Violette Toussaint è la guardiana del cimitero di un villaggio francese, Brancion, in Borgogna.  Sulla cinquantina, indossa abitualmente soprabiti scuri, sotto i quali spuntano però vestiti colorati e allegri. Vive nel villino che il comune concede ai guardiani del cimitero, e anche la casa ha la stessa duplicità: accogliente ma  austera la sala a pianterreno < Qui accolgo lacrime, confidenze, rabbia, sospiri, disperazione e le risate dei necrofori>,  colorata e profumata la camera da letto.

Violette è un’orfana (data per morta alla nascita), che ha trascorso la sua infanzia affidata a diverse famiglie, senza averne trovata una che la volesse con sé stabilmente. A diciassette  anni si è innamorata  follemente di un uomo di dieci anni più grande, Philippe Toussaint, di una bellezza sconvolgente, che, nonostante avesse a disposizione tutte le ragazze che voleva, ha scelto proprio lei, l’ha messa incinta e sposata, nonostante l’opposizione della famiglia. <Philippe Toussaint era come quei cigni che sono maestosi in acqua e traballano quando camminano sulla terra. Trasformava il nostro letto nel paradiso, era aggraziato e sensuale in amore, ma appena si alzava, appena si metteva in verticale abbandonando l’orizzontalità del nostro amore, perdeva parecchi punti. Era incapace di qualsiasi conversazione, gli interessavano solo la motocicletta e i videogiochi>.

Philippe,  dopo il matrimonio, pur non maltrattando la moglie, si dedica all’unica occupazione che ritiene adeguata alla sua indole: sedurre le donne. La coppia ottiene un lavoro come guardiani di un passaggio a livello, ma solo Violette apre e chiude le sbarre. Ed è sempre Violette che mantiene la famiglia col suo piccolo stipendio, mentre Philippe lascia alla madre l’amministrazione dei suoi introiti. Ma Violette è felice. La figlia, Léonine (nome scelto dalla madre, perché da grande la chiameranno Léo, e a Violette piacciono le femmine con un nome da maschio) appaga completamente il suo desiderio di dare e ricevere amore.

E’ l’amore che le è mancato nell’infanzia e  che riversa sulla bambina, che è bella come il padre. Per Leonine,  Violette, da adolescente semianalfabeta diviene una donna colta, sensibile, a suo modo  raffinata: <Man mano che vedevo la pancia arrotondarsi mi veniva voglia di ricominciare a imparare, di sapere cosa significasse davvero desiderare. Non tramite qualcuno, ma tramite le parole, quelle che sono nei libri e da cui ero rifuggita perché mi facevano paura>. La bimba merita non solo tutti i giocattoli che  il magro stipendio della madre consente di acquistare, ma deve essere allevata con cura, nutrita di libri e di fantasia, “annaffiata” come un fiore.

Poi  la modernizzazione tecnologica automatizza il passaggio a livello e la coppia, grazie all’interessamento di Violette, trova un altro lavoro, per certi versi simile: guardiani del piccolo cimitero, luogo nel quale la incontriamo all’inizio del libro.  Ormai da molti anni  Violette  è stata abbandonata dal marito (non sa neppure se Philippe sia vivo o morto) e la figlia non vive più con lei. .

Ma non è sola:  il prete, i titolari dell’agenzia delle pompe funebri e gli addetti alle sepolture sono ormai diventati i suoi amici. Spesso li invita a pranzo ed offre loro le gustosissime verdure del proprio orto, che coltiva con abilità e passione vicino a casa. (Essendo il cimitero in discesa, le acque reflue delle tombe non contaminano gli ortaggi). Il comune le ha dato anche il permesso di coltivare fiori da vendere ai visitatori, per arrotondare il magro salario. E’ ormai una donna colta, che ama la letteratura, la poesia, la musica francese.

Quando è necessario coltiva anche le piante sulle tombe, in cambio di un piccolo compenso, se le famiglie del defunto non possono farlo, o anche gratuitamente, se il morto non ha più parenti in vita.

Conosce quasi tutti i nomi dei defunti seppelliti nel cimitero: fa parte del suo lavoro dare indicazioni ai visitatori che non conoscono l’ubicazione di una tomba, ma Violette va molto oltre gli obblighi del suo contratto di lavoro. Spesso, come si è detto , accoglie in casa sua amici e parenti dei morti, la sua dimora è una specie di confessionale laico. Conosce non soltanto i nomi, ma anche la storia degli abitanti del piccolo cimitero e delle loro famiglie: le loro tombe parlano, come in una Spoon River moderna. La sua pietas, il suo bisogno di conservare anche una piccola traccia di chi non c’è più la porta ad annotare, anno per anno,  una breve memoria dei funerali che si svolgono nel “suo” cimitero:  il numero delle persone presenti, il loro atteggiamento, la scelta dei discorsi e della musica dicono molto del defunto, e qualcosa di noi rimane, se non altro nei registri di Violette.

Piante, fiori, ortaggi, gatti e cani, qualcuno dei quali continua a vivere fedelmente accanto a un padrone scomparso, adottati da Violette (tutti regolarmente vaccinati)   contribuiscono a rallegrare una vita che sembra scorrere serena in un luogo che appare quasi un locus amoenus.

Anch’io come altri lettori, ho avuto l’impressione, nella prima parte del libro, di trovarmi di fronte ad un personaggio molto simile alla Renée Michel protagonista del famosissimo L’eleganza del riccio: anche Violette, come Renée, nasconde, sotto un’apparenza dimessa e umile,  cultura, saggezza, personalità.

In realtà il romanzo è completamente diverso. Dopo una prima parte nella quale la narratrice ci racconta la vita passata e attuale della protagonista, senza nessun elemento che lo lasci presagire, il romanzo svolta bruscamente con  un colpo di scena, che cambia completamente la prospettiva della storia e  il genere, e diventa un vero e proprio giallo. Ovviamente non si può far torto al lettore rivelandolo.

Anche la modalità narrativa cambia: i brevi capitoli, tutti introdotti da un’epigrafe adatta ad una tomba, cominciano a riflettere non più solo il punto di vista di Violette, ma anche quello di Philippe, che diventa così un personaggio completamente diverso.

Un’altra storia si intreccia poi  a quella dei protagonisti: proprio quando Violette, ormai giunta all’età matura, non pensa che la vita possa riservarle grandi sorprese, giunge al cimitero Julien, un poliziotto di Marsiglia, con una strana richiesta. Sua madre, Irène, che ha visitato più volte la tomba del suo amante Gabriel, sepolto nel cimitero di Brancion, alla sua morte, ha dato disposizioni che le sue ceneri siano deposte proprio in quella tomba.

Julien è venuto in possesso del diario della madre, che  racconta la storia del suo amore per Gabriel. Nel diario Irène non ha dimenticato di ricordare, con gratitudine, la sensibilità e la delicatezza della guardiana.< La signora del cimitero è bella. Aveva una gonna dritta nera e una maglia grigia. L’ho trovata elegante, delicata,mi ha fatto quasi rimpiangere di non aver avuto una figlia. Ha messo in una teiera del tè in foglie che poi avrebbe versato col colino. Ha posato il miele sul tavolo. Si stava bene da lei. C’era un buon odore >. E così Julien vuole che anche Violette conosca la vicenda della madre e le fa leggere il diario.  Un’altra voce narrativa  si aggiunge quindi ad un romanzo delicato e insolito, originale e coivolgente,  scritto con uno stile accuratissimo.

L’ autrice è l’attrice, fotografa e sceneggiatrice (lavora al fianco del marito Claude Lelouch) Valérie Perrin, dopo il  Quaderno dell’Amore perduto (2015), propone  ai suoi lettori una storia fittissima di eventi,  che racconta i sentimenti senza enfasi, in modo del tutto credibile, che  ha vinto, nel 2018, il Prix Maison de la Presse, con la seguente motivazione: “Un romanzo sensibile, un libro che vi porta dalle lacrime alle risate con personaggi divertenti e commoventi”. Il punto di vista che passa dall’interno dei personaggi all’esterno, ci mostra come sotto l’apparenza ci sia molto spesso una realtà che deve  essere disvelata.

Il messaggio che il libro ci consegna è molto semplice, quasi banale, ma innegabilmente essenziale, affidato ad una orazione funebre di padre Cédric, posta quasi alla fine del romanzo: «Ricordiamo le parole della Prima lettera dell’apostolo Giovanni: Miei cari, noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita poiché amiamo i nostri fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i nostri fratelli. Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità».