L’incontro con Esther( Etty)  Hillesum ti cambia, o almeno ti dà la speranza di poter decidere chi vuoi essere in ogni circostanza, anche quando sembra che ogni possibilità di  determinare la propria vita sia stata spazzata via.

Nata il 15 gennaio 1914  a Middelburg visse tutta la vita ad Amsterdam, fino alla deportazione ad Auschwitz, dove morì il 30 novembre 1943. Dal 1941 al 1942  scrive un diario (l’ultima pagina è del 13 ottobre) che, prima della sua definitiva partenza per il campo di Westerbork,  consegna ad un’amica pregandola di curarne la pubblicazione nel caso non fosse ritornata. Ma per varie vicende il diario viene pubblicato integralmente solo nel 1981 ed ha subito un grande successo. La prima edizione italiana è del 2012 (Adelphi).

Nulla a che vedere con il diario di Anna Frank: Etty e Anna sono accomunate solo dall’appartenenza alla comunità ebraica olandese e dall’orribile conclusione della loro esistenza. Il diario di Anna racconta la sua vita quotidiana, quello di Etty è il percorso di un’anima, nel quale sia le vicende personali sia gli avvenimenti storici che stanno devastando tutta l’Europa, in particolare, ovviamente,  la persecuzione del popolo ebraico,  si percepiscono quasi  solo per l’impatto emotivo che generano. Ma Etty non vuole lasciarsi trascinare, vuole essere lei a decidere come vivere, cerca aiuto nella letteratura e nella filosofia.

E’ una ragazza coltissima: laureata in  Giurisprudenza, si dedica con passione a tutt’altro. Ha studiato le lingue slave ad Amsterdam ed ha una grande passione per letteratura e psicoanalisi. Rilke, Dostoevskij, Jung sono gli autori più citati, dai quali (soprattutto Rilke) trae la forza per continuare la sua lotta contro la disperazione. Del resto fin dalle prime pagine del diario si percepisce la volontà di costruire con un esercizio continuo la propria vita, per < diventare una persona adulta , una persona al cento per cento…. Indirizzare la mia vita verso un fine ragionevole e soddisfacente>.

E’ una donna moderna e spregiudicata che conosce bene il suo corpo e vive senza tabù varie storie d’amore. Ma il suo progetto di vita viene pesantemente condizionato dagli eventi di quegli anni terribili. I Paesi Bassi già nel 1940 furono occupati dai nazisti, che instaurarono un governo fantoccio. Gli olandesi furono trattati meglio di altri popoli poiché giudicati dai tedeschi affini dal punto di vista razziale, ma questo non valeva per gli olandesi ebrei, che furono sterminati al 75%. Il campo di Westerbork,  inizialmente creato per ospitare gli ebrei che scappavano dalla Germania, divenne dopo l’invasione nazista un campo di transito anche per gli ebrei olandesi, smistati poi nei campi di sterminio.

Etty che godeva nei primi anni dell’occupazione di una condizione relativamente privilegiata, come dipendente del Consiglio ebraico (un’organizzazione creata dai nazisti per dare agli ebrei l’illusione di autoregolamentarsi), sceglie  volontariamente di vivere a Westerbork per assistere gli internati, essendo perfettamente consapevole della fine a cui sono destinati, che sarà anche la sua < Non sono amareggiata o in rivolta, non sono neppure più scoraggiata o tanto meno rassegnata. Continuo indisturbata a crescere, di giorno in giorno, pur avendo quella possibilità dinnanzi agli occhi.>
E non si arrende all’odio, consapevole che  < la barbarie nazista fa sorgere in noi un’identica barbarie che procederebbe con gli stessi metodi, se noi avessimo la possibilità di agire oggi come vorremmo> e  che <ogni briciola di odio che si aggiunge all’odio esorbitante che già esiste, rende questo mondo più inospitale e invivibile.>

E’ anche lei provata dalla crudeltà delle leggi razziali < A un certo momento mi ha preso una gran stanchezza, e mi sono resa conto con sconcerto che in questa città dalle lunghe vie non avrei potuto sedermi in un tram, o sostare per un momento in un caffè all’aperto>. Neanche la bicicletta si può più usare. Ma < se da un lato la vita si è fatta più dura e minacciosa, dall’altro lato si è fatta più ricca, perché si hanno meno pretese e ogni cosa buona diventa appunto un dono insperato, che riempie di riconoscenza>.

E’ pronta ad affrontare il destino di deportazione che la attende: si è fatta curare i denti, ha preparato con cura lo zaino scegliendo gli indumenti e i libri. Anche se il diario non è destinato inizialmente ad avere un lettore, lei stessa cerca di rispondere alle domande che chiunque lo legga non può non porsi: <Probabilmente questa serenità, questa pace interiore mi vengono dalla coscienza di sapermela cavare da sola ogni volta, dalla constatazione che il mio cuore non s’inaridisce per l’amarezza, che i momenti di più profonda tristezza e persino di disperazione mi lasciano tracce positive, mi rendono più forte>.

E, pur non essendo mai stata osservante, negli ultimi mesi di libertà si rifugia nella preghiera. Ma il suo Dio è un Dio debole, incapace di salvare i suoi fedeli < Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che Tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare Te, e in questo modo aiutiamo noi stessi> perché < la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo “Dio” >.

La lettura del diario non e’ semplice: non e’ un romanzo. Sebbene sia scritto benissimo, il libro è pieno di ripetizioni e di affermazioni che il lettore coglie solo in parte. Del resto Etty afferma più volte che il suo intento è quello di usarlo come materiale per un’ opera destinata alla pubblicazione. Ma questo è anche il suo fascino. Leggendo il diario non entriamo in contatto con una costruzione letteraria, ma con una giovane donna, che ci apre il suo animo, di un’incredibile ricchezza morale e spirituale.