bruciano per una fiamma che non le consuma (come quando brucia una superficie unta e il fuoco non penetra più in basso). Le giunture si agitano tanto che potrebbero spezzare anche le funi più resistenti (ritorte e strambe). L’attenzione di Dante è catturata da due piedi succhiati da una fiamma più rossa, che si agitano piu velocemente degli altri. Virgilio lo autorizza a scendere nel fosso e a intervistare la coppia di piedi ardenti.
(Inferno XIX, vv. 46-57)
«O qual che se’ che ‘l di sù tien di sotto,
anima trista come pal commessa»,
comincia’ io a dir, «se puoi, fa motto».Io stava come ‘l frate che confessa
lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,
richiama lui per che la morte cessa.
Il linguaggio di Dante non è certo dei più raffinati e cortesi: usa una perifrasi sbrigativa, con parole che vengono dalla vita di tutti i giorni. E’ un modo per manifestare il suo disprezzo. Definisce l’anima un palo, piantato a rovescio. Si paragona a un confessore che si china su un sicario prezzolato, un killer, che all’epoca veniva giustiziato ficcandolo a testa in giù in una buca ,che poi veniva riempita di terra fino a soffocarlo.
Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto,
se’ tu già costì ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto.Se’ tu sì tosto di quell’ aver sazio
per lo qual non temesti tòrre a ‘nganno
la bella donna, e poi di farne strazio?».Tal mi fec’ io, quai son color che stanno,
per non intender ciò ch’è lor risposto,
quasi scornati, e risponder non sanno.Allor Virgilio disse: «Dilli tosto:
“Non son colui, non son colui che credi”»;
e io rispuosi come a me fu imposto.
Il “palo” non esita a rispondere, anzi grida, urla la sua rabbia nei confronti di quello che crede sia Bonifacio VIII. Ovviamente la commedia degli equivoci è generata dalla posizione dell’anima, che a testa in giù non può vedere chi è sopraggiunto. Solo alcune terzine dopo sapremo di chi si tratta: un altro papa, Nicolò terzo, noto per il suo nepotismo. Evidentemente quella è la fossa destinata ai papi. Nicolò si lamenta che lo scritto, cioè il libro del futuro, nel quale i dannati possono leggere, lo ha ingannato. Bonifacio doveva arrivare nel 1303, e invece siamo nel 1300.
Come è possibile questo equivoco? I dannati conoscono il futuro, ma non il presente, ed evidentemente non c’è tanta gente che passeggia per l’Inferno. Ma Nicolò ( in realtà Dante) in questo modo può rivolgere a Bonifacio un’accusa durissima. Ironicamente gli chiede se non si sia stancato di quell’ aver, cioè di quella ricchezza, per la quale non ha esitato a sposare (torre) la bella donna , cioè la Chiesa, per poi farne strazio. Insomma, afferma Nicolò-Dante, Bonifacio è diventato papa per accumulare ricchezze e potere, prostituendo la Chiesa che doveva invece proteggere, come un marito con la moglie. Quel che si dice parlar chiaro. Dante non capisce cosa sta accadendo e non sa che fare. Come può quell’anima scambiarlo per il suo acerrimo nemico? E’ Virgilio a ordinargli di sciogliere l’equivoco, dicendo con chiarezza di non essere Bonifacio.
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