Alcol, droga, vita sregolata fanno parte del clichè dell’artista, a cui gli scrittori non sfuggono. E’ noto che un certo numero di scrittori hanno cercato in qualche tipo di droga il dilatarsi delle percezioni, la scoperta di nuove dimensioni e un potenziamento della creatività da riversare nelle loro opere. Altri invece più semplicemente sollievo e fuga da vite tormentate e inquiete.

Charles Baudelaire
I nomi più noti sono quelli di Baudelaire e dei suoi amici, che a Parigi avevano addirittura messo su il Club des Hashischins, letteralmente mangiatori di hashish,frequentato da molti scrittori alla ricerca di esperienze allucinatorie. Ma non ci andavano gli altri poeti maudit, come a volte si legge (che pur facevano uso di droghe) come Rimbaud, Verlaine e Mallarmè, troppo giovani.
I frequentatori avevano nomi illustri come: Victor Hugo, Theofile Gautier, Gerard de Nerval, Alexandre Dumas. Ci andava anche Balzac, che però ha sempre detto che non si drogava, perchè la sua creatività era tale che non ne aveva bisogno. In pratica quasi tutti gli scrittori parigini dell’epoca.
Quando si parla di droga l’altro gruppo di scrittori che viene subito alla mente, è quello della beat generation, i vari Ginsberg, Bourroughs, Ferlinghetti, Keruac, che cercavano nella mescalina e nell’Lsd un approdo mistico-alternativo. Burroughs si trasferì a Tangeri, come lui ricorderà: <perché poteva fumare in tranquillità ogni tipo di erba, ma anche incontrare ragazzi di tutte le nazionalità e farne i suoi amanti>.

William Shakespeare
Ma ce ne sono molti altri e tra loro alcuni nomi insospettabili. A cominciare da Shakespeare che fumava marijuana. Residui di questa sostanza sono stati ritrovati nelle sue pipe. Samuel Taylor Coleridge scoprì l’oppio durante un soggiorno a Malta e raccontò le sue visioni dopate in due libri, nella “Ballata del vecchio marinaio” e in “Kubla Khan”. Cercò poi di uscire da quella che era divenuta una schiavitù che, come scrisse: <gli procurava un male morale più intenso di quelli che riusciva a vincere con la droga>.
Anche Baudelaire ebbe un rapporto d’amore e odio con la droga. Dall’entusiasmo: <Ogni contraddizione diventa unità. L’uomo è diventato Dio>, alla depressione: <quanti cercano il paradiso si costruiscono un inferno…. la droga, mia vecchia, terribile amica, fonte di carezze e tradimenti>.
L’oppio era, nella prima metà dell’800 la droga più usata. Thomas De Quincey in “Confessioni di un oppiomane”, racconta la sua vita della quale l’oppio fu compagno fedele e apprezzato. Si abbandonò all’oppio anche Edgard Allan Poe, ma solo in tarda età, dopo la morte della moglie. La sua vena artistica era stimolata più dall’uso dell’alcol.
Anche Maupassant fece uso di diverse droghe, sopratutto morfina ed hashish, ma non tanto come doping artistico, quanto per lenire le sue sofferenze fisiche e mentali, dovute alla sifilide, che lo porteranno alla pazzia.
Lord Byron assumeva oppio, bevendo laudano che è alcol misto a oppio. Sostanza che arrivava abbondante in Inghilterra dall’India coloniale e a prezzi bassissimi. Ma non era certo il solo, quasi tutti gli scrittori romantici inglesi, chi più chi meno, facevano uso di laudano: Percy Shelley, Walter Scott, John Keats. E pure Charles Dickens vi cercava sollievo e stimolo.
Alexandre Dumas preferiva l’hashish e lo fa assumere abbondantemente anche al suo Edmond Dantes, conte di Montecristo. Altro consumatore abituale era Alfred de Musset e Novalis.

Louise Mary Alcott
Persino l’insospettabile Louisa May Alcott, dalla cui penna uscì “Piccole donne”, classico della letteratura dell’infanzia, era in realtà un’accanita fumatrice d’oppio. E Jean Cocteau sosteneva che doveva al suo amato oppio <le ore più perfette> e che aveva a tal punto esaltato le sue capacità di scrittura che “Les enfants terribles” era stato composto in soli diciassette giorni.
Record battuto però da Robert Louis Stevenson che, sotto l’effetto di massicce dosi di cocaina e morfina, scrisse in soli sei giorni “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, con evidente trasposizione della sua esperienza nella trama.
Rimbaud si definiva “poeta veggente” proprio per la ricerca continua di sensazioni visionarie e deformanti attraverso l’uso di varie droghe assieme all’amico e amante Paul Verlaine.
Anche Antonin Artaud e Carlos Castaneda hanno parlato dell’uso della droga come mezzo di una conoscenza “altra” rispetto a quella razionale.
Un altro insospettabile è Marcel Proust che, nella sua vita malata e sofferente, fece uso di sostanze stupefacenti più a scopo curativo che stimolante. Si curava l’asma facendo inalazioni di Datura stramonium, l’allucinogena “erba del diavolo”. Gli effetti curativi erano incerti, ma quelli estranianti vennero descritti, attribuendoli a personaggi della “Recherche”, in modo particolareggiato.
Verso la fine del secolo si diffuse l’uso di cocaina e morfina. Noto cocainomane era D’Annunzio.

Michail Bulgakov
Mentre Bulgakov era dipendente dalla morfina, la moglie ha raccontato che doveva correre per tutta la città per trovarne un po’, mentre lui aspettava a casa cupo e a volte violento. Bulgakov scrisse poi anche un romanzo intitolato “Morfina”.
L’elenco sarebbe ancora lungo, tra gli altri anche Freud e Junger fecero uso di cocaina e pure Sherlok Holmes. Non ci sono prove che Conan Doyle si facesse di polvere bianca, ma il suo investigatore sì. In vari racconti si pratica iniezioni di coca, spacciata come pratica ti tipo farmacologico-scientifico. La cosa lascia pensare che qualche conoscenza della materia anche il suo creatore ce l’avesse.
Caso analogo è quello del buon diacono anglicano Charles Lutwidge Dodgson, in arte Lewis Caroll. La sua Alice entra nel paese delle meraviglie mangiando un fungo allucinogeno, offertogli dal Brucaliffo, e tornerà a far ricorso ai suoi effetti in più punti della favola. Anche qui il sospetto che l’autore, già sospettato di essere un po’ pedofilo, avesse trasposto nel racconto fantastico qualche sua esperienza reale.
In epoca più recente c’è stata la moda della mescalina e dell’Lsd, dai potenti effetti psichedelici. La sperimentarono, tra gli altri, Jean Paul Sartre, che parlò delle dimensioni scoperte grazie all’alcaloide estratto dal peyote messicano nella “Nausea”. Ed anche Elsa Morante, dedita più allo Lsd, il cui nome si ritrova nelle iniziali del titolo di una sua poesia “La sera domenicale ” e non è una supposizione, perchè le tre lettere erano scritte con un pennarello di colore diverso.
L’elenco sarebbe ancora lungo. Chiudiamo con Stephen King che ha rivelato di aver scritto “Cujo” sotto l’effeto di tanta droga e birra, da non ricordare quasi nulla della stesura del libro.
Prof, ma li hai letti tutti? Roby mi sa di si, di quelli citati, tra casa e cantina ce ne mancheranno forse due o tre! Vorrà dire qualcosa? Comunque non ero consapevole di questo trait d’union fino a quando li hai messi tutti in fila. Complimenti e grazie
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