Chi non spera che l’anno nuovo sia migliore e più felice di quello appeno trascorso? E’ una speranza fondata? La risposta di Leopardi , nel Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere è facilmente intuibile, anche se qui il pessimismo è meno accentuato rispetto ad altre opere . Il Dialogo è stato scritto nel 1832, quindi dopo otto anni dalla composizione della maggior parte delle Operette morali (1824).
Si avvicina forse la fine dell’anno e un venditore di calendari richiama l’attenzione di un passante.
Venditore
Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere
Almanacchi per l’anno nuovo?Venditore
Si signore.Passeggere
Credete che sarà felice quest’anno nuovo?Venditore
Oh illustrissimo si, certo.Passeggere
Come quest’anno passato?Venditore
Più più assai.Passeggere
Come quello di là?Venditore
Più più, illustrissimo.Passeggere
Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?Venditore
Signor no, non mi piacerebbe.Passeggere
Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?Venditore
Saranno vent’anni, illustrissimo.Passeggere
A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?Venditore
Io? non saprei.Passeggere
Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?Venditore
No in verità, illustrissimo.Passeggere
E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?Venditore
Cotesto si sa.Passeggere
Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?Venditore
Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.Passeggere
Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?Venditore
Cotesto non vorrei.Passeggere
Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?Venditore
Lo credo cotesto.Passeggere
Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?Venditore
Signor no davvero, non tornerei.Passeggere
Oh che vita vorreste voi dunque?Venditore
Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.Passeggere
Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?Venditore
Appunto.Passeggere
Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?Venditore
Speriamo.Passeggere
Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.Venditore
Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.Passeggere
Ecco trenta soldi.Venditore
Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.
Il Dialogo è molto breve, ma non per questo privo di un profondo significato filosofico, già elaborato da Leopardi nello Zibaldone (il diario privato che lo accompagnato per tutta la vita):
Io ho dimandato a parecchi se sarebbero stati contenti di tornare a rifare la vita passata, con patto di rifarla né piú né meno quale la prima volta. L’ho dimandato anco sovente a me stesso. Quanto al tornare indietro a vivere, ed io e tutti gli altri sarebbero stati contentissimi; ma con questo patto, nessuno; e piuttosto che accettarlo, tutti (e cosí io a me stesso) mi hanno risposto che avrebbero rinunziato a quel ritorno alla prima età, che per se medesimo, sarebbe pur tanto gradito a tutti gli uomini. Per tornare alla fanciullezza, avrebbero voluto rimettersi ciecamente alla fortuna circa la lor vita da rifarsi, e ignorarne il modo, come s’ignora quel della vita che ci resta da fare. Che vuol dir questo? Vuol dire che nella vita che abbiamo sperimentata e che conosciamo con certezza, tutti abbiam provato piú male che bene; e che se noi ci contentiamo, ed anche desideriamo di vivere ancora, ciò non è che per l’ignoranza del futuro, e per una illusione della speranza, senza la quale illusione e ignoranza non vorremmo piú vivere, come noi non vorremmo rivivere nel modo che siamo vissuti .
Forse non è vero per tutti, forse non tutti, potendo ritornare indietro rinuncerebbero al proprio vissuto affidandosi al caso di un’altra vita qualsiasi, purchè sconosciuta. Ma certamente ignorare il futuro lo rende appetibile e desiderabile. Perché? Leopardi è un grande filosofo e conoscitore della psiche umana. Ha elaborato infatti una spiegazione del perché noi non siamo mai soddisfatti, se non per brevi intervalli, della nostra vita ed aspiriamo sempre ad un futuro migliore e più felice del presente.. La risposta è nella teoria del piacere elaborata nei primi anni venti dell’Ottocento sotto forma di appunti nello Zibaldone.
L’anima umana (e cosí tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch’é ingenita o congenita coll’esistenza, e perciò non può aver fine in questo o quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita. E non ha limiti: 1°, né per durata; 2°, né per estensione. Quindi non ci può essere nessun piacere che uguagli, 1°, né la sua durata, perché nessun piacere è eterno, 2°, né la sua estensione, perché nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta che tutto esista limitatamente, e tutto abbia confini, e sia circoscritto.
Il detto desiderio del piacere non ha limiti per durata, perché, come ho detto, non finisce se non coll’esistenza, e quindi l’uomo non esisterebbe se non provasse questo desiderio. Non ha limiti per estensione, perch’é sostanziale in noi, non come desiderio di uno o piú piaceri, ma come desiderio del piacere. Ora una tal natura porta con se materialmente l’infinità, perché ogni piacere è circoscritto, ma non il piacere, la cui estensione è indeterminata, e l’anima, amando sostanzialmente il piacere, abbraccia tutta l’estensione immaginabile di questo sentimento, senza poterla neppur concepire, perché non si può formare idea chiara di una cosa ch’ella desidera illimitata.Insomma il piacere non sopporta limitazioni, ma nulla di ciò che incontriamo nella nostra vita è infinito nello spazio e/o nel tempo, quindi il nostro desiderio di piacere è destinato a restare insoddisfatto. Leopardi dunque, opponendosi alle più diffuse correnti filosofiche e artistiche del suo tempo (Romanticismo, Idealismo), ma anche al ritorno alla fede religiosa che caratterizza il periodo della Restaurazione, nega che l’uomo possa avere durante la sua vita esperienza di qualcosa che non sia materiale e quindi limitato.
Anche quando ascoltando una musica, contemplando un paesaggio sconfinato, magari notturno, abbiamo la sensazione di uscire dalla nostra dimensione finita e materiale per accedere ad una soprannaturale in realtà ci stiamo illudendo. E questo viene espresso meravigliosamente nella lirica L’infinito: io nel pensier mi fingo……
I piaceri ai quali siamo destinati sono illusori e destinati ad aver vita breve. Ecco un esempio:
… Se tu desideri un cavallo, ti pare di desiderarlo come cavallo, e come un tal piacere, ma in fatti lo desideri come piacere astratto e illimitato. Quando giungi a possedere il cavallo, trovi un piacere necessariamente circoscritto e senti un vuoto nell’anima, perché quel desiderio che tu avevi effettivamente non resta pago. Se anche fosse possibile che restasse pago per estensione, non potrebbe per durata, perché la natura delle cose porta ancora che niente sia eterno.
Insomma il possesso del cavallo non appaga mai completamente il desiderio, e anche se il cavallo corrispondesse esattamente a quanto desiderato, è comunque destinato a invecchiare e morire. E questo toglie parte del piacere di possederlo.
E posto che quella material cagione, che ti ha dato un tal piacere una volta, ti resti sempre (per esempio, tu hai desiderato la ricchezza, l’hai ottenuta, e per sempre), resterebbe materialmente, ma non piú come cagione neppure di un tal piacere; perché questa è un’altra proprietà delle cose, che tutto si logori, e tutte le impressioni a poco a poco svaniscano, e che l’assuefazione, come toglie il dolore, cosí spenga il piacere. (…)
Per ogni cosa subentra l’abitudine, che spegne prima o poi il piacere di possedere ciò che abbiamo sempre desiderato. Quindi il singolo piacere rimane tale solo fino a che non l’abbiamo raggiunto, finché è un piacere collocato nel futuro, una piacevole illusione. Per questo Leopardi pensa che la giovinezza sia il bene più prezioso per l’uomo: quando finisce viene a mancare lo schermo su cui proiettare le illusioni che rendono accettabile la vita umana. .
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