Harry Hole è tornato. Ad indagare ad Oslo, non come poliziotto, ma come investigatore privato assunto da un ricchissimo immobiliarista che si deve liberare da un’accusa infamante. Hole, dopo le disgrazie che gli sono capitate nel romanzo precedente (Il coltello, 2019) è ormai ridotto ad una larva, senza nessun interesse per la vita. Si era rifugiato a Los Angeles, lontanissimo dalla Svezia. Ed è lì che ha incontrato Lucille, una vecchia attrice piena di debiti e di problemi. Ed è per aiutare lei che accetta l’incarico. Mette insieme una squadra di disperati. Riannoda i rapporti con personaggi della sua vecchia vita, che gli riservano grandi sorprese. Come al solito Nesbø non delude: la trama è complicata, al limite della realizzabilità ma non incredibile e si scioglie solo nelle ultimissime pagine, con un espediente narrativo che non si può raccontare. Poi si impara anche qualcosa sui processi neuronali del cervello e sui parassiti. Francamente non ho controllato l’esattezza delle informazioni scientifiche:  mi sono fidata dell’autore. Alla fine del romanzo si capisce chiaramente che i fan di Hole possono stare tranquilli: nonostante quello che lui stesso afferma i presupposti per tornare ancora ci sono tutti…
P.S. se fossi una scrittrice di romanzi gialli creerei un investigatore tranquillo, con una  situazione familiare  soddisfacente, insomma alla Maigret, tanto per vedere cosa succede….