Inferno I, 79-87

«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
rispuos’ io lui con vergognosa fronte.

«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ‘l lungo studio e ‘l grande amore
che m’ha fatto cercar lo tuo volume.

Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ha fatto onore.

In questi versi del primo canto della Commedia  Dante si rivolge per la prima volta a Virgilio. Beatrice, inviata direttamente da Maria, è scesa nel primo cerchio dell’Inferno, dove il grande poeta latino è destinato a restare in eterno, per supplicarlo di soccorrere Dante. Virgilio accetta immediatamente (a una bella donna che piange non si può dire di no!) E ora Dante, perduto nell’oscura selva del peccato, se lo  trova davanti. E si vergogna: Virgilio è il suo maestro e il suo autore (la fonte che riconosce come la più alta autorità al pari dei testi sacri), dal punto di vista culturale e poetico.  Senza lo studio appassionato della sua opera non avrebbe raggiunto l’eccellenza stilistica che lo rende superiore a tutti i poeti della sua epoca (lo afferma lui stesso nel Purgatorio).Ma Virgilio, per il Medioevo, è anche un profeta.

Secondo l’interpretazione cristiana della IV Bucolica egli aveva previsto l’avvento del fanciullo divino che indicava la nascita e la missione di Cristo. Insomma Dio si serve di lui per comunicare con gli uomini, anche se Virgilio, ovviamente, non lo sa. Grandissimo poeta, maestro di virtù, profeta. Ma tutto ciò non basta per evitargli la condanna all’Inferno, per una ragione semplice: non era (né poteva esserlo, essendo morto nel 19 a.C) cristiano. Per la teologia dell’epoca si possono salvare soltanto gli ebrei (popolo eletto) e dopo, l’avvento di Cristo, i cristiani. Per gli altri non c’è speranza. Ma ovviamente non si possono tormentare con pene fisiche coloro che, come i bambini, in vita non hanno commesso peccati. E allora la teologia crea il Limbo, un luogo pieno di dolore, anche se privo di pene fisiche. Le anime vivranno per sempre nell’oscurità infernale, desiderando senza nessuna speranza, di essere ammessi alla visione di Dio.

Eppure Dante, pur non opponendosi alla teologia ufficiale, non si rassegna. Non può tollerare che i grandi uomini (e anche qualche donna!) che hanno dato il meglio di sé e che hanno realizzato grandi cose nel passato siano costretti ad una condizione così infelice. E allora si inventa un luogo illuminato, ameno, un nobile castello, circondato da un verde prato e da un bel fiumicello. Lì ci sono i sommi poeti come Omero e Virgilio, i più importanti esponenti della filosofia greca, che si raccolgono attorno ad Aristotele, e medioevale (non cristiani), gli scienziati come Ippocrate, i  grandi condottieri come Cesare, ma anche personaggi del mito come Ettore ed Enea.  E’ tale l’ammirazione di Dante per i grandi uomini che non si sono risparmiati (in fondo il contrario degli ignavi) e hanno raggiunto onore e fama, che ammette in questo Olimpo anche dei musulmani, come il filosofo Averroè e il grande Saladino, sultano di Egitto, di Siria e Mesopotamia, implacabile nemico della cristianità, ma considerato un campione di virtù cavalleresche.

Dante e Virgilio si lasceranno sulla sommità della montagna del Purgatorio: ovviamente una creatura infernale non può accedere al Paradiso. Ma la devozione che Dante prova per lui, durante il viaggio, è cresciuta a dismisura. Da maestro e autore, Virgilio diviene lo più che padre e al momento della sua scomparsa, nel XXX canto del Purgatorio, il premuroso sostegno che tante volte ha offerto a Dante durante il terribile viaggio negli Inferi,  è paragonato all’atteggiamento amorevole  di una madre nei confronti del suo bambino.