<Le storie non dovrebbero mai rimanere in sospeso>: la frase è ripetuta due volte nell’ultimo capitolo. Il lettore non può che essere d’accordo, ma, allo stesso tempo, non può non sentirsi un po’ preso in giro. Perché la storia rimane in sospeso, affidata a un seguito non ancora pubblicato. Non è solo questione di sapere come va a finire: solo il finale potrebbe consentire un giudizio sulla plausibilità del romanzo, alla quale l’autore evidentemente tiene, poiché afferma nella nota conclusiva: le pratiche ipnotiche presenti nella storia sono effettivamente utilizzate nelle terapie.
Lo psichiatra ipnotista fiorentino, addormentatore di bambini, Pietro Gerber, si sforza di penetrare nella mente di Nico, un bambino senza memoria, creduto morto, che viene ritrovato in un bosco e accusato di essere responsabile della morte della madre. Mettendo a rischio la sua credibilità professionale e la sua salute fisica e mentale, Gerber insegue gli inneschi (immagini, parole, gesti) che, attraverso l’ipnosi, gli permettono di penetrare sempre più a fondo nella casa senza ricordi che è la mente di Nico, sigillata da una mente criminale che padroneggia l’ipnosi meglio dello stesso Gerber. Ma Gerber è coinvolto non solo professionalmente, ma anche personalmente. La mente di Nico contiene forse anche la verità sulla vita dell’ipnotista, che, dai molti indizi lasciati trapelare, non è come appare.
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