Capitolo precedente…. 9) La strage dei nappisti. La morte di Mara
Nap, la prima gambizzazione
Il 7 ottobre i Nap vanno in trasferta a Milano per compiere la loro prima azione di fuoco. Cosimo Vernich, agente di custodia a S.Vittore va a prendere l’autobus, quando un auto gli si affianca, scende un uomo che gli spara alle gambe. L’azione è rivendicata dal nucleo Giovanni Taras (quello saltato in aria ad Aversa): <Stamattina è stato colpito il brigadiere Vernich, guardia carceraria e aguzzino, che spesso e volentieri comanda la squadra di picchiatori a San Vittore>.
Contro Agnelli e Berlinguer
Le Br debbono dimostrare che gli arresti non hanno messo in crisi l’organizzazione e nel giro di tre giorni mettono a segno due attacchi.
Il primo ancora ad opera della colonna torinese, che è particolarmente attiva, comandata a mezzo servizio da Micaletto, che guida anche quella genovese. E’ un’altra gambizzazione, che è ormai diventata un marchio. Quasi che si tratti di una punizione lieve. Ma non lo è, si può rimanere storpiati a vita e anche morire se il proiettile lede l’arteria femorale.
Il 21 ottobre, tre uomini a volto scoperto aspettano sotto casa Enrico Boffa, capo del personale della Singer. Appena sceso dall’auto, pochi mesi prima gliene avevano fatta esplodere un’altra, lo circondano, lo fanno inginocchiare, gli mettono un cartello al collo e gli puntano una pistola alla testa e lo fotografano, come si faceva ai bei tempi. I tre fanno per andarsene, poi uno torna indietro e spara due colpi alle gambe, uno va a vuoto. Sul cartello c’è scritto: “Trasformare la lotta contrattuale in scontro di potere per battere il disegno presidenziale e corporativistico di Agnelli e di Leone, e il compromesso storico di Berlinguer“.
Ma come vengono scelte le vittime? La direzione strategiica (a volte anche uno dei fronti nazionali) decide la campagna. Ora c’è quella contro la Dc e quella sempre in corso contro il comando in fabbrica. Le colonne schedano molte persone e situazioni, scegliendo ad esempio dirigenti d’azienda o capireparto particolarmente invisi o quelli di fabbriche in lotta. La direzione di colonna sceglie tra questi l’obiettivo, anche in base alla facilità dell’azione, chi è un abitudinario è più a rischio.
Boffa era perfetto. la Singer è occupata dagli operai, perchè i nuovi padroni americani la vogliono chiudere. In più è anche un dirigente locale della Dc.
Solo due giorni dopo entra in scena, per la prima volta, la colonna genovese. Un altro capo del personale, Vincenzo Casabona dell’Ansaldo viene caricato su un furgone da quattro uomini, sotto gli occhi dei passanti, e portato via. Qualche ora dopo viene rilasciato, legato ad un albero presso la discarica di Recco. Ha salvato le gambe.
Rosso cresce
A metà 75, Rosso a Milano ha messo in piedi sei o sette collettivi di quartiere, accanto agli sparuti collettivi di fabbrica, che sono punto di aggregazione di qualche centinaio di giovani. Non sono tutti militanti di Rosso. Ma all’interno di ognuno ci sono 10/15 del coordinamento di Rosso che guidano il collettivo. E al loro interno un gruppo più ristretto, il nucleo armato. La dotazione di armi però è in mano ai capi che le distribuiscono all’occorrenza.
L’attività dei nuclei armati dovrebbe essere segreta, ma nei collettivi molti sanno chi sono quelli che, se serve, hanno la pistola.
Ad addestrare e coordinare questi nuclei è Roberto Serafini. Tra gli allievi più promettenti c’è quel ragazzo chiamato Coniglio. E’ Mario Ferrandi, 19 anni, è appena uscito dal liceo Manzoni, liceo della buona borghesia, era in classe con Enrico Mentana e Guido Salvini, che sarà il giudice che lo condannerà. Frequenta il giro di Rosso da circa un anno. La sua prima azione fu durante il sequestro Sossi, quando quelli di Rosso misero un po’ di bombe in giro. <Dovevo colpire un commissariato. Con i candelotti infilati nel giubbotto presi l’autobus, che faceva dei balzi, ero terrorizzatissimo>. E alla fine i candelotti non li piazzò,
Un altro è Marco Barbone, un ragazzino di 17 anni, leader del collettivo del Berchet, un altro liceo prestigioso. Il padre è un dirigente editoriale della Rizzoli. Il suo battesimo del fuoco, letteralmente, è stato incendiare l’auto del preside di un’altra scuola, assieme a Coniglio. Non è stata una loro idea. Rosso ha lanciato una campagna contro presidi e professori, considerati pericolosi nemici di classe. E’ la disarticolazione del potere e del controllo sociale, ripetono i capi.
Saranno diversi gli insegnanti schedati, minacciati, picchiati e le loro auto distrutte. Ed è davvero curioso, considerato che tra i leader di Rosso abbondano i professori, a partire da Negri. E c’è anche un preside, Emilio Vesce, che tiene corsi di indottrinamento ai giovani autonomi.
Una delle pratiche che diverrà frequente è quella di usare le manifestazioni, convocate anche da altri, tipo i sindacati, come schermo. Un gruppetto esce dal corteo, colpisce un obiettivo e poi rientra, confondendosi con la massa.
Racconta Barbone: <In settembre, durante un corteo, Serafini prese me, Puccio Landi, Jacopo Fo (figlio dell’attore), e un altro. Raggiungemmo una sezione del Psdi. Serafini abbattè la porta a calci e noi buttamo dentro delle molotov>.
Una notte di dicembre, Serafini, Coniglio e Landi vanno davanti a una caserma dei carabinieri e lanciano alcune molotov. Poi Serafini apre il fuoco con una lupara, come copertura per la ritirata. Ferrandi ha una pistola, anche lui dovrebbe far fuoco, ma è la prima volta che si ritrova con un’arma in mano, è emozionato e non riesce a sparare. L’attentato, alla fine solo un muro bruciacchiato, viene rivendicato con la sigla “Lotta Armata per il Comunismo”, gli uomini dell’Arma sono definiti “i killer ufficiali del regime”.
La prassi seguita da tutti i gruppi nei primi anni è di firmare le azioni sempre con sigle diverse. Sia per rendere più complicate le indagini sia per dare l’idea che esistano molti organizzazioni armate.
L’emozione pare già superata pochi giorni dopo, quando Coniglio, sempre assieme a Serafini, Ricciardi e Ventura, va a rapinare un supermercato. Obiettivo considerato più facile delle banche. Vanno quasi a colpo sicuro, perchè hanno un basista all’interno: Guido, un altro del loro gruppo.
Accanto alle azioni armate vere e proprie, il vero core business di Rosso è la violenza e l’illegalità di massa, che avrà il suo apice nei due anni successivi. La prima di queste azioni, alla fine del 75, ha per obiettivo la Sip, per protestare contro il caro-bollette. Un centinaio di giovani, guidati da Pancino, Serafini e altri capi, fanno irruzione in una centrale telefonica e con chiavi inglesi e spranghe sfasciano i macchinari.
Alla rivista Rosso fanno riferimento gruppi di altre città. In Veneto, a Padova e Mestre, a Bologna, a Varese, a Torino, nella zona dei Castelli romani. Hanno nomi diversi, ma tutti fanno parte di quella che viene chiamata Autonomia operaia organizzata, il cui capo indiscusso è Toni Negri.
Senza Tregua
Ma non c’è solo Rosso, c’è anche un’altra Autonomia, frammentata, disorganizzata, senza un progetto politico unificante. E’ l’inossidabile Scalzone a darsi da fare per unificarla e organizzarla. Oltre al pezzo di PotOp che non ha seguito Negri ora ci sono i fuoriusciti di LC. E’ con loro che prende contatto ed assieme, in luglio, pubblicano Linea di Condotta, numero unico che figlierà un altro foglio: Senza Tregua.
<Un progetto di transizione al comunismo… un processo di guerra di lunga durata e di costruzione nel lungo periodo, elemento per elemento, della dittatura del proletariato, attraverso momenti di destabilizzazione del comando di fabbrica e sociale>.
Che cosa li distingue da Rosso? La vecchia diatriba: <superare l’autonomia come pura estraneità ostile, come relazione negativa…. per ciò stesso simbiotica con l’organizzazione economico-sociale capitalistica, e ricercare un carattere irreversibilmente distruttivo e insieme affermativo – cioè rivoluzionario – dell’iniziativa di classe>. Insomma la necessità del partito e di un progetto non solo contro il potere, ma per il potere, oltre ad una maggiore attenzione verso la vecchia classe operaia piuttosto che al nuovo operaio sociale.
Ma la progettualità non va un solo passo al di là di un fiume di slogan tanto fiammeggianti quanto vuoti: <un programma che interpreta, traduce e sintetizza i bisogni, i desideri delle masse proletarie. …. dall’autonomia al potere, alla dittatura operaia>. E, quindi, «la necessità di una fase di transizione …. della rottura violenta della macchina dello Stato….a una tematica di contropotere, o meglio della guerra civile, della guerra rivoluzionaria».
Ma poco importa, questo è solo inchiostro che serve a riempire i fogli della propaganda. Ciò che conta, che identifica, che dà valore e significato a quel che sta fermentando nei collettivi e comitati non è l’inchiostro, ma la benzina per le molotov e la polvere da sparo.
Si coagula così, attorno a “Senza Tregua”, un’organizzazione politico-militare su tre livelli. In questo identica a Rosso. Quello politico-pubblico, avanguardie nelle lotte di fabbrica, nelle lotte di quartiere, autoriduzioni delle bollette, ma anche dei biglietti del cinema, occupazioni di case, ecc. Quello della violenza diffusa: scontri di piazza, espropri, incursioni, sabotaggi e così via, che sono opera delle “squadre”. E quello della violenza clandestina: attentati, rapine, ecc. Compito riservato ai nuclei armati.
I leader sono Scalzone, Del Giudice, Rosso a Milano, Rosati e Davoli a Roma. A Torino ci sono Marione Dalmaviva e Marco Scavino. Il primo leader storico di PotOp, nei primi anni 70 passava i giorni davanti ai cancelli di Mirafiori. Il secondo, un 21enne che poi diverrà docente universitario. Frequenta il gruppo torinese anche quel Piancone, che ha appena sparato al dirigente Fiat Fossat,.
Non si tratta di una vera e propria organizzazione, ma di una rete di gruppi che si muovono in modo autonomo e a volte agiscono di testa loro. Nulla a che vedere con le Br. Si chiamano Comitati Comunisti per il potere operaio (Cocopo), più brevemente sono quelli di Senza tregua.
Quanti sono? Difficile dire, poichè si tratta una formazione molto fluida: alcune centinaia a Roma, un po’ meno a Milano e a Torino, ancor meno in Veneto, più gruppi sparsi in poche altre città. Tutti consapevoli delle parole d’ordine guerresche, ma solo qualche decina pronti o disposti a prendere le armi…. almeno per ora.
Quelli di Sesto S.Giovanni
A Sesto S.Giovanni già in marzo, al termine di una manifestazione, in una quindicina mascherati e guidati da Galmozzi, Mazzola e Martucci, del servizio d’ordine di LC, avevano fatto irruzione nella sede della Scaini, dove si lavora il sabato in straordinario, e devastato gli uffici. Gli stessi poi, dopo aver infranto i vetri della porta della sede Dc di Sesto, avevano lanciato molotov all’interno. Umberto Mazzola ha 20 anni, fa il postino e sta per diventare padre.
Un mese dopo, più o meno gli stessi, sempre guidati dal trio Galmozzi, Mazzola, Martucci erano entrati in una centrale Sip, picchiato il guardiano e danneggiato gli impianti, contro il carobollette. Mentre in maggio Galmozzi, Martucci e Libardi, armi in pugno, erano entrati in una sezione Dc e rubato gli schedari. Le azioni sono firmate con sigle sempre diverse.
A differenza delle Br che colpiscono i capi in fabbrica in quanto capi. Le azioni di Senza Tregua sono legate ad obiettivi di lotta: il lavoro nero, il carobollette, il caroaffitti, gli straordinari.
A dire il vero anche loro non si negano qualche azzoppamento. Il 16 gennaio era stato mandato il giovane Segio a sparare a un dirigente della Ercole Marelli. <Mi avevano dato una Glisenti del 1889, che non sparò e lui scappò>.
Le Fac
A Roma una buona parte dei vari Comitati comunisti, nati dalle ceneri di PotOp, aderiscono al nuovo gruppo che fa riferimento a “Senza tregua”. In particolare il CoCoCe, il comitato di Centocelle, che è uno dei più grossi. La rete di Comitati, che ha i propri capi politici in Rosati e Davoli, crea anche un nucleo armato, il cui capo è Morucci, le Formazioni comuniste armate (Fac). Dentro ci sono i soliti, la Faranda, Maccari, Seghetti, Lojacono (quello che ha sparato a Mantakas), Andrea Leoni, Mara Nanni, Gastaldi, Arreni.
Morucci delle Fac è il capo, del resto ha l’autorevolezza che gli viene da una lunga esperienza di

Una scena del film Gateway
attività clandestina ed armata. Ed anche da una competenza tecnica, in fatto di armi, che sconfina nel fanatismo: <Avevo visto in un’armeria un fucile a pompa Remington identico a quello che usa Steve McQueen in Gateway per smontare pezzo a pezzo una macchina della polizia. Un mito… Riuscii a prenderne tre. Erano una meraviglia, facevano paura solo a guardarli. Cinque colpi nel serbatoio sotto la canna, su cui scorreva il manicotto di legno della pompa di caricamento: un gioiello di meccanica, impossibile che si inceppasse. Poi, non avendo nel calcio la molla di recupero… poteva essere segato e ci si poteva applicare un’impugnatura da pistola>.
E poi c’è Guglielmo Guglielmi, un medico di 30 anni detto Comancho per quella sua aria un po’ india, alto e massiccio, capelli lunghi, baffoni, un leader carismatico, viene da Servire il popolo. E’ lui che l’11 novembre sale a Milano e, assieme a Segio, che si è tinto i capelli biondi con un sughero bruciato, va ad aspettare sotto casa Valerio di Marco, 44 anni, capo del personale della Innocenti. Questa volta le pistole sono più efficienti. Comancho gli spara tre colpi alle gambe. E così anche “Senza Tregua”, che pubblica la rivendicazione firmata “Per il potere proletario armato: guerra di classe”, può incidere la prima tacca sul calcio delle sue pistole.
La strage degli innocenti
Pochi giorni prima a Roma, in due erano scesi da un auto davanti ad una sezione del Msi. Ci sono dei ragazzi sulla porta. I due, ben vestiti, senza dire una parola sparano con un fucile, ammazzano Mario Zicchieri, 17 anni, e feriscono l’altro. Risalgono in auto e se ne vanno. Nel giro delle Fac si dice che a sparare siano stati i soliti due: Morucci e Maccari. Ma non ci sono prove.
Le prove non servono, per fare giustizia basta ammazzare un rosso. Poche ore dopo in due sparano alla testa di Antonio Corrado, 21 anni. Non si è mai occupato di politica, era solo andato al cinema. I fascisti volevano uccidere uno di LC, che pochi minuti dopo passa nel punto dove l’altro è morto al posto suo.

Pietro Bruno
Giovani, giovanissimi, quasi bambini. Una strage degli innocenti. Era così facile morire in quegli anni e lo sarà sempre di più. Rossi, neri. Chi sarà il prossimo? Basta aspettare pochi giorni. A Roma c’è una manifestazione a favore dell’Angola, che è stata attaccata da Zaire e Sudafrica. Erri de Luca, che è il capo del servizio d’ordine di LC a Roma, manda uno dei suoi ragazzi a tirare una molotov contro il cancello dell’ambasciata dello Zaire.
Si chiama Pietro Bruno, 18 anni. Tira la sua bottiglia che fa una fiammata innocua e scappa. Ma i carabinieri sparano e lo centrano in mezzo alla schiena. Come in Cile, come in una qualunque sporca dittatura sudamericana. Perchè sparare a un ragazzo che scappa, dopo aver lanciato una bottiglia che non ha fatto male a nessuno? Sarà a seguito di questo omicidio che altri giovani decideranno che ci si deve armare.
De Luca continuerà a ripetere di sentirsi responsabile di quella morte senza senso. A lui va però il merito di aver trattenuto tanti giovani dal passare alla lotta armata. A Roma infatti quasi nessuno di LC farà quella fine.
Le Br
Sono i carabinieri ad aver arrestato il maggior numero di brigatisti e ad avere ucciso Mara Cagol. Un segnale di vendetta va dato. Anche se gli effetti sono scarsi, per la prima volta vengono colpite direttamente le forze dell’ordine. Il 10 dicembre viene attaccata una caserma a Milano, raffiche di mitra e un automezzo distrutto. L’attacco si ripete il 13 gennaio e il 14, a Quarto Oggiaro e a Genova, questa volta gli automezzi colpiti sono cinque..
E poi ancora gambe da macellare e ancora Torino. La vittima questa volta non è neppure un dirigente, ma il medico della Fiat, Luigi Solera. Il 17 dicembre un giovane, davanti al portone di casa, lo chiama: dottor Solera, lui si gira e l’altro spara 4 colpi alle gambe.
In autunno, all’interno della colonna milanese si sono manifestati dissensi da parte di Alunni e Pelli, condivisi anche dalla veneta Susanna Ronconi. I tre criticano la china militarista, la rigida clandestinità che ha portato ad un progressivo distacco dai movimenti e in particolare la scarsa attenzione a quel che si muove nell’area dell’autonomia. Il dissenso si trasforma in scissione, i tre se ne vanno.
La nuova militanza di Bicio, il soprannome di Pelli, dura poco. In un appartamento di Pavia si rompe una tubatura. L’idraulico per entrare deve chiamare il 113. La polizia si occorge che è una base di terroristi, abitata da una coppia di studenti. Vi si apposta e la vigilia di Natale vi arriva Pelli. Lo arrestano. In realtà era già stato fermato in agosto a Padova, ma mentre lo stavano portando via in auto, era riuscito a fuggire. Dopo neanche 4 anni di carcere morirà di leucemia a 27 anni. Con lui abitava la Ronconi, che però, appresa la notizia, sparisce.
Strani questi guasti idraulici, perchè quattro anni dopo se ne ripeterà uno quasi identico a Roma in un importante base Br, durante il sequestro Moro.
Bilancio
Il 75 si chiude con due carabinieri uccisi e uno gravemente ferito. Cinque gambizzati. Tre sequestri, con un morto. Due terroristi uccisi e due esplosi. Tre giovani uccisi dai fascisti, tre dai rossi e due dalle forze dell’ordine.
g.g.
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