Il pubblico apprezzò subito la sua Divina Commedia. Tracce della sua diffusione si riscontrano già nel 1315-16, prima che Dante la completasse. L’opera godette di un successo immediato già tra i contemporanei e , proprio come oggi, la gente affollava i luoghi dove veniva letta. Le autorità fiorentine capirono quale grande errore avessero fatto esiliando un poeta e concittadino che avrebbe dato grande lustro alla città. E così con un decreto dell’agosto del 1373, scelsero Giovanni Boccacio, che veniva considerato l’uomo più colto ed eloquente della sua epoca, perché leggesse e commentasse pubblicamente la Commedia, presso la chiesa di Santo Stefano Protomartire. Fu proprio Boccaccio a definire la Commedia “divina”.
Dante parla della sua fama di poeta nell’Undicesimo canto del Purgatorio, mentre con Virgilio visita la cornice dei superbi. Nel Purgatorio le anime sono collocate su dei terrazzamenti circolari, il cui raggio si restringe di mano in mano che si sale. In ogni cornice ci si purifica di una tendenza peccaminosa diversa. Le cornici sono sette, come i peccati capitali, ma anche qui, come nell’Inferno, la disposizione non è casuale: più in basso ci sono i peccati più gravi.
La cornice dei superbi è la più bassa e il peccato è quindi il più grave. La superbia è un peccato che mina la solidarietà sociale, impedisce la fratellanza, che possono realizzarsi solo se gli uomini riconoscono la propria fragilità, che li rende uguali di fronte a Dio. Per contrappasso le anime sono costrette a portare sulle spalle pietre pesantissime, costrette così quasi a strisciare, abbandonando l’atteggiamento altezzoso che le aveva caratterizzate in vita. In questi versi parla Oderisi da Gubbio, un grande miniatore, che l’eccellenza in campo artistico aveva reso superbo in vita.
(Purgatorio vv. 82-106)
«Frate», diss’ elli, «più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l’onore è tutto or suo, e mio in parte.Ben non sare’ io stato sì cortese
mentre ch’io vissi, per lo gran disio
de l’eccellenza ove mio core intese.Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.Oh vana gloria de l’umane posse!
com’ poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l’etati grosse!Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura.Così ha tolto l’uno a l’altro Guido
la gloria de la lingua; e forse è nato
chi l’uno e l’altro caccerà del nido.”Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il ‘pappo’ e ‘l ‘dindi’,pria che passin mill’ anni? (…)
Oderisi, riconosciuto da Dante come grandissimo esponente della miniatura, adesso è in grado di riconoscere l’eccellenza artistica di Franco Bolognese (l’espressione ridon le carte fa balzare agli occhi del lettore i vivaci colori delle miniature medievali), cosa che in vita non avrebbe fatto così facilmente! Oderisi, per questo desiderio di eccellenza non sarebbe lì, se, quando poteva ancora peccare, cioè in vita, non si fosse pentito e non avesse chiesto perdono a Dio. Ma vale davvero la pena di perdere l’anima per conquistare una fama che è destinata a svanire in breve tempo, se non sopraggiunge un’epoca di decadenza (l’etati grosse)?
Poi Oderisi, ma è chiaro che a parlare è lo stesso Dante, in sei versi fa un quadro della storia dell’arte e della letteratura italiana fra Duecento e Trecento, la stessa che studiamo a scuola anche oggi. Cimabue, sicuramente grandissimo pittore, è stato oscurato da Giotto. Guido Guinizzelli è stato superato da Guido Cavalcanti e forse è già nato qualcuno (chi sarà mai?) destinato a superarli ambedue. Le parole che seguono Dante le rivolge quindi direttamente a se stesso.
La fama che tanto desidera non è altro che un fiato di vento, che cambia rapidamente direzione: ora celebra un artista, ora un altro. Trascorsi mille anni nessuno si ricorderà più di te, sia che tu abbia raggiunto, morendo vecchio, grande notorietà, sia che tu sia morto bambino, quando ancora usavi il linguaggio infantile (la pappa e i soldini). Nel discorso di Oderisi-Dante affiora la tensione tra due epoche, tra due modi di concepire la vita. Da un lato la spiritualità medioevale, per la quale l’unica cosa veramente importante è la salvezza eterna, ed è peccato tutto ciò che può sviarci dalla sua ricerca, dall’altro un sentire che anticipa l ’Umanesimo, un nuovo clima culturale che porta alla valorizzazione della vita terrena e, quindi, dei traguardi che si possono raggiungere nel mondo degli uomini.
La grandezza di Dante deriva anche dal saper riunire nella sua opera questi due mondi.
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