Giacomo Leopardi è stato uno degli intellettuali più anticonformisti della nostra letteratura. In un’epoca in cui trionfava in Italia e in Europa il Romanticismo e, con questo, il ritorno allo spiritualismo e al Cristianesimo, Leopardi rimase fedele al razionalismo illuministico, dal quale discende la sua riflessione filosofica. E, per tutto l’arco della sua vita, affermò con forza le sue idee, sia nelle liriche che negli scritti in prosa.
Idee che si rivelano oggi di un’attualità sorprendente, incomparabile rispetto a quelle dei suoi contemporanei.
Il non adattarsi alla cultura dominante gli costò molto. In primo luogo lo pose in conflitto con la famiglia, che culminò nel tentativo di fuga. Giacomo, poco più che ventenne, scrive in questa occasione al padre: <Io so che la felicità dell’uomo consiste nell’esser contento, e però più facilmente potrò esser felice mendicando, che in mezzo a quanti agi corporali possa godere in questo luogo. Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d’ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz’altro pensiero.–
So che sarò stimato pazzo, come so ancora che tutti gli uomini grandi hanno avuto questo nome >
E disagi ne dovrà sopportare tanti, dovuti alla mancanza di denaro, che avrebbe potuto procurarsi se avesse aderito al pensiero dominante nella sua epoca. Per fare solo un esempio, nel 1830 partecipò a un concorso letterario dell’Accademia della Crusca con un libro originalissimo e considerato oggi un capolavoro assoluto: le Operette morali. Il clima culturale non era certo favorevole: appena uscito, nel 1827, il libro fu subito inquisito dalle gerarchie ecclesiastiche per la messa all’indice, che poi avvenne dopo la morte del poeta. Niccolò Tommaseo, famoso scrittore e patriota, affermò: <mi parve il libro meglio scritto del secolo nostro, ma i principii, tutti negativi, non fondati a ragione…. Diffondono nelle immagini e nello stile una freddezza che fa ribrezzo, una desolante amarezza>.
E così le Operette ottennero un solo voto su quindici e il premio in denaro, che avrebbe potuto sollevare un po’ le misere condizioni del poeta, andò alla “Storia d’Italia dal 1789 al 1814 “di Carlo Botta, di cui quasi tutti, oggi, ignoriamo l’esistenza.
Scrisse Leopardi <la mia filosofia è dispiaciuta ai preti, i quali qui e in tutto il mondo, sotto un nome o sotto un altro, possono ancora e potranno eternamente tutto>
Ecco cinque testi, non tra i più famosi, che vale la pena (ri)leggere, che testimoniano questo pensiero anticonformista e originalissimo.
Dialogo di un folletto e di uno gnomo, dalle “Operette morali”: un dialogo sull’insensatezza dell’uomo che si crede padrone della natura.
Il tramonto della luna: una lirica sulla vecchiaia epoca nella quale si coglie appieno la mancanza di senso della vita.
Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez dalle “Operette morali”: non c’è niente di peggio della noia. Per evitarla tutto è concesso, anche mettere a rischio la vita.
Scrivi un commento