Pubblicato in Francia negli anni ’80, in Italia nel 2021, il libro della Ernaux non è un’autobiografia, ma neppure un romanzo. La scrittrice giustamente impose alla casa editrice Gallimard di rimuovere dalla copertina dei suoi libri qualsiasi riferimento a un particolare genere letterario: il risultato è infatti quasi un trattato di sociologia trasformato in narrazione.

La voce narrante racconta la storia di una donna nata, presumibilmente a metà degli anni quaranta del Novecento, in un paesino della Francia vicino a Rouen. La famiglia di origine è umile, ma anticonvenzionale. E’ la madre a gestire il piccolo negozio di alimentari e generi vari, mentre il padre si occupa delle faccende domestiche. I ruoli ovviamente non sono rigidamente delimitati, ma abbastanza da destare un certo scandalo nel paese. <Tuttavia, fino all’adolescenza, mi sembra ancora normale che sia mio padre a lavare i piatti e mia madre a spostare cassette e scatoloni di prodotti. Cucinare, stirare e cucire per me non sono dei valori, e d’altra parte per chi lo sono?>

La madre, coerentemente , non educa la figlia, come accade per tutte le altre bambine, a imparare il mestiere di moglie e madre, ma la esorta a leggere , a studiare, a conoscere il mondo. Non vuole che la figlia finisca a lavorare in fabbrica e l’istruzione è l’unica opportunità. L’infanzia è un periodo felice, anche se l’intera società, la scuola, la chiesa, le amiche e le loro famiglie non fanno che premere per affermare i ruoli tradizionali, come un destino ineluttabile. Alle soglie dell’adolescenza l’influsso della mentalità dominante comincia a condizionare il comportamento della protagonista. Una ragazza deve piacere ai maschi, gran parte del suo tempo, del suo spazio mentale è dedicato a questo, e anche lei pian piano tende ad omologarsi. <Tutte queste ragazze che non ne avevano mai abbastanza di guardarsi, dappertutto, nelle vetrine dei negozi, tra file di scarpe e manichini in abito da sera, che giravano sempre con lo specchietto e la spazzola in tasca. Una rapida pettinata, la scusa di sempre per controllarsi il viso accarezzandosi dolcemente la chioma. Nei bagni delle donne, ognuna davanti al suo specchio, a ritoccarsi la bocca, gli occhi, gesti osceni. Anch’io ero ipnotizzata dal mio riflesso>.

Bisogna compiacere i maschi, mostrarsi sottomesse, attirarli ma non concedere troppo per non rovinarsi la vita con una gravidanza precoce.

Poi la libertà dell’età adulta, all’Università, con una borsa di studio. <Un periodo in cui si può cenare con uno yogurt, preparare la valigia in mezz’ora per un fine settimana improvvisato, passare una notte intera a parlare>. I compagni di corso non sono, come mentalità, molto diversi dai ragazzi ruspanti e grossolani del paese, ma non è necessario frequentarli e piegarsi alle loro condizioni. C’è tanto da scoprire: le sollecitazioni culturali offerte dal corso di laurea in Lettere sono moltissime e potrebbero riempire la vita.

Poi il Vero Amore: per un ragazzo con gli stessi interessi, anticorfomista, divertente. La sua proposta di matrimonio le fa paura, la famiglia di lui è la più convenzionale che si possa immaginare. Non vorrà una moglie come la madre, sottomessa e sorridente? Ma oramai il condizionamento è avvenuto. Una donna è completa solo se ha un marito e dei figli, e poi si può sempre fare il concorso e insegnare…

Da subito però i ruoli si ripropongono: il marito deve fare carriera, la moglie occuparsi della casa. Non ci si può opporre. <Lui ride, «no, ma scusa, mi ci vedi col grembiule? Andrà bene per tuo papà, certo non per me!». Mi sento umiliata>.

Poi la nascita del primo figlio, descritta in modo realistico e impietoso <Come parlarne, di quella notte? L’orrore, quello no, ma lascio ad altre il lirismo, la poesia delle viscere dilaniate. Era dolorosissimo, altroché, quella cretina di un’ostetrica, ero una bestia raggomitolata che soffiava, che preferiva l’oscurità alla minima fonte di luce…>. Poi l’ultima ribellione: una dura negoziazione per ottenere un po’ di aiuto nell’accudimento del bambino, il rifiuto dei lavori domestici non indispensabili, la conquista del tempo necessario per laurearsi e fare il concorso per entrare nella scuola. Ma non è mai condivisione, è una libertà condizionata e strappata con la forza, così come lo sarà il tempo per dedicarsi al lavoro.

Il racconto è un lungo flash back, un tentativo quasi scientifico di capire come ci si possa trovare in una situazione così opprimente e disperata, partendo da condizioni apparentemente favorevoli. <Ma sto cercando il legame tra la me ragazza e la donna, e so che c’è almeno un’ombra che non si è mai affacciata sulla mia infanzia: l’idea che le bambine siano creature tenere e deboli, inferiori ai maschi>.

Lo stile della Ernaux è incalzante e senza fronzoli. Il racconto è duro e implacabile, senza aspetti consolatori, la lettura è coinvolgente e non trascinante, anche se la conclusione è già esplicitata all’inizio.

E’ un libro che induce a una riflessione profonda: non credo che possa esserci una lettrice femminile, di qualsiasi età, che possa non rispecchiarsi, almeno parzialmente, nel racconto. Ma la lettura potrebbe essere interessante anche per gli uomini, che forse difficilmente riflettono su questi argomenti. Una discussione fra uomini e donne, dopo la lettura del libro, sarebbe, poi, veramente appassionante.

Annie Ernaux è nata il 1º settembre 1940 a Lillebonne, in Normandia. I genitori, come nel libro, gestiscono un bar-drogheria. Annie riesce a laurearsi e insegna per anni al liceo. Milita negli anni Settanta nel movimento femminista. Poi si dedica completamente alla scrittura. E’ vincitrice di numerosi premi letterari, come il premio Marguerite Yourcenar alla carriera nel 2017 e il premio Hemingway per la letteratura nel 2018.