La storia è abbastanza (ma non sufficientemente) nota: a Palermo le sorelle Pilliu sono proprietarie di due casette situate su un lotto di terreno vicino al parco della Favorita, sul quale hanno messo gli occhi dei palazzinari mafiosi per la costruzione di un lussuoso condominio di otto piani.

Nonostante le intimidazioni, che denunciano regolarmente, non cedono la proprietà delle loro case, che vengono però semidistrutte dai lavori del cantiere. I costruttori ottengono infatti la concessione edilizia basata su una falsa dichiarazione di proprietà. Alla fine di un’odissea che sfiora l’assurdo, la verità viene ristabilita e alle sorelle è riconosciuto il diritto ad un risarcimento.

Lo Sicco si dichiara proprietario dell’appartamento delle Pilliu nel 1988, questo risarcimento arriva undici anni dopo la condanna di Lo Sicco e ventisette anni dopo il reato, quando si è spacciato per unico proprietario delle due palazzine. Anni di lotte, denunce, discussioni, arrabbiature, per vedersi riconosciuto ciò che era ovvio”. Ventisette anni di sofferenze materiali e morali per le Pilliu, ventisette anni in cui impiegati, funzionari, avvocati magistrati, hanno speso tempo e denaro pubblico per accertare un fatto verificabile in pochi minuti.

E’ una vicenda eccezionale solo perché le sorelle hanno avuto il coraggio di opporsi ad un “sistema in cui tutti vanno in senso opposto. Con la loro pretesa di far rispettare la legge, sono il classico granello di sabbia che fa andare in tilt il motore che gira producendo calcestruzzo a pioggia”. Ma allo stesso tempo è una vicenda paradigmatica di un sistema basato sulla collusione a tutti i livelli tra potere mafioso, politica e stato.

La storia delle sorelle si intreccia con quella dei massimi esponenti della storia della mafia palermitana, di cui il libro offre una buona sintesi, e dei magistrati che la combattono, in primo luogo Borsellino.

Ma la vicenda non finisce con un lieto fine: il risarcimento accordato dal tribunale le sorelle non lo otterranno mai, perché la ditta di costruzioni è fallita e i suoi beni sono stati confiscati per mafia, ma lo stato esige da loro 22mila e 842 euro a titolo di imposta del 3% sull’ammontare di quel risarcimento.

Gli incassi del libro di Pif e Lillo saranno interamente devoluti a pagare i ventitremila euro, ma l’intento è anche  molto più alto. Io posso, non dovrebbe essere solo il motto del mafioso che si sente al di sopra di ogni legge, ma anche di tutti quelli che si identificano con lo stato e, come le sorelle Pilliu, pensano che qualcosa da fare ci sia, anche in situazioni così estreme e paradossali.