Inferno XXXIV, (vv. 28- 69)
Lo ‘mperador del doloroso regno
da mezzo ‘l petto uscia fuor de la ghiaccia;
e più con un gigante io mi convegno,che i giganti non fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant’ esser dee quel tutto
ch’a così fatta parte si confaccia.S’el fu sì bel com’ elli è ora brutto,
e contra ‘l suo fattore alzò le ciglia,
ben dee da lui procedere ogne lutto.Oh quanto parve a me gran maraviglia
quand’ io vidi tre facce a la sua testa!
L’una dinanzi, e quella era vermiglia;l’altr’ eran due, che s’aggiugnieno a questa
sovresso ‘l mezzo di ciascuna spalla,
e sé giugnieno al loco de la cresta:e la destra parea tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
vegnon di là onde ‘l Nilo s’avvalla.Sotto ciascuna uscivan due grand’ ali,
quanto si convenia a tanto uccello:
vele di mar non vid’ io mai cotali.Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
sì che tre venti si movean da ello:quindi Cocito tutto s’aggelava.
Con sei occhi piangëa, e per tre menti
gocciava ‘l pianto e sanguinosa bava.Da ogne bocca dirompea co’ denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
sì che tre ne facea così dolenti.A quel dinanzi il mordere era nulla
verso ‘l graffiar, che talvolta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla.«Quell’ anima là sù c’ha maggior pena»,
disse ‘l maestro, «è Giuda Scarïotto,
che ‘l capo ha dentro e fuor le gambe mena.De li altri due c’hanno il capo di sotto,
quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
vedi come si storce, e non fa motto!;e l’altro è Cassio, che par sì membruto.
Ma la notte risurge, e oramai
È da partir, chè tutto avem veduto
Lucifero, la creatura più bella che Dio ha creato si è trasformata, dopo la ribellione, nella più brutta. Scagliata da Dio nel centro esatto della terra, dal quale esercita la sua malvagia influenza su di noi, è conficcata fino alla metà inferiore del busto al centro della palude ghiacciata creata dal fiume Cocito, che costituisce il nono cerchio. Qui sono puniti i traditori, imprigionati nel ghiaccio, alcuni con la testa che sbuca fuori, altri completamente immersi, a seconda della gravità del tradimento.
Dante e Virgilio, camminando verso il centro del cerchio, avvertono un vento gelido, sempre più intenso, tanto che Dante cerca riparo dietro Virgilio (ma Virgilio non è solo un’anima, un’ombra…? La spiegazione sarebbe troppo lunga…). Dall’oscura caligine (all’Inferno non ci può essere luce) emerge all’improvviso, immenso, Lucifero. Dante sottolinea in primo luogo le sue incredibili dimensioni, facendo una proporzione con i giganti. Gli esegeti in vena di misure hanno calcolato l’altezza di Lucifero in oltre milleduecento metri!
Il secondo aspetto che Dante sottolinea è la sua bruttezza, ovviamente paragonata alla bellezza di Dio. Tre facce di colori diversi (rosso, giallognolo, nero): una sorte di antitrinità, che non ha nulla né di divino né di soprannaturale. Sotto ogni faccia una coppia di ali, per un totale di sei, le stesse che il re dell’Inferno aveva quando era il serafino (il top della gerarchia angelica) più vicino a Dio.
Dante sa che il male può esercitare una perversa attrazione, può anche essere seducente, e per questo toglie alla rappresentazione di colui che è l’essenza del male stesso ogni fascino. Lucifero è una macchina, un gigantesco mulino a vento: le ali, ovviamente enormi, simili a quelle dai pipistrelli, producono il vento gelido che fa ghiacciare il Cocito, le bocche, sbavando, triturano eternamente tre peccatori. Ovviamente costoro sono i traditori, e quindi i peccatori, più malvagi della storia dell’umanità.
Il peggiore è ovviamente Giuda, la cui testa è all’interno della bocca di Lucifero, che, per un surplus di pena, gli scortica la schiena con mani evidentemente dotate di artigli. Gli altri due, che almeno tengono la testa fuori e pendono giù dalla testa nera e gialla sono, rispettivamente Bruto e Cassio, i principali artefici della congiura che provocò la morte di Giulio Cesare. Di Bruto Dante sottolinea solo il fatto che si contorce per il dolore senza lamentarsi, di Cassio la robustezza della membra.
I due personaggi non hanno alcun rilievo poetico, ma sono fondamentali nel pensiero politico dantesco. La loro ribellione a Cesare, che rappresenta l’impero romano, è una ribellione a Dio stesso che quell’impero ha voluto per pacificare il mondo e favorire la diffusione del cristianesimo, al fuori del quale non c’è salvezza. Per Dante nulla nella storia accade per caso o per esclusiva volontà umana. La Divina Provvidenza ha un suo piano al quale gli uomini debbono collaborare. Come questo si concili con il libero arbitrio è un po’ un mistero. Ma, d’altra parte, senza misteri non ci sarebbe religione.
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