Quasi contemporaneamente, quest’autunno, sono usciti in Italia due romanzi distopici, ambientati, cioè, in mondi immaginari caratterizzati dalla negatività (distopia è il contrario di utopia). Sono stati scritti da scrittori famosissimi, autori di bestseller: Robert Harris e Margaret Atwood.
Il “Sonno del mattino” è l’ultimo romanzo di Robert Harris, (giornalista e scrittore inglese, autore del notissimo Fatherland ).
Il romanzo inizia descrivendo il protagonista Christopher Fairfax, un giovane prete, che avanza a cavallo, sotto una pioggia battente, tra i boschi di una contrada inglese, per raggiungere un remoto villaggio dove dovrà celebrare il funerale del parroco, padre Thomas Lacy, morto una settimana prima.
Inquietanti e ambigui gli abitanti del villaggio, inquietante l’ambiente, ma tutto sommato, si tratta di cose già viste e lette decine di volte. Il lettore pian piano scopre che in realtà il 1468, anno in cui è ambientata la storia, non è D.C. La numerazione degli anni è ripartita dopo la distruzione del nostro mondo tecnologico, di cui restano alcune tracce nel territorio (manufatti in cemento amato, frammenti di vetro, plastica). Dopo l’ “Apocalisse” la civiltà sta gradualmente ripercorrendo il suo cammino. E siamo in una fase che nella storia dell’Occidente corrisponde all’epoca che precede la rivoluzione industriale.
E’ un’epoca di guerre, in cui la Chiesa e la monarchia dominano il mondo. La Chiesa ha ripreso il controllo della cultura e dell’immaginazione collettiva, per evitare che gli uomini, possano essere nuovamente corrotti dall’eccessivo benessere della civiltà tecnologica e ricadano nella condizione di peccato che ha scatenato appunto l‘Apocalisse. Tutte le tracce del passato devono essere distrutte, ogni riferimento al benessere che l’umanità aveva raggiunto deve essere cancellato .
Ma come accade sempre, non tutti si uniformano: la Società degli Antiquari, segreta ed eretica riunisce appunto gli studiosi che, illegalmente, cercano di ricostruire il passato per riportare agli uomini le benefiche scoperte scientifiche e tecniche di cui gli antichi godevano e che sono completamente dimenticate (per esempio l’elettricità ).
Il protagonista, Fairfax, attraverso i cui occhi vediamo svolgersi la storia, subisce nel corso del romanzo una profonda trasformazione: ingenuo e conformista all’inizio, spinto dagli eventi e dall’amore, finisce per mettere in discussione le sue convinzioni e matura scelte rischiose e anticonformiste.
L’idea è buona, ma il romanzo non convince del tutto: poco credibili e un po’ stereotipati i personaggi, e anche poco approfonditi, già pronti per una sceneggiatura. Non convincono neppure tutti gli snodi della trama, che fa riferimento a troppi generi. “Il sonno del mattino” è un po’ thriller, un po’ romanzo d’avventura, un po’ romanzo storico e, naturalmente, non può non comprendere una storia d’amore. L’unico vero colpo di scena è alla fine, ma non basta a riscattare una trama complessivamente prevedibile.
Eppure il romanzo fa riflettere. Harris, giustamente, prova a spiegarci perchè la nostra civiltà potrebbe scomparire (nel 2022 d. C.!). Uno scienziato dell’ Imperial college, poco prima della catastrofe, ha inviato infatti le sue riflessioni ad atri studiosi (una di queste lettere è stata miracolosamente ritrovata dalla Società degli antiquari).
<A grandi linee – scrive lo scienziato – abbiamo identificato sei possibili scenari catastrofici che minacciano l’esistenza del nostro avanzato stile di vita basato sulla scienza: 1. cambiamenti climatici; 2. un conflitto nucleare; 3. l’eruzione di un super vulcano, che porterebbe a un rapidissimo cambiamento climatico; 4. la caduta di un asteroide, che causerebbe anch’essa un cambiamento climatico accelerato; 5. un crollo generalizzato della rete informatica dovuto o a una guerra cibernetica, a un virus fuori controllo, o ad attività solare; 6. una pandemia resistente agli antibiotici … Stimiamo che la nostra società abbia raggiunto un livello di sofisticazione che la rende straordinariamente vulnerabile al collasso totale. La gravità di questa minaccia è enormemente aumentata dall’inizio degli anni 2000, con il trasferimento di gran parte dell’attività economica e sociale in rete, senza che a livello governativo sia stato approntato un corrispondente piano d’emergenza. Un’interruzione prolungata e generale della rete informatica, per esempio, porterebbe nel giro di ventiquattro ore a una penuria di cibo e carburante – specialmente nelle aree urbane – a una drammatica riduzione della disponibilità di denaro liquido (a causa della perdita di operatività di Bancomat, carte di credito e online banking), a un crollo delle reti di comunicazione e informazione, al blocco dei trasporti, a episodi di accaparramento, esodi di massa e disordini civili. In particolare, l’interruzione nella distribuzione dei generi alimentari, che si basa sulla gestione informatizzata di rifornimenti costanti, avrebbe serie conseguenze nel giro di poche ore. Trent’anni fa una famiglia inglese media aveva in casa provviste sufficienti a coprire otto giorni, oggi la media è scesa a due giorni. Non è esagerato dire che Londra, in qualsiasi momento, si trova a sei pasti dalla fame. Il nostro timore è che un iniziale collasso possa propagarsi con progressione esponenziale e a una velocità tale da rendere vana qualsiasi risposta del governo. Persone in posizioni chiave potrebbero assentarsi dal posto di lavoro o non essere in grado di raggiungerlo. Una gran massa di dati potrebbe andare irrimediabilmente persa. Settori e tecnologie fondamentali potrebbero essere colpiti…>.
Non si può dire che l’analisi non sia convincente e non faccia riflettere sulla fragilità del nostro mondo.
Per citare un solo esempio, proprio in questi giorni è stato annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi e giustamente Harris cita i cambiamenti climatici come prima causa dell’Apocalisse.
Ma dopo l’”Apocalisse”? Harris afferma che il nuovo mondo non può non assomigliare per tanti versi all’ antico: ” Era come se la lunga ripresa dopo l’Apocalisse si fosse arrestata nel punto raggiunto dalla civiltà due secoli prima del disastro. Come mai? Era perché il comportamento umano seguiva certi schemi irrinunciabili – la necessità di coltivare cibo, di abitare in insediamenti, di adorare Dio, di mettere al mondo dei figli e educarli… ” E su questo non si può non essere d’accordo anche senza citare i corsi e i ricorsi vichiani. Ma perchè di nuovo l’ Inquisizione , l’oscurantismo? Perchè non fare prendere all’umanità una via del tutto nuova, rispetto al percorso già tracciato?

Anche Margaret Atwood, autrice de I testamenti, colloca il suo romanzo “I testamenti” in un mondo distopico che può, per certi aspetti, essere accomunato a quello creato da Harris.
La Atwood non ha bisogno di presentazioni; autrice di best seller mondiali, icona del femminismo, l’abbiamo vista acclamata come una star di Hollywood al festival della letteratura di Mantova.
I testamenti è il sequel de “Il racconto dell’ancella”, pubblicato nel 1985, libro che ha avuto uno straordinario successo ed è divenuto anche serie televisiva.
La tecnica narrativa è la stessa: attraverso le dirette testimonianze di donne vissute a Gilead gli storici possono ricostruire la vita delle donne in questo mondo distopico che si è formato, alla fine del ventesimo secolo, per le guerre, l’inquinamento radioattivo e chimico. In questo contesto, nel Nord America, in seguito a un golpe, si è insediato un regime teocratico e totalitario.
A farne le spese sono soprattutto le donne che vedono cancellati interamente tutti i loro diritti, compreso quello alla proprietà, nonché tutte le conquiste civili degli ultimo due secoli, e si trovano in uno stato di totale asservimento. L’unico ruolo che la società riconosce loro è quello riproduttivo.
L’ancella protagonista del primo libro è di fatto uno schiava sessuale, destinata ad accoppiarsi al comandantre Fred. A Gilead i comandanti rappresentano il vertice della piramide sociale, e, se si ritrovano sposati ad una donna sterile possono copulare con le loro serve per generare figli, secondo il precetto biblico enunciato dalla Bibbia, nel libro della Genesi.
Offred ( il nome è formato da of Fred, cioè “di Fred”, se l’ancella dovesse cambiare proprietario, anche il suo nome muterebbe) è la protagonista appunto del Racconto dell’ancella e che ci ha lasciato la sua testimonianza su delle musicassette.
Altre testimonianze di donne di Gilead sono raccolte nel nuovo romanzo “I Testamenti” e sono databili a circa 15 anni dopo quella di Offred. A parlare sono una Zia (le zie sono le insegnanti che devono formare le mogli e le ancelle educandole ad una assoluta sottomissione al potere maschile), una ragazzina di nome Agnes, nata a Gilead e quindi convinta che il mondo che la circonda rappresenti la normalità e Daisy cresciuta al di fuori della Repubblica di Gilead.
La trama dei Testamenti è più varia rispetto al romanzo precedente, indulge di più alla ricerca di momenti di azione e di suspence, e risulta, a mio avviso, meno convincente. L’atmosfera cupa e disperata che la Atwood era riuscita a creare nell’Ancella è, necessariamente, più diluita e attenuata.
Chi ha letto l’Ancella, per esempio, non può dimenticare l’ accoppiamento tra il comandante ed Offred sdraiata in grembo alla moglie dello stesso comandante, a certificare l’assoluta legittimità dell’atto che avviene in modo del tutto conforme al precetto religioso.
Nei Testamenti mancano scene di uguale forza evocativa, ma il personaggio di zia Lydia, già presente nell’Ancella, non si dimentica facilmente. La donna viene da un mondo in cui la teocrazia di Gilead non si era ancora affermata, nel quale ricopriva un ruolo importante (era un giudice) ed è uno splendido esempio di come un essere umano possa essere piegato a compiere le peggiori nefandezze con la violenza, facendo leva sul suo istinto di sopravvivenza,
Ma soprattutto il pubblico femminile non può non soffrire nel vedere descritta una condizione certamente esasperata, ma non poi così improbabile.
La Atwood stessa ha dichiarato che ha tratto ispirazione dalla realtà: la Romania di Ceausesco, nella quale le donne erano costrette a generare bambini contro la loro volontà; certe realtà del mondo islamico e, anche se l’autrice ha dichiarato che Trump non sta ricreando Gilead, non si può negare che il modello di società prefigurato nei suoi libri non dispiacerebbe troppo a Steve Bannon e piacerebbe sicuramente a Konstantin Malofeev.
Le distopie riflettono ovviamente le paure e le angosce delle società a cui gli scrittori appartengono, ma, a volte, sono profetiche. Chi potrebbe negare che il nostro mondo ha qualcosa in comune con l’”Oceania”, in cui è ambientata la più celebre distopia della letteratura occidentale: l’orwelliano “1984”? Certo, per fortuna il controllo sulle nostre vite è non è esercitato in modo violento e autoritario ( Orwell scrive nel 1949 e pensa ai totalitarismo della prima metà del secolo), ma i” teleschermi/telecamere ” con i quali il “Grande Fratello” controlla la vita dei sudditi non sono un po’ i nostri computer, che spiano, con il nostro incondizionato assenso, le nostre esistenze e condizionano in tanti casi, con le fake news, le nostre opinioni?
E il fatto che quasi in contemporanea escano due libri come questi è indubbiamente il segnale di una diffusa sensazione che è penetrata sotto la pelle delle società industrializzate: che se qualcosa cambierà è più facile che cambi in peggio.
Non resta allora che sperare che le distopie di Harris e Atwood restino confinate nei loro libri, ma è impossibile, leggendoli, non provare un brivido di paura. Soprattutto se si è donne.