Sul patibolo
A 28 anni Dostoevskij venne imprigionato e condannato a morte, per partecipazione a società segreta con scopi sovversivi. Fu graziato dallo zar, ma gli fu comunicato quando era già davanti al plotone di esecuzione. Il trauma subito lo segnò per tutta la vita. In diversi suoi romanzi vi sono considerazioni sulla pena di morte. Scrive nell’Idiota: <Il dolore principale, il più forte, è la certezza, che fra un’ora, poi fra dieci minuti, poi fra mezzo minuto, poi ora, subito, l’anima si staccherà dal corpo, e che tu, uomo, cesserai irrevocabilmente di essere un uomo. Questa certezza è spaventosa>.
Razzismo
Alexandre Dumas, l’autore dei Tre moschettieri, essendo mulatto ha subito insulti razzisti per tutta la vita. Era figlio di un generale della Rivoluzione francese e di Napoleone, soprannominato “Il diavolo nero”. Figlio a sua volta di un marchese e di una schiava di Haiti, detta la femme du mas (‘la donna della masseria’). Il generale ripudiò il titolo nobiliare e il cognome del padre e assunse il soprannome della madre (Du-mas, appunto). Che divenne il cognome dello scrittore.
Un libro desolante
Quando Proust mandò ad una casa editrice la sua Recherche, l’incaricato alla lettura dette parere negativo, scrivendo: «Dopo settecentododici pagine di questo manoscritto – dopo infinite desolazioni per gli sviluppi insondabili in cui ci si deve sprofondare ed esasperanti momenti d’impazienza per l’impossibilità di risalire alla superficie – non si ha nessuna idea di quello di cui si tratta. Che scopo ha tutto questo? Che cosa significa? Dove ci vuole condurre? – Impossibile saperne e dirne nulla». Anche Andrè Gide, al quale fu fatto leggere il manoscritto, lo bocciò, contrariato anche dalla nomea di mondano e snob che accompagnava lo scrittore. Proust non si dette per vinto e mandò il dattiloscritto a un’altra casa editrice, ma fu di nuovo bocciato. Chi lesse il manoscritto dette parere negativo con una frase rimasta famosa: «Sarò particolarmente tonto, ma non riesco a capire come questo signore possa impiegare trenta pagine a descrivere come si gira e si rigira nel letto prima di prendere sonno>.

Charles Dickens
Lo scrittore più veloce
Pare che Shakespeare non correggesse mai e che scrivesse talmente veloce da non usare punteggiatura per non interrompere il flusso creativo. Un altro scrittore di velocità e quantità fu Charles Dickens, che con poche cancellature e una grafia larga e sicura produceva almeno 550 parole al giorno, arrivando fino a 4000 parole nei giorni migliori. Ma è probabile che il record di velocità sia di Stendhal che scrisse assai meno, ma dettò le quasi 600 pagine della Certosa di Parma in meno di 52 giorni.
Al contrario Tolstoj impiegò 6 anni per scrivere Guerra e pace in almeno 8 stesure, con la moglie Sonja che ricopiava ogni pagina in bella, essendo tra l’altro una delle poche capace di decifrare la pessima grafia. Mentre Tolkien scrisse “Il signore degli anelli” in 12 anni, usando il retro dei fogli dove i suoi studenti facevano i compiti.
Grandi amanti
La palma di più grande conquistatore di donne tra gli scrittori moderni, escluso dunque Casanova, è contesa da Lord Byron e George Simenon. Il primo a Venezia, in un anno, pare abbia sedotto e portato a letto 250 donne (e un giovane di passaggio). E per ricordare le sue “conquiste” conservava alcuni peli del pube di ognuna in una busta con il nome della proprietaria.
Simenon, uomo di tutti gli eccessi, fu a sua volta un formidabile amatore. La leggenda dice che abbia “amato” almeno diecimila donne, di ogni razza, religione, educazione ed estrazione sociale. Ma erano per lo più prostitute, domestiche e cameriere. Con tutto il rispetto per queste ultime, il titolo forse spetta a Byron.

Jack London
La penna e l’alcol
Molti scrittori erano grandi bevitori, ma forse Jack London li batteva tutti. L’autore di Zanna Bianca aveva iniziato a bere a soli cinque anni, quando il padre alcolizzato lo mandava al pub a prendergli la birra. Da adulto consumava più di un litro di whisky al giorno.
Ma anche l’insospettabile professor Giovanni Pascoli amava l’alcol. Capitava che bevesse anche prima di andare a scuola, e a volte, durante lo svolgimento delle lezioni, si appisolava con la testa annebbiata dai fumi del cognac.
Pinocchio figlio di un debito
Carlo Lorenzini, vero cognome dell’autore di Pinocchio, era gaudente e spensierato. Perse al gioco una forte somma di denaro e subito un suo amico editore gli offrì di versargli tutto l’importo purché, entro l’anno, gli avesse scritto un libro per ragazzi. Lo scrittore mantenne l’impegno e realizzò uno dei più bei libri di narrativa per i ragazzi.
Anche i maiali però….
Pavese, durante il confino solitario in Calabria, quasi impazzì, per l’impossibilità di avere rapporti sessuali. Sino al punto che scrisse alla sorella: “Ho notato che le scrofe, qui numerosissime, viste di dietro hanno una somiglianza impressionante con la vista di dietro delle signorine in genere. Son tentato di condurmene una a letto per compagnia.”
Che delusione!
Jack Kerouac, forse lo scrittore più celebre della beat generation, era amante degli eccessi e della vita sregolata ed errante. Di lui disse un critico: <Si è addormentato ubriaco e risvegliato famoso>. Ma in realtà era un cattolico devoto: scriveva per trovare Dio, così disse. Disprezzava gli hippies, era un patriota e a favore alla guerra in Vietnam.