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La risposta, almeno per Farinata degli Uberti, che Dante incontra nel sesto cerchio dell’Inferno dove sono puniti gli eretici, è affermativa. Eppure la sua pena non è certo lieve: costretto a giacere in un sepolcro infuocato, che, dopo il Giudizio universale, verrà chiuso per l’eternità da un coperchio di pietra. Ma per il momento il coperchio è aperto e Farinata, all’arrivo di Dante, sentendo parlare toscano, si erge dalla cintola in su per parlare con lui.

Farinata, nato cinquant’anni prima di Dante e morto nel 1264, nella prima metà del Duecento, era il capo dei ghibellini fiorentini, e, quindi apparteneva alla fazione avversa a quella della famiglia di Dante, di parte guelfa. Guelfi e ghibellini si alternavano  al potere, cacciando in esilio la parte soccombente, finchè nel 1267, i ghibellini furono definitivamente sconfitti ed esiliati.
Ma neppure la morte attenuò l’odio della parte vincitrice per un personaggio così grande, la cui vita era stata totalmente dedicata alla passione politica: nel 1283 i corpi di Farinata e di sua moglie, furono esumati, processati  per eresia e bruciati, i loro beni sottratti ai legittimi eredi e confiscati.

Il dialogo tra Dante e Farinata è, giustamente, tra i più  famosi della Divina Commedia.

(Divina Commedia, Inferno, X, 22-27)

«O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.

La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patrïa natio,
a la qual forse fui troppo molesto».

Farinata chiede cortesemante a Dante di fermarsi a  parlare con lui, perché lo ha riconosciuto come toscano, anzi, un toscano colto  e quindi appartenente ad una famiglia di qualche rilievo. Altrimenti non si sarebbe certo scomodato ad alzarsi!

(Divina Commedia, Inferno, X, 40-51)

Com’ io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?».

Io ch’era d’ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel’ apersi;
ond’ ei levò le ciglia un poco in suso;

poi disse: «Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fïate li dispersi».

«S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte»,
rispuos’ io lui, «l’una e l’altra fïata;
ma i vostri non appreser ben quell’ arte».

A Farinata non interessa Dante come individuo, ma solo chi siano i suoi antenati, perché vuole sapere a quale fazione appartiene la sua casata. Che sfortuna, per Farinata: capita che passi di lì un toscano, anzi un fiorentino, vivo, da cui potrebbe apprendere  le ultime novità sulla politica della sua città, ed è un guelfo! Ma l’Inferno non lo ha domato, la sua passione politica arde ancora come quando era in vita e ricorda a Dante che, lui, i guelfi li ha cacciati in esilio due volte. Ma Dante, inizialmente intimorito da un personaggio così illustre e famoso, risponde a tono: è vero, ma per due volte sono tornati, mentre i ghibellini non hanno imparato l’arte del ritorno!

(Divina Commedia, Inferno, X, 77-93)

(…)«S’elli han quell’ arte», disse, «male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto.

Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell’ arte pesa.

E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
incontr’ a’ miei in ciascuna sua legge?».

Ond’ io a lui: «Lo strazio e ‘l grande scempio
che fece l’Arbia colorata in rosso,
tal orazion fa far nel nostro tempio».

Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,
«A ciò non fu’ io sol», disse, «né certo
sanza cagion con li altri sarei mosso.

Ma fu’ io solo, là dove sofferto
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
colui che la difesi a viso aperto».

La risposta di Farinata rivela tutto il suo sconforto: per lui la disfatta dei Ghibellini, il sapere che sono stati definitivamente esiliati da Firenze,  è un tormento che supera il supplizio infernale. Subito dopo profetizza a Dante un destino analogo: non passeranno cinquanta mesi (la luna piena non tornerà per cinquanta volte), che anche lui saprà quanto è faticosa l’arte dell’esilio (è una delle tante profezie che saranno definitivamente chiarite in Paradiso da Cacciaguida). Ma Farinata, prima di ricadere nel suo sepolcro infuocato, ha ancora una domanda per il suo concittadino.

Perché i fiorentini sono così impietosi e crudeli contro i discendenti dei Ghibellini (e i suoi in particolare)? Dante non esita a rispondere: a Firenze è ancora vivo il ricordo della battaglia di Montaperti (1260) sanguinosissima,  tanto da tingere di rosso l’acqua del fiume Arbia. Una battaglia di una guerra fratricida, nella quale i ghibellini fiorentini rifugiati a Siena, unendosi con i senesi , sconfissero i guelfi, riappropriandosi vittoriosi della città.

Ma qui Farinata rivela la grandezza del suo animo, che supera la faziosità che lo aveva caratterizzato da vivo e non lo ha abbandonato da morto. L’odio dei capi ghibellini era tale che, dopo aver riconquistato Firenze, l’avrebbero voluta distruggere: ma lui, unico,  si oppose, facendo prevalere l’amore per la patria sugli interessi di parte. E’ lo stesso amore che Dante proverà per tutta la vita per una città che lo ha ingiustamente condannato ed esiliato.