L’anima oggetto di contesa  è  quella di Guido da Montefeltro, signore di Urbino, capitano di ventura, poi frate francescano. Alla sua morte San Francesco viene per accompagnarlo fra i beati, ma un nero cherubino, (un ex-cherubino ribelle trasformato in diavolo) dimostra al Santo che l’anima di Guido deve seguirlo all’Inferno. Una disputa simile, ma con un esito contrario, avverrà per l’anima di suo figlio Bonconte.

Inferno, Canto XXVII, vv. 112-120

Francesco venne poi, com’ io fu’ morto,
per me; ma un d’i neri cherubini
li disse: “Non portar: non mi far torto.

Venir se ne dee giù tra ‘ miei meschini
perché diede ‘l consiglio frodolente,
dal quale in qua stato li sono a’ crini;

ch’assolver non si può chi non si pente,
né pentere e volere insieme puossi
per la contradizion che nol consente
“.

Non c’è niente da fare: la logica del nero cherubino ha il sopravvento su San Francesco. Guido deve andarsene all’Inferno, tra i dannati (i miei meschini, cioè schiavi, come li chiama quasi affettuosamente) perché ha dato un consiglio di frode, dopo il quale il diavolo non si più staccato dalle sue costole. La terzina successiva esige una spiegazione più articolata e complessa.

Inferno, Canto XXVII, vv. 73-84

Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe
che la madre mi diè, l’opere mie
non furon leonine, ma di volpe.

Li accorgimenti e le coperte vie
io seppi tutte, e sì menai lor arte,
ch’al fine de la terra il suono uscie.

Quando mi vidi giunto in quella parte
di mia etade ove ciascun dovrebbe
calar le vele e raccoglier le sarte,

ciò che pria mi piacëa, allor m’increbbe,
e pentuto e confesso mi rendei;
ahi miser lasso! e giovato sarebbe.

Guido da Montefeltro, morto nel  1298, è stato un protagonista delle guerre che ai tempi di Dante insanguinavano l’ Italia centrale.  Notissimo (la sua fama è arrivata ai confini del mondo: ch’al fine de la terra il suono uscie.)  più per la sua astuzia che per il suo ardimento, insomma più volpe che leone, abilissimo negli inganni (accorgimenti e coperte vie) ormai prossimo alla morte, quando ormai si è prossimi al porto e bisogna calare le vele, non apprezzando  più la vita che aveva condotto fino a quel momento, si pente e si converte, sperando di salvarsi l’anima.

Ma quella volpe incontra una volpe ancora più astuta. E’ l’anima nera protagonista di tutta la Commedia, l’uomo che Dante odia di più: Bonifacio VIII . Qui Dante lo chiama lo principe d’i novi Farisei, cioè il capo di una chiesa corrotta e ipocrita. Essendo in guerra non con ebrei o mussulmani, come sarebbe stato giusto e doveroso, ma con le cristianissime famiglie di Roma, soprattutto i Colonna, ha bisogno di un buon consiglio per chiudere la partita a suo vantaggio. Chi glielo può dare meglio di Guido? Oltretutto adesso è un frate, quindi è anche gerarchicamente un suo sottoposto! Il vecchio capitano esita, ma il papa lo rassicura

Inferno, Canto XXVII, vv. 100-104

E’ poi ridisse: “Tuo cuor non sospetti;
finor t’assolvo, e tu m’insegna fare
sì come Penestrino in terra getti.

Lo ciel poss’ io serrare e diserrare,
come tu sai…

Non deve avere dubbi. L’assoluzione è garantita ancor prima che Guido gli spieghi come fare a prendere con l’inganno  la rocca di Palestrina dove erano asserragliati i Colonna.

D’altra parte lui ha in mano le chiavi del cielo, che può aprire e chiudere a suo piacimento…Non lo aveva detto Gesù consegnandole a Pietro?
Si può disobbedire a un papa che promette addirittura un’assoluzione anticipata?
Alla fine Guido cede (forse la sua era stata una conversione un po’ strumentale, al contrario di quella del figlio) e dà il consiglio. Ma, come dice il diavolo, l’assoluzione è nulla: infatti assolver non si può chi non si pente, non si può assolvere chi non si pente, né pentere e volere insieme puossi per la contradizion che nol consente e poiché il peccato è perdonato solo se ci si pente, non si può contemporaneamente pentirsi e peccare.

E così il vecchio frate, che tutti sulla terra immaginano salvo per la sua conversione, è trascinato all’ Inferno dove, nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio, sono appunto puniti i fraudolenti. Accetterà di raccontare la sua storia a Dante solo perché lo scambia per un dannato, che non tornerà sulla terra a infangare la sua fama. Come gli altri fraudolenti è destinato a camminare  per l’eternità avvolto da una fiamma: la sua fiammeggiante intelligenza, usata al servizio del male, si è trasformata in un supplizio eterno.