Nel Trecento Firenze è  una grande metropoli commerciale e finanziaria, che domina l’economia europea. Le banche fiorentine hanno filiali ovunque e gestiscono le enormi ricchezze cha da tutta Europa confluiscono nelle casse del papato, il fiorino o, come lo definisce lui stesso il maladetto fiore è il dollaro dell’epoca, l’attività mercantile e manifatturiera è all’apice.
Anche il padre di Dante, Alighiero di Bellincione, mai ricordato nell’opera del sommo poeta, era un usuraio, ma la differenza tra usuraio e banchiere è in realtà molto labile.
Ma Dante come giudica la sua città, da cui è stato esiliato pur essendo innocente? Malissimo. Firenze è la sede di Lucifero, è la città dove il male si manifesta con la massima evidenza, dove chi, come lui, fa politica per il bene comune e non per interessi personali viene cacciato.
Dante è un conservatore, incapace di apprezzare il mutamento travolgente generato da un’economia in vorticoso sviluppo. Vorrebbe, anzi,  tornare al passato, quando la presenza di un imperatore evitava i conflitti tra principi e città e la vita sociale era ispirata ai valori cristiani, difficilmente compatibili, anche allora, con il capitalismo rampante dei fiorentini della sua epoca. Dante ha nostalgia di una città piccola, dove tutti si conoscevano, dove ci si accontentava di una vita sobria e pudica e si viveva in armonia, senza la brama di arricchirsi a spese degli altri. Ma è mai esistita una Firenze così?
Secondo Dante sì: è la Firenze del suo avo Cacciaguida, nato nel 1091 (circa) , che il poeta incontra nei canti centrali del Paradiso. Cacciaguida, cavaliere, martire della vera fede in Terrasanta (come si vede tutto diverso da suo padre…)  conferirà a Dante la missione di riportare la società corrotta del suo tempo sulla retta via.
Ed è lui che nel canto XV del Paradiso descrive la Firenze del passato.

(Paradiso, XV, 96-111)

< Fiorenza dentro da la cerchia antica,
ond’ ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica.

Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder più che la persona.

Non faceva, nascendo, ancor paura
la figlia al padre, ché ‘l tempo e la dote
non fuggien quinci e quindi la misura.

Non avea case di famiglia vòte;
non v’era giunto ancor Sardanapalo
a mostrar ciò che ‘n camera si puote.

Non era vinto ancora Montemalo
dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto
nel montar sù, così sarà nel calo.>

La cerchia antica è la cinta muraria risalente all’epoca carolingia, costruita fra il IX e il X secolo, che delimita un perimetro molto più ristretto di quello trecentesco, all’interno della quale c’è la chiesa di Badia, il cui campanone ancora all’epoca di Dante segnava  le ore canoniche (terza e nona inizio e fine della giornata lavorativa).
Poi quattro terzine, tutte introdotte dal non anaforico, che sottolinea le differenze con il presente. Nella Firenze di duecento anni prima le donne non andavano in giro con monili, diademi, abiti ricamati (gonne contigiate), che risaltano molto di più della persona che le indossa.
Non usava ancora far sposare le ragazze appena adolescenti, con una dote enorme; quindi un padre, alla nascita di una figlia femmina, allora non si disperava pensando all’enorme quantità di denaro da mettere insieme in poco tempo.
Allora le case erano piene di bambini, mentre ai tempi di Dante una società molto più ricca disdegna di fare figli e si dedica a pratiche sessuali, favorite dal lusso dominante, degne del babilonese Assurbanipal.
Le ville sfarzose costruite sul Belvedere dell’Uccellatoio, il colle attraversato dalla strada che conduce al passo della Futa, non avevano superato ancora  quelle di Montemalo, il colle prospiciente Roma, sul quale, nel tardo impero, erano sorte dimore opulente.
In breve: Firenze ha superato Roma. Ma la sua rovina sarà più rapida di quella dell’Urbe.
Il confronto continua:

(Paradiso, XV, 111-129)

Bellincion Berti vid’ io andar cinto
di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio
la donna sua sanza ‘l viso dipinto;

e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio
esser contenti a la pelle scoperta,
e le sue donne al fuso e al pennecchio.

Oh fortunate! ciascuna era certa
de la sua sepultura, e ancor nulla
era per Francia nel letto diserta.

L’una vegghiava a studio de la culla,
e, consolando, usava l’idïoma
che prima i padri e le madri trastulla;

l’altra, traendo a la rocca la chioma,
favoleggiava con la sua famiglia
d’i Troiani, di Fiesole e di Roma.

Saria tenuta allor tal maraviglia
una Cianghella, un Lapo Salterello,
qual or saria Cincinnato e Corniglia.

Al tempo di Cacciaguida, un nobilissimo fiorentino, come Bellincione Berti, andava in giro con una semplice cintura e sua moglie neppure si truccava! E così altri appartenenti ad illustri famiglie, come i Nerli e i del Vecchio, si accontentavano di casacche di pelle sfoderate (a la pelle scoperta) e le loro donne in casa a filare e a tessere! Le donne di allora erano certe di morire dove erano sempre vissute e non erano abbandonate dai mariti, che si accontentavano di modesti commerci e non erano costretti a trasferirsi all’estero per affari.

Badavano ai neonati, li consolavano usando il buffo linguaggio infantile che trastulla soprattutto gli adulti, oppure, filando la lana, raccontavano le antiche favole ai familiari. Allora la gente si sarebbe sorpresa di vedere una donna di facili costumi come la Cianghella o un politicante invischiato in sporchi traffici come Lapo Salterello, mentre oggi (ai tempi di Dante) desterebbero la stessa sorpresa personaggi integri e virtuosi come Cincinnato e Cornelia, esempio, rispettivamente, di comandante sobrio e incorruttibile e di madre esemplare.

Insomma una città ideale, che due secoli dopo è divenuta una specie di lupanare. Per colpa certamente dell’eccezionale sviluppo economico, che ha introdotto i vizi tipici di una società ricca e dedita al lusso, ma soprattutto delle donne, che rifiutano il loro ruolo di madri e spose per una vita di piaceri. Come si può negare che la storia si ripeta? Possiamo perdonare Dante per questa visione bigotta e misogina? Come attenuante si deve ammettere che a lui questo travolgente progresso economico e sociale, ma anche causa prima dei conflitti politici nella Firenze del Trecento, è costato l’esilio…