Nel 1824, in circa undici mesi, Giacomo Leopardi scrive il primo nucleo delle Operette Morali , venti dialoghi satirici di contenuto filosofico. E’ un modo nuovo di fare filosofia: non un trattato, ma appunto dei dialoghi, o dei brevi racconti che hanno per protagonisti animali, creature di fantasia, personaggi storici e mitologici, elementi naturali personificati. Un libro di concezione nuovissima, subito avversato dalla Chiesa, che lo mise all’Indice.

Il Dialogo di un folletto e di uno gnomo contiene  una critica feroce dell’antropocentrismo, cardine dello spiritualismo tornato di moda ai suoi tempi, in contrapposizione al razionalismo settecentesco. Gli uomini si sentono privilegiati  perché creature predilette da Dio, che ha dato loro la natura perché se ne servissero. Il progresso scientifico e, soprattutto tecnico, sta conducendo infatti ad uno sfruttamento sempre più intenso delle risorse naturali. L’umanità si sente forte, invincibile, destinata ad una crescente felicità. Ma che succederebbe  se il genere umano si estinguesse improvvisamente ?

Folletto. Oh sei tu qua, figliuolo di Sabazio? Dove si va?
Gnomo. Mio padre m’ha spedito a raccapezzare che diamine si vadano macchinando questi furfanti degli uomini; perché ne sta con gran sospetto, a causa che da un pezzo in qua non ci danno briga, e in tutto il suo regno non se ne vede uno. Dubita che non gli apparecchino qualche gran cosa contro, se però non fosse tornato in uso il vendere e comperare a pecore, non a oro e argento; o se i popoli civili non si contentassero di polizzine per moneta, come hanno fatto più volte,[…]; o se pure non fossero state ravvalorate le leggi di Licurgo, che gli pare il meno credibile.

Il figlio del re degli gnomi, che vivono nel sottosuolo, incontra un folletto, creatura dell’aria. E’ stato inviato dal padre a vedere che fine hanno fatto gli uomini. Non se ne vedono più, nelle miniere, a scavare oro e argento. Che sta succedendo? Sono tornati agli scambi in natura? Utilizzano solo cartamoneta? Sono tornate in auge le leggi di Licurgo che vietava agli Spartani l’uso di monete di metalli preziosiP Il folletto conosce la causa della loro sparizione

Folletto. Voi gli aspettate invan: son tutti morti, diceva la chiusa di una tragedia dove morivano tutti i personaggi.
Gnomo. Che vuoi tu inferire?
Folletto. Voglio inferire che gli uomini sono tutti morti, e la razza è perduta.
Gnomo. Oh cotesto è caso da gazzette. Ma pure fin qui non s’è veduto che ne ragionino.
Folletto. Sciocco, non pensi che, morti gli uomini, non si stampano più gazzette?
Gnomo. Tu dici il vero. Or come faremo a sapere le nuove del mondo?
Folletto. Che nuove? Che il sole si è levato o coricato, che fa caldo o freddo, che qua o là è piovuto o nevicato o ha tirato vento? Perché, mancati gli uomini, la fortuna si ha cavato via la benda, e messosi gli occhiali e appiccato la ruota a un arpione, se ne sta colle braccia in croce a sedere, guardando le cose del mondo senza più mettervi le mani; non si trova più regni né imperi che vadano gonfiando e scoppiando come le bolle, perché sono tutti sfumati; non si fanno guerre, e tutti gli anni si assomigliano l’uno all’altro come uovo a uovo.

Sarebbe veramente una notizia da prima pagina, ma estinta la stirpe umana, i giornali  non si stampano  più! D’altra parte neppure esisteranno più  tutti gli eventi politici e militari che riempivano le loro pagine.  La Fortuna che regolava le vicende umane non ha più nulla da fare…La Storia è finita. Ma c’è davvero da preoccuparsi ? Cambierà qualcosa per folletti e gnomi? Lo gnomo si sente un po’ spaesato…


Gnomo. Né anche si potrà sapere a quanti siamo del mese, perché non si stamperanno più lunari.
Folletto. Non sarà gran male, che la luna per questo non fallirà la strada.
Gnomo. E i giorni della settimana non avranno più nome.
Folletto. Che, hai paura che se tu non li chiami per nome, che non vengano? o forse ti pensi, poiché sono passati, di farli tornare indietro se tu li chiami?
Gnomo. E non si potrà tenere il conto degli anni.
Folletto. Così ci spacceremo per giovani anche dopo il tempo; e non misurando l’età passata, ce ne daremo meno affanno, e quando saremo vecchissimi non istaremo aspettando la morte di giorno in giorno.

Il folletto però lo rassicura: la scansione del tempo é affare umano…il tempo non si fermerà di certo  se l’uomo non lo dividerà più in giorni, settimane, mesi, anni!
Lo vorrebbe sapere cosa ha prodotto l’estinzione del genere umano. E di nuovo il folletto risponde.

Gnomo. Ma come sono andati a mancare quei monelli?
Folletto. Parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l’un l’altro, parte ammazzandosi non pochi di propria mano, parte infracidando nell’ozio, parte stillandosi il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando in mille cose; in fine studiando tutte le vie di far contro la propria natura e di capitar male.
Gnomo. A ogni modo, io non mi so dare ad intendere che tutta una specie di animali si possa perdere di pianta, come tu dici.
Folletto. Tu che sei maestro in geologia, dovresti sapere che il caso non è nuovo, e che varie qualità di bestie si trovarono anticamente che oggi non si trovano, salvo pochi ossami impietriti. E certo che quelle povere creature non adoperarono niuno di tanti artifizi che, come io ti diceva, hanno usato gli uomini per andare in perdizione.

Il Folletto non ha tutti i torti: come purtroppo  ben sappiamo, la specie umana, (al contrario delle altre) fa di tutto per procurarsi dei danni (ricordiamo l’anno in cui il dialogo è stato scritto: non c’erano armi di distruzione di massa, riscaldamento globale, inquinamento….). L’uomo cerca in ogni modo di vivere contro la sua natura e di farsi del male. E sappiamo bene cosa é successo ai dinosauri, molto meno responsabili della propria estinzione….Ma la natura va avanti benissimo senza dinosauri, e anche senza uomini!

Gnomo. Sia come tu dici. Ben avrei caro che uno o due di quella ciurmaglia risuscitassero, e sapere quello che penserebbero vedendo che le altre cose, benché sia dileguato il genere umano, ancora durano e procedono come prima, dove essi credevano che tutto il mondo fosse fatto e mantenuto per loro soli.
Folletto. E non volevano intendere che egli è fatto e mantenuto per li folletti.
Gnomo. Tu folleggi veramente, se parli sul sodo.
Folletto. Perché? io parlo bene sul sodo.
Gnomo. Eh, buffoncello, va via. Chi non sa che il mondo e fatto per gli gnomi?
Folletto. Per gli gnomi, che stanno sempre sotterra? Oh questa e la più bella che si possa udire. Che fanno agli gnomi il sole, la luna, l’aria, il mare, le campagne?
Gnomo. Che fanno ai folletti le cave d’oro e d’argento, e tutto il corpo della terra fuor che la prima pelle?
Folletto. Ben bene, o che facciano o che non facciano, lasciamo stare questa contesa, che io tengo per fermo che anche le lucertole e i moscherini si credano che tutto il mondo sia fatto a posta per uso della loro specie. E però ciascuno si rimanga col suo parere, che niuno glielo caverebbe di capo: e per parte mia ti dico solamente questo, che se non fossi nato folletto, io mi dispererei.

Insomma ogni essere vivente crede di essere al centro dell’universo, e che il mondo sia stato fatto per lui, né i folletti, né gli gnomi fanno eccezione: ogni specie si sente superiore alle altre…

Gnomo. Lo stesso accadrebbe a me se non fossi nato gnomo. Ora io saprei volentieri quel che direbbero gli uomini della loro presunzione, per la quale, tra l’altre cose che facevano a questo e a quello, s’inabissavano le mille braccia sotterra e ci rapivano per forza la roba nostra, dicendo che ella si apparteneva al genere umano, e che la natura gliel’aveva nascosta e sepolta laggiù per modo di burla, volendo provare se la troverebbero e la potrebbero cavar fuori.
Folletto. Che maraviglia? quando non solamente si persuadevano che le cose del mondo non avessero altro uffizio che di stare al servigio loro, ma facevano conto che tutte insieme, allato al genere umano, fossero una bagattella. E però le loro proprie vicende le chiamavano rivoluzioni del mondo, e le storie delle loro genti, storie del mondo: benché si potevano numerare, anche dentro ai termini della terra, forse tante altre specie, non dico di creature, ma solamente di animali, quanti capi d’uomini vivi: i quali animali, che erano fatti espressamente per coloro uso, non si accorgevano però mai che il mondo si rivoltasse.

Gli uomini però non si consideravano solo al centro della natura, ma pensavano che la natura fosse una loro proprietà. Non solo,  per loro la storia umana era la storia del mondo, non pensavano che in realtà le loro vicende (guerre, rivoluzioni) non riguardavano per nulla gli altri essere viventi.

Gnomo. Anche le zanzare e le pulci erano fatte per benefizio degli uomini?
Folletto. Sì erano; cioè per esercitarli nella pazienza, come essi dicevano.
Gnomo. In verità che mancava loro occasione di esercitar la pazienza, se non erano le pulci.
Folletto. Ma i porci, secondo Crisippo
(un filosofo stoico), erano pezzi di carne apparecchiati dalla natura a posta per le cucine e le dispense degli uomini, e, acciocché non imputridissero, conditi colle anime in vece di sale.
Gnomo. Io credo in contrario che se Crisippo avesse avuto nel cervello un poco di sale in vece dell’anima, non avrebbe immaginato uno sproposito simile.

Qui la critica all’antropocentrismo tocca il suo apice sarcastico.  gli uomini non potevano concepire che in natura ci fosse qualcosa che non era stato fatto per loro, neppure  le zanzare e le pulci. E i maiali erano dotati di anima (nel senso di spirito vitale) perché potessero arrivare vivi alle cucine!

Folletto. E anche quest’altra è piacevole; che infinite specie di animali non sono state mai viste né conosciute dagli uomini loro padroni; o perché elle vivono in luoghi dove coloro non misero mai piede, o per essere tanto minute che essi in qualsivoglia modo non le arrivavano a scoprire. E di moltissime altre specie non se ne accorsero prima degli ultimi tempi. Il simile si può dire circa al genere delle piante, e a mille altri. Parimente di tratto in tratto, per via de’ loro cannocchiali, si avvedevano di qualche stella o pianeta, che insino allora, per migliaia e migliaia d’anni, non avevano mai saputo che fosse al mondo; e subito lo scrivevano tra le loro masserizie: perché s’immaginavano che le stelle e i pianeti fossero, come dire, moccoli da lanterna piantati lassù nell’alto a uso di far lume alle signorie loro, che la notte avevano gran faccende.

Gli uomini non conoscevano se non una parte infinitesima della natura e dell’universo. Ma erano infinitamente superbi e  la loro mentalità era quella di appropriarsi di tutto. Anche le stelle e i pianeti erano roba loro, piantati nel cielo come tante candeline per illuminare la notte. (…)

Folletto. Ma ora che ei sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi.
Gnomo. E le stelle e i pianeti non mancano di nascere e di tramontare, e non hanno preso le gramaglie.
Folletto. E il sole non s’ha intonacato il viso di ruggine; come fece, secondo Virgilio, per la morte di Cesare: della quale io credo ch’ei si pigliasse tanto affanno quanto ne pigliò la statua di Pompeo.

E adesso, scomparso il genere umano, la natura procede indifferente, come se non fosse successo nulla. Nessuno si è vestito a lutto, né il sole ha cambiato colore. Del resto il folletto non ha mai creduto che lo avesse fatto, come diceva Virgilio, neppure per la morte di Cesare…