La Palinodia è una lunga epistola di 279 endecasillabi. E’ una finta ed ironica ritrattazione delle teorie materialiste da lui sostenute in netto contrasto con le idee in auge al suo tempo, che gli avevano precluso il successo letterario e la possibilità di ottenere anche un riconoscimento economico della sua attività letteraria. E’ anche un ritratto impietoso della società contemporanea, superba delle sue conquiste materiali, sempre più massificata, convinta di essere sulla soglia di una sorta di paradiso terrestre.

Il destinatario, il marchese Gino Capponi, fu un importante storico, economista e pedagogista fiorentino. I due erano amici dal 1827, ma in netto dissidio ideologico: Capponi era un fervente cattolico e sostenitore del progresso. Come prese la pubblicazione della Palinodia? Pubblicamente ringraziò per i nobili versi, ma privatamente lamentò che Leopardi l’aveva coglionato per le sue credenze.

La Palinodia con la Ginestra e Il tramonto della luna è stata composta a Napoli, negli ultimi anni della vita del poeta, tra il 1834 e il ’35. E’ un Leopardi pugnace, aggressivo, che vuole distruggere tutti i miti creati dall’ottimismo ideologico del suo secolo. Se nella Ginestra e nel Tramonto della luna il bersaglio è il ritorno del periodo romantico allo spiritualismo, che ipotizza un genere umano privilegiato rispetto al resto della natura perché creatura eletta di Dio, qui ci si scaglia invece contro l’ottimismo prodotto dallo sviluppo scientifico e tecnologico. La lunghezza dell’epistola e la difficoltà dello stile mi hanno indotta a selezionarne alcuni brani, raccontando le parti omesse.

Errai, candido Gino; assai gran tempo,
e di gran lunga errai. Misera e vana
stimai la vita, e sovra l’altre insulsa
la stagion ch’or si volge. (…)
……Alfin per entro il fumo
de’ sigari onorato, al romorio
e’ crepitanti pasticcini, al grido
militar, di gelati e di bevande
ordinator, fra le percosse tazze
e i branditi cucchiai, viva rifulse
agli occhi miei la giornaliera luce
delle gazzette. Riconobbi e vidi
la pubblica letizia, e le dolcezze
del destino mortal. (…)

La palinodia comincia con un’allocuzione al candido Gino. Candido, significa certamente puro di costumi, ma anche, echeggiando Voltaire, anche ingenuo. Il poeta dichiara di aver sbagliato a criticare la sua epoca, giudicandola insulsa , ma che è senz’altro la più felice che l’uomo abbia mai vissuto. La sua critica è sembrata intollerabile e dovuta alla sua malattia, alla sua condizione, alla incapacità di procurarsi i piaceri ormai alla portata di tutti.

Ma finalmente in mezzo alle battaglie dei guerrieri da caffè, che impugnano i cucchiaini come spade, la verità stampata sui giornali risplendette ai suoi occhi. E finalmente il poeta si rese conto del diffuso benessere e della felicità del destino umano. Insomma la profonda filosofia dei giornali, discussa nei caffè lo ha convinto.

Ma cosa promettono gli intellettuali della sua epoca?

………….Universale amore,
ferrate vie, moltiplici commerci,
vapor, tipi e cholèra i piú divisi
popoli e climi stringeranno insieme. (…)

Il tempo che verrà vedrà crescere l’amore universale, le ferrovie, i commerci, le macchine a vapore, la stampa. Gli uomini saranno sempre più a contatto fra loro. Ma l’elenco si conclude sarcasticamente con un altro effetto della globalizzazione: la diffusione del colera. (Se era diffuso in Francia nel 1832 e a Napoli nel 1836: tempistica molto diversa da quelli del nostro Covid…). Gli uomini non brameranno più l’oro o l’argento, ma… le pólizze di cambio, cioè la cartamoneta (l’uso della quale venne proprio regolamentato nei primi decenni dell’Ottocento). Ma non per questo le guerre cesseranno.

…… E giá dal caro
sangue de’ suoi non asterrá la mano
a generosa stirpe: anzi coverte
fien di stragi l’Europa e l’altra riva
dell’atlantico mar, fresca nutrice
di pura civiltá, sempre che spinga
contrarie in campo le fraterne schiere
di pepe o di cannella o d’altro aroma
fatal cagione, o di melate canne,
o cagion qual si sia ch’ad auro torni.(…)

La stirpe umana, così generosa non cesserà di versare il caro sangue. L’Europa e l’America (considerata dai liberali europei modello di una civiltà più libera) non si asterranno dal fare strage di uomini (che dovrebbero essere fratelli), ma scateneranno guerre per le spezie, la canna da zucchero o qualsiasi altra ragione di concorrenza commerciale. (Mancano il petrolio, il gas e le altra materie prime strategiche, ma non dimentichiamo che la lirica è del 1834).

Ma il progresso non sarà neppure causa di un miglioramento nella moralità pubblica

…… Ardir protervo e frode,
con mediocritá, regneran sempre,
a galleggiar sortiti. Imperio e forze,
quanto piú vogli o cumulate o sparse,
abuserá chiunque avralle, e sotto
qualunque nome. Questa legge in pria
scrisser natura e il fato in adamante;
e co’ fulmini suoi Volta né Davy
lei non cancellerá, non Anglia tutta
con le macchine sue, né con un Gange
di politici scritti il secol novo.(…)

Essere buoni e virtuosi non aiuterà certo a fare carriera: il successo pubblico è destinato a chi è aggressivo e protervo, o disposto a frodare gli altri. Ma anche i mediocri se la caveranno sempre. Chi avrà a disposizione il potere, più o meno condiviso, ne abuserà sempre. Né la scoperta dell’elettricità (Volta e Davy) , né la rivoluzione industriale, né l’immenso fiume degli scritti politici prodotti dal suo secolo potranno cancellare questa legge, scritta in lettere di diamante, nella natura umana.(E su questo Macchiavelli aveva scritto parole definitive….).

Certamente il benessere crescerà

………..Piú molli
di giorno in giorno diverran le vesti
o di lana o di seta. I rozzi panni
lasciando a prova agricoltori e fabbri,
chiuderanno in coton la scabra pelle,
e di castoro copriran le schiene.
Meglio fatti al bisogno, o piú leggiadri
certamente a veder, tappeti e coltri,
seggiole, canapé, sgabelli e mense,
letti, ed ogni altro arnese, adorneranno
di lor menstrua beltá gli appartamenti;
e nòve forme di paiuoli, e nòve
pentole ammirerá l’arsa cucina.
Da Parigi a Calais, di quivi a Londra,
da Londra a Liverpool, rapido tanto
sará, quant’altri immaginar non osa,
il cammino, anzi il volo: e sotto l’ampie
vie del Tamigi fia dischiuso il varco,
opra ardita, immortal, ch’esser dischiuso
dovea, giá son molt’anni. Illuminate
meglio ch’or son, benché sicure al pari,
nottetempo saran le vie men trite ()

I prodotti dell’industria (soprattutto tessile) miglioreranno la vita materiale anche dei contadini e degli artigiani, anche se spesso si tratta di oggetti di scarsa qualità (menstrua significa destinata a durare un mese) le distanze si accorceranno, grazie ai tunnel ferroviari. Le strade, anche quelle meno frequentate, saranno meglio illuminate, ma non per questo più sicure.
Ma tutto questo basterà a sconfiggere il dolore a cui ogni uomo è destinato per la legge della Natura?

…………Ma novo e quasi
divin consiglio ritrovâr gli eccelsi
spirti del secol mio: che, non potendo
felice in terra far persona alcuna,
l’uomo obbliando, a ricercar si diêro
una comun felicitade; e quella
trovata agevolmente, essi di molti,
tristi e miseri tutti, un popol fanno
lieto e felice: e tal portento, ancora
da pamphlets, da riviste e da gazzette
non dichiarato, il civil gregge ammira.(…)

Insomma gli intellettuali dei suo tempo, non potendo sottrarre nessun uomo al destino di infelicità e di morte che lo attende, si sono inventati la felicità comune e, grazie ai media, il civil gregge (un po’ sarcastico? Noi diremmo il popolo bue) ci crede. Come non ricordare le luccicanti immagini della pubblicità? Quella di cui Leopardi parla è proprio la società di massa: paga di una informazione superficiale, abbagliata dai beni materiali, infastidita da chi, come lui, afferma che il progresso non può cancellare l’angoscia esistenziale a cui ogni uomo è destinato.

Gli uomini non vogliono sentirsi ricordare la propria condizione infelice, e quale può essere allora il ruolo di un poeta-filosofo quale Leopardi, che aveva trascorso la vita a indagare proprio su questo?

Un giá de’ tuoi, lodato Gino, un franco
di poetar maestro, anzi di tutte
scienze ed arti e facoltadi umane,
e menti che fûr mai, sono e saranno,
dottore, emendator: — Lascia — mi disse —
i propri affetti tuoi. Di lor non cura
questa virile etá, vòlta ai severi
economici studi, e intenta il ciglio
nelle pubbliche cose. Il proprio petto
esplorar che ti val? Materia al canto
non cercar dentro te. Canta i bisogni
del secol nostro, e la matura speme.

Il maestro, poeta e conoscitore di tutte le scienze Nicolò Tommaseo, (scrittore e intellettuale amico di Capponi, ma qualcuno aveva pensato che Leopardi si riferisse a Manzoni) , emendator, cioè censore, del pensiero altrui gli aveva consigliato il da farsi: abbandonare le sue convinzioni, la ricerca personale e la sua autentica ispirazione e dedicarsi a scrivere ciò di cui la sua epoca sente il bisogno. Ma Leopardi ha capito che ormai ai bisogni proveggono i mercati e le officine giá largamente, cioè ormai i bisogni dell’uomo sono esclusivamente materiali. La società moderna non avrà più bisogno di filosofi e di poeti.  Sarà un mondo dominato dagli studi economici, che possono incrementare il benessere materiale (Leopardi cita la statistica come scienza nuova e imperante), ricoperto da una coltre di giornali , divenuti l’unica fonte di sapere (chissà cosa avrebbe pensato di Internet…). Anche in un’operetta morale scritta due anni prima, Dialogo di Tristano e di un amico, anch’essa una finta ritrattazione, aveva criticato  la decadenza della cultura dovuta alla diffusione dei giornali. Si può non essere d’accordo con questo giudizio, ma alcune frasi contengono quasi una profezia: quanto cresce la voglia d’imparare, tanto scema quella di studiare….Le cognizioni non sono come le ricchezze, che si dividono e si adunano, e sempre fanno la stessa somma. Dove tutti sanno poco, si sa poco…

La lirica si conclude, coerentemente con la premessa,  con l’ ironica  promessa di celebrare nelle sue opere future  la speranza in una felicità a portata di tutti.