Il blocco della tastiera

Joseph Conrad
Joseph Conrad continuò a scrivere con la penna intinta nell’inchiostro anche dopo l’invenzione della stilografica. Aveva anche la mania di conservare, penne rotte e pennini spuntati per ragioni affettive.
Con penna e inchiostro scriveva anche Tolkien.
Norman Mailer confessò che di fronte alla tastiera si sentiva bloccato e ritrovò ispirazione e vena artistica tornando alla penna.
Stephen King, dopo l’incidente del 1999 che gli rese impossibile stare seduto davanti al pc, cominciò ad usare la stilografica Waterman. Una fortuna, spiegò, perchè di rallentare il ritmo e pesare di più le parole
Jane Austen usava solo carta di marmo e una penna d’oca con inchiostro ferrogallico.
Dickens solo inchiostro blu, che nella seconda metà dell’Ottocento non trovavi proprio a ogni angolo di strada.
Pablo Neruda invece scriveva solo con inchiostro verde;
Adorabile matita

Vladimir Nabokov
Preferivano la matita Steinbeck, Thomas Wolfe, Scott Fitzgerald e Nabokov, anche se si facevano fotografare con la macchina da scrivere. Molti scrittori hanno sempre preferito scrivere a mano, anzichè con la macchina da scrivere, ad esempio: Iris Murdoch, Graham Greene, Paul Auster, Naguib Mahfouz e Mario Vargas Llosa.
George Simenon è passato alla macchina da scrivere molto tardi, fino ad allora si dice che disponesse sul tavolo 50 matite, tutte appuntite ed ordinate così da poterle cambiare, appena fossero state spuntate, senza interruzioni.
Nabokov scriveva solo su cartoncini Bristol e a matita, rigorosamente una Blackwing 602 dalla mina morbida, con il gommino. Conservava i cartoncini scritti dentro una scatola di scarpe. Questo gli consentiva di scrivere senza una precisa sequenza cronologica, che evrebbe ricostruito riordinando i cartoncini. Che poi faceva dattilografare alla moglie Vera.
Anche Hemingway usava una Blackwing, ma dalla mina più dura. Matita che consigliava ai giovani scrittori: <Perché ti darà alcune opportunità in più per migliorare il tuo scritto; tanto per cominciare, quando lo batti a macchina avrai un’altra occasione per sistemarlo di nuovo».
Lui e Bruce Chatwin amavano scrivere sui quadernetti Moleskine (collaborando alla riuscita della fabbrica che ne fa ora un mito).
Calvino invece le matite le rosicchiava, tanto che il suo collega Pavese, irritato dall’incessante rumore, prese a chiamarlo “scoiattolo”.
Quanti romanzi dettati

Henry James
Dostoevskij fu costretto a impiegare una stenografa (per finire in tempo e consegnare secondo contratto “Il giocatore” all’editore, dettandolo dal 4 al 29 ottobre 1886), stenografa con grandi doti, visto che poi la sposò. Un altro motivo per dettare furono i crampi alla mano, che nonostante impacchi e rimedi vari continuavano a assillare gli scrittori “a mano”.
Come Henry James che impiegò una dattilografa, dal 1907 fino alla morte, nel 1916.
Agatha Christie ha venduto milioni di copie dei suoi libri, ma non li ha scritti (materialmente) lei. Soffriva infatti di disgrafia, un disturbo dell’apprendimento che rendeva la sua calligrafia illeggibile e che la costringeva a dettare i suoi romanzi.
Isolati, al bar, nell’oscurità o nudi

Saul Below
Marcel Proust scriveva sempre a letto tra le pareti ricoperte da sughero.
Thomas Carlyle si fece costruire apposta una stanza isolata acusticamente.
Scrivevano invece ovunque Saul Bellow, Allen Ginsberg o Jean-Paul Sartre, specialmente ai tavolini di un bar, dove a Palermo fu composto in gran parte anche il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Émile Zola preferiva scrivere con la luce artificiale e oscurava la stanza con le tende anche quando scriveva di giorno.
Mark Twain si vestiva di tutto punto, in genere con una camicia bianca, prima di sedere al tavolo di lavoro.
Victor Hugo si chiudeva in camera a chiave, si spogliava e consegnava i vestiti ai domestici, che avrebbero dovuto restituirglieli una volta terminato il suo compito giornaliero. Affermava che soltanto nella nudità riusciva a concentrarsi. I vestiti, al pari delle persone, erano elementi di distrazione, per cui nelle giornate più fredde si concedeva il lusso di avvolgersi in una coperta.
In piedi o sdraiati

James Joyce
Virginia Woolf si dedicava alla scrittura dei suoi libri due ore e mezzo al mattino e spesso scriveva in piedi, grazie a una scrivania particolare di sua progettazione.
Anche a Lewis Carroll e Philip Roth e pure a Hemingway non dispiaceva scrivere in piedi sulla loro “Scrivania verticale”.
Truman Capote, al contrario, preferiva lavorare disteso: sosteneva di essere un “autore completamente orizzontale” perché non pensava di riuscire a poter scrivere se non sdraiato nel suo letto o nel divano.
Sdraiati nella comodità del proprio letto, sembra aver ispirato molti romanzieri di successo, tra gli altri Mark Twain, George Orwell, Edith Wharton, Woody Allen.
James Joyce scriveva sdraiato sul letto a pancia in giù con una grande matita e vestito solo con un camice bianco. Questo perchè ormai quasi cieco. I grandi pastelli lo aiutavano a vedere ciò che scriveva, mentre il camice bianco lo aiutava a riflettere la luce sulle pagine quando arrivava la notte.
All’alba o a testa in giù

Haruki Murakami
Hemingway riusciva ad alzarsi alle cinque mezzo o sei del mattino, anche se prima aveva bevuto fino a tardi (ed è risaputo che era un gran bevitore), e scriveva fin a quando non trovava un punto dove potersi fermare e ricominciare il giorno dopo: adorava le ore mattutine perché “a quell’ora non ti disturba nessuno ed è sempre fresco o freddo, così puoi metterti al lavoro e riscaldarti scrivendo”.
Haruki Murakami normalemnte si sveglia alle 4 di mattina e lavora 5-6 di fila ore
Pare che appendersi a testa in giù sia la cura per il blocco dello scrittore scelta da Dan Brown. Secondo Brown, la cosiddetta terapia di inversione, appeso a una barra a testa in giù, lo aiuta a rilassarsi e concentrarsi sulle parole. Più lo fa, più si sente sollevato e ispirato.
Umberto Eco dichiarò di aver cominciato a scrivere romanzi quasi solo per il puro gusto di usare il pc.
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