Il profeta Isaia

Dante è stato ammesso nell’aldilà è perché, come San Paolo ed Enea,  ha una missione da compiere che va ben oltre la sua salvezza individuale. Dante è un profeta, come lo intende la Bibbia, come lo era stato il profeta Isaia: anche lui, come Dante, era vissuto in un periodo di grandi tensioni sociali e politiche e denunciò, con la sua predicazione, il degrado morale del paese, causato dalla prosperità che Israele aveva raggiunto in quel periodo.  Dante si sente investito da un’analoga  missione profetica  e la realizza raccontando  il suo viaggio nel mondo dei morti, perché sia di monito ai vivi, per ricondurre la società corrotta nella quale vive al pentimento, affinchè si indirizzi  verso un  periodo  di rinnovata pace e giustizia. Nei canti centrali del Paradiso incontra Cacciaguida, il suo trisavolo, nel cielo di Marte. Da lui, cavaliere morto in crociata,  riceve la sua investitura. L’incontro con Cacciaguida si distende su ben tre canti, quelli centrali del Paradiso. Nel corso del colloquio vengono chiarite definitivamente le numerose  profezie sull’esilio che Dante durante il suo viaggio ha ricevuto: Bonifacio VIII   sta già tramando contro di lui  e Dante, innocente ma ingiustamente accusato di corruzione, sarà costretto ad andarsene da Firenze nel giro di pochi mesi.

(Paradiso, canto XVII, vv.  55-61)

Tu lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l’arco de lo essilio pria saetta.

Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.

L’esilio è un’arco che colpisce con le sue frecce, che provoca nell’animo di chi lo subisce ferite profonde, costringe  a lasciare le cose più care, i propri beni, la propria casa. Dante, grazie alla fama di grande poeta, verrà ospitato con generosità dai signori della sua epoca. Nei  versi successivi viene ricordata, per esempio, la generosissima accoglienza degli Scaligeri, signori di Verona.  Ma il pane offerto dagli altri è troppo salato e indigesto, così come sono sempre troppo ripide le scale che conducono ad un alloggio che non può essere mai sentito come la propria casa.

Dante, dopo le parole del suo avo,  conosce il suo destino ed è pronto ad affrontarlo con coraggio: si definisce tetragono ai colpi di ventura. Si paragona cioè a un cubo, figura geometrica solida ed equilibrata per eccellenza. Ma ciò che ha appreso non può non preoccuparlo. A chi chiedere consiglio se non a Cacciaguida, che, oltre ad essere un beato, gli ha manifestato, al momento del loro incontro, tanto affetto?

(Paradiso, canto XVII, vv. 106-120)

«Ben veggio, padre mio, sì come sprona
lo tempo verso me, per colpo darmi
tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona;

per che di provedenza è buon ch’io m’armi,
sì che, se loco m’è tolto più caro,
io non perdessi li altri per miei carmi.

Giù per lo mondo sanza fine amaro,
e per lo monte del cui bel cacume
li occhi de la mia donna mi levaro,

e poscia per lo ciel, di lume in lume,
ho io appreso quel che s’io ridico,
a molti fia sapor di forte agrume

e s’io al vero son timido amico,
temo di perder viver tra coloro
che questo tempo chiameranno antico».

L’esilio è ora raffigurato come  un cavaliere che, lancia in resta, sta spronando il suo cavallo per colpirlo. Anche se Dante lo affronterà con coraggio, non può, però, comportarsi da sconsiderato: contro l’attacco di un simile cavaliere l’unica arma che ha a disposizione è la prudenza. Se non potrà più vivere a Firenze, il luogo che gli è più caro, che  almeno la sua poesia non diventi un ostacolo per essere ospitato in altri luoghi.

Nel suo viaggio nell’oltretomba  ha visto tante anime, ha sentito tanti racconti. Nella maggior parte dei casi riguardano personaggi  appartenenti alle più illustri casate della sua epoca e, purtroppo, queste storie, non solo all’Inferno, hanno messo in luce comportamenti e sentimenti non certo esemplari. Quindi, se racconterà tutto ciò che ha visto e sentito, urterà certamente la suscettibilità di tante famiglie illustri che ancora dominano l’Italia.  Ma siccome ormai è chiaro che, entro poco tempo, non avrà più una patria, né mezzi per vivere onorevolmente, cosa succederà se si aliena l’appoggio dei  potenti della sua epoca? Ma se non dirà tutto quello che ha visto scriverà un’opera scialba, priva di interesse, destinata ad essere dimenticata. E Dante, con uno spirito che si può definire preumanistico , vuole vivere tra i  posteri, essere ricordato come un grande poeta. La risposta di Cacciaguida non lascia dubbi.

( Paradiso, canto XVII, vv. 124-142)

…indi rispuose: «Coscïenza fusca
o de la propria o de l’altrui vergogna
pur sentirà la tua parola brusca.

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua visïon fa manifesta;
e lascia pur grattar dov’ è la rogna.

Ché se la voce tua sarà molesta
nel primo gusto, vital nodrimento
lascerà poi, quando sarà digesta.

Questo tuo grido farà come vento,
che le più alte cime più percuote;
e ciò non fa d’onor poco argomento.

Però ti son mostrate in queste rote,
nel monte e ne la valle dolorosa
pur l’anime che son di fama note,

che l’animo di quel ch’ode, non posa
né ferma fede per essempro ch’aia
la sua radice incognita e ascosa,

né per altro argomento che non paia».

Certamente ci sarà chi, leggendo la Divina Commedia, sentirà l’asprezza delle parole di Dante e si vergognerà per le colpe proprie o dei propri parenti. E saranno gli appartenenti alle famiglie più illustri e conosciute. Ma questo è stato voluto esplicitamente da Dio: le parole di Dante, inizialmente, per tanti, difficili da digerire, diventeranno un nutrimento vitale per tutta la società. Ma questo accadrà solo se i lettori  del suo libro sentiranno  parlare di personaggi illustri e conosciuti: nessuno presterebbe attenzione ad una narrazione che avesse per oggetto gente di umile condizione. Per questo la Provvidenza ha voluto che Dante incontrasse, nel suo viaggio, solo personaggi famosi. Ma Dante non può tacere: il mestiere di profeta è, per definizione, pericoloso.