cap precedente… 10) Nasce Senza Tregua. La strage degli innocenti
1976
Ricatturato Curcio
Un giovane di Padova, un informatore del Sid con lo pseudonimo di Frillo, avverte di essere in contatto con una donna che gli ha rivelato di frequentare a Milano un’amica che conosce bene Curcio. La donna viene messa sotto controllo e pedinata. Un giorno si incontra con l’amica che i carabinieri riconoscono subito: è Nadia Mantovani, una che stava già nella brigata Ferretto. Seguendo la Mantovani, arrivano in via Maderno, una casa di ringhiera della vecchia Milano, dove abita assieme ad un uomo. Uno che assomiglia davvero tanto a Curcio. L’appartamento è stato affittato da un operaio dell’Alfa, il classico fiancheggiatore.

Renato Curcio
Negli stessi giorni i carabinieri stanno tenendo d’occhio un’auto sospetta. I vigili, che l’avevano rimossa per divieto di sosta, si erano accorti che aveva una targa falsa e avevano avvertito i carabinieri. L’uomo che viaggia sull’auto è Angelo Basone, l’ex operaio della Fiat. Il 18 gennaio Basone si incontra con un uomo e una donna. I tre vengono bloccati. Gli altri due sono Vincenzo Guagliardo e la moglie Silvia Rossi. Guagliardo, figlio di un operaio Fiat, ha lasciato la Fgci prima ancora del 68, quando ha iniziato a frequentare il gruppo dei Quaderni rossi. Ha lavorato anche lui per un po’ alla Fiat, ma siccome era un noto estremista, non è stato assunto. Ha fatto parte di vari collettivi e ha partecipato alla nascita delle Br a Torino. Poi si è trasferito a Milano per trovare lavoro, l’ha trovato alla Marelli. Ma lo ha appena lasciato, perchè deve entrare in clandestinità.
Nel pomeriggio, forse in seguito all’arresto dei tre, che potrebbe allarmare Curcio, i carabinieri bussano in via Maderno. Curcio, anzichè aprire la porta, spara una raffica di mitra e ferisce un vicebrigadiere. I militari rispondono al fuoco e feriscono lievemente Curcio a una spalla, che si arrende. In realtà Curcio non pensava di respingere i militari a colpi di mitra. E’ la regola che si sono dati: in caso di irruzione in una base, sparare per impedire che la scoperta possa essere tenuta nascosta.
Con lui c’è la Mantovani, la sua nuova compagna. Ha 25 anni e viene da una famiglia di cattolici praticanti, era in PotOp e studiava medicina a Padova, ma ha mollato gli studi.
Ancora sospetti su Moretti

Mario Moretti
Ancora una volta c’è una strana coincidenza che riguarda Moretti. Dalla Chiesa racconta che <Il covo era sorvegliato da settimane grazie al parroco che ci aveva lasciato salire sul campanile per fotografare con teleobbiettivo e filtri all’infrarosso>. La sera prima del blitz Moretti, violando le norme di sicurezza, aveva insistito per dormire lì. E Curcio lo aveva ospitato. Tanto che in seguito si sospettò che fosse stato Moretti a far scoprire il nascondiglio. Non è vero. Resta però una domanda, se i carabinieri sorvegliavano l’appartamento, come mai non sono intervenuti la sera prima, quando dentro ci stavano tutti e due i capi delle Br? La risposta non c’è e Moretti, ancora una volta, ha evitato per un soffio la cattura. Ma ora è Curcio a non avere più dubbi. <Mi sono convinto – dice a Franceschini – che Moretti è una spia, è lui che mi ha fatto arrestare … se la Polizia fosse arrivata il venerdì sera o il sabato avrebbe arrestato pure lui, invece sono venuti di domenica>.
Semeria doveva morire?
Ora è Moretti il capo indiscusso delle Br. C’è solo un brigatista che potrebbe, se non contendergli, almeno condizionarne la leadership. E’ Semeria, che comanda la colonna veneta. Ma ha i giorni contati.
Il 23 marzo prende il rapido per Milano, deve incontrarsi proprio con Moretti. Ma appena scende alla stazione, quasi irriconoscibile, con un lungo loden, un cappello a larghe tese e una borsa da ufficio, viene circondato da cinque o sei carabinieri in borghese. Ha una pistola in tasca, ma non fa in tempo a tirarla fuori. Il brigadiere Atzori gli preme la canna della sua calibro 9 nella schiena. Semeria alza le mani. Ma a sorpresa un uomo con i baffetti alla Modugno afferra Semeria al collo, lo strattona, parte un colpo dalla pistola di Atzori, che entra da un’ascella e attraversa tutto il torace. Un colpo per uccidere. Semeria incredibilmente si salva. Verrà archiviato come incidente.
Questa almeno è la ricostruzione che farà Atzori. Ma ci sono troppe cose strane. Già è strano che venga arrestato in stazione, è venuto a Milano per incontrare qualcuno, per forza di cose un capo, perchè non seguirlo? Avrebbe portato a Moretti. E poi Atzori è un carabiniere esperto, difficile che gli parta un colpo per sbaglio. Ma la cosa più strana è l’uomo coi baffi, non solo per il suo comportamento, ma per chi è.
Il capitano Delfino

Il capitano Francesco Delfino
E’ il capitano Francesco Delfino. Che ci fa lì? Non appartiene al nucleo antiterrorismo e non è di stanza a Milano. E’ il capo del nucleo investigativo di Brescia. E’ l’uomo fidato del generale piduista e fascista Palumbo. Ma è molto di più. E’ calabrese di Platì, molto amico di ‘ndranghetisti. Alcuni pentiti lo accuseranno di essersi spartito i riscatti dei sequestri con il boss Nirta. E’ un uomo dei servizi. E’ molto legato alla Cia. Partecipa alle riunioni dei golpisti. E’ amico e protettore dei neofascisti, ai quali addirittura fornisce armi ed esplosivi. Ed ha appena terminato di depistare le indagini sulla strage di Brescia.
E ora, combinazione, è presente dove non dovrebbe essere e fà in modo che un brigatista, che già si è arreso, venga ucciso….
Ormai per i capi delle Br è una fissa. Tutte le volte che c’è di mezzo Moretti qualcuno viene arrestato. Anche Semeria ora è convinto: <O è una spia del KGB o dei Carabinieri>. Così dal carcere viene ordinata un’inchiesta su Moretti, affidata a due reggiani, Azzolini e Bonisoli, dalla quale però Moretti esce pulito.
Si scioglie la colonna veneta
I brigatisti veneti si convincono invece che a portare a Semeria sia stato un giovane operaio della Breda, un irregolare, che ha accompagnato Semeria alla stazione. Ma ha anche una fidanzata figlia di un carabiniere. E questo è stato il guaio. Perchè controllando lui sono arrivati a Semeria.
Nell’esecutivo, a Semeria subentra Rocco Micaletto. Di lì a poco, la colonna Veneta, ormai decimata da arresti (in giugno finiscono in manette anche Galati e Fasoli, convinti che a fregarli sia stato lo stesso operaio, infatti anche quando vengono arrestati loro è presente Delfino) e defezioni, viene congelata, di fatto sciolta.
Anna Maria è vendicata
Nonostante i colpi subiti e i morti. i Nap sono ancora molto attivi. Il 28 gennaio a Roma, sparano alle gambe di Pietro Margariti mentre aspetta l’autobus, magistrato che si occupa di carceri, in particolare del trasferimento dei detenuti. Per i Nap un obiettivo quasi obbligato, ma nessuno ha pensato di metterlo sotto scorta.
Poi c’è da vendicare Annamaria Mantini. Nei volantini subito dopo la sua morte avevano promesso vendetta e sono già passati 7 mesi. Il primo della lista è Antonio Tuzzolino, il poliziotto che sparò in faccia ad Annamaria. E che i giudici hanno prosciolto. Il 9 febbraio lo aspettano sotto casa della zia, lo hanno pedinato a lungo e conoscono le sue abitudini. Mentre aspetta che la zia gli apra il portone, un’auto rallenta e dal finestrino in due sparano 6 colpi. Uno dei due è Schiavone. Quattro vanno a segno, tre nelle gambe e uno nella schiena. Doveva essere una gambizzazione, ma Tuzzolino passerà su una sedia a rotelle il resto della sua vita.
Scrivono i Nap nel volantino: “Chiedere ai mandanti dei killers di stato di fare “giustizia” rivela l’opportunismo piu’ abbietto e stupido. E’ compito dei comunisti, delle loro avanguardie armate, regolare i conti con gli assassini, con i loro capi, i loro padroni, con lo stato borghese”.
Il secondo della lista è il giudice Paolino Dell’Anno, noto come uomo di destra e, si scoprirà, anche con qualche collusione con la mafia. E’ stato lui a scagionare Tuzzolino. Il 5 maggio lo seguono in auto mentre con la sua 500 va in tribunale. Lo affiancano e gli sparano tre colpi, viene ferito solo di striscio a una spalla.
Tra marzo ed aprile è intanto andato avanti un confronto politico con le Br. Nonostante le non piccole differenze tra le due organizzazioni, infatti la cosa non avrà sviluppi, si decide di condurre assieme una campagna contro le strutture della controrivoluzione, più semplicemente carceri e caserme dei carabinieri. Nella notte del 1 marzo vengono attaccate in contemporanea caserme a Torino, Milano, Genova, Firenze, Pisa, Roma, Napoli. Il volantino di rivendicazione congiunto si conclude così: “Di fronte al nemico comune, unità delle forze combattenti! Tutto il potere al popolo armato!”
Alunni entra in Rosso
In gennaio Corrado Alunni, che ha lasciato da qualche mese le Br, entra in Rosso. E visto il

Corrado Alunni
curriculum di brigatista della prima ora, ne diviene il capo militare. Subito guida Serafini, Ventura e un altro a rapinare un’armeria a Milano. Il bottino è grosso, molte pistole e alcuni fucili da caccia, a cui vengono segate le canne.
Poche settimane dopo Serafini, che aveva portato alcuni ragazzi di Varese, tra cui Maria Teresa Zoni, in Valsassina a sparare, torna a Milano in treno. Un banale controllo di documenti, ma il problema è il borsone pieno di armi che ha con sè. Arrestato.
Il 6 febbraio, al termine di una manifestazione sindacale, un corteo guidato da quelli di Rosso e di Senza Tregua, occupa la stazione di Milano. Almeno una ventina sono armati, in particolare il gruppo dei bergamaschi guidato da Diego Forastieri, un ex LC che fa l’operaio alla Falk, si impossessano dell’altoparlante e irradiano in tutta la stazione un comizio di qualche minuto.
Guerriglia ed espropri
Quella delle manifestazioni sindacali usate come base dalle quali lanciare assalti diventa una consuetudine. Il 25 marzo c’è uno sciopero generale e un grande corteo. Ad un certo punto una trentina di apparteneti a Rosso si stacca e raggiunge la sede della Confapi. A guidarli sono Pancino e Ventura, c’è anche Coniglio. Barbone ha distribuito una decina di pistole. Entrano nell’edificio, sotto la minaccia delle armi fanno uscire gli impiegati e con le moltov appiccano un incendio. C’è anche Tommei, ma si tiene in disparte . <Tommei non partecipava mai – racconta Barbone– a causa, diceva, della sua età>.

Spranghe, molotov e anche pistole
Poco dopo è il turno di quelli di Senza Tregua. Una quindicina fanno irruzione nell’Esattoria Civica della Cassa di Risparmio, bloccano i due guardiani e lanciano dentro le loro molotov. Anche qui alla testa ci sono i soliti: Galmozzi, Mazzola, Stefan. In queste azioni compaiono solo molotov e spranghe, ma alcuni di loro hanno in tasca le pistole, in caso di necessità.
Fra un corteo e l’altro quelli di Rosso si dan da fare con gli espropri. Una decina, tra i quali anche il giovane Fo, va a prendersi dei jeans ai magazzini Fulmine. Un’altra volta si portan via salami e formaggi da una salumeria. Anche qui spesso sfruttano le manifestazioni per agire. Come quando Serafini e Coniglio escono dal corteo, entrano in una pellicceria e rientrano nel corteo con alcune pellicce. Perchè è nella loro linea politica: macchè pane e lavoro, vogliono beni di lusso. Del resto il pane ce l’hanno tutti.
Senza tregua spara
Ma a quelli di ST queste robe non bastano. Servono per far proseliti, per addestrare i più giovani, ma che lotta armata è se non si spara? Se non c’è almeno un po’ di sangue? Certo sempre dentro il movimento, sempre inseriti nelle situazioni di lotta, continuano a ripetere. Però bisogna sparare, del resto già l’hanno fatto qualche mese prima contro il dirigente della Innocenti.
Questa volta nel mirino c’è la Philco, azienda nel bergamasco che fa tv, dove LC aveva un qualche seguito. Ora è in corso una dura vertenza, ci sono stati licenziamenti. Situazione perfetta. Il 26 marzo in tre aspettano Dietrich Ercher, uno dei dirgenti. Sono Segio, Laronga e Luciano Zanon. Il primo sta un po’ distante con il mitra. Quelli che stanno di copertura hanno sempre un’arma lunga. Uno resta alla guida dell’auto, l’altro deve sparare, ma la pistola gli si impiglia nella cintura, poi spara due volte, ma manca il bersaglio, forse gli trema la mano. Ercher corre, ma sfortunatamente dalla parte sbagliata, proprio verso quel mitra che con un colpo solo gli buca una gamba.
Piombo femminista
Nei gruppi della lotta armata ci sono anche diverse donne, il movimento femminista è in pieno sviluppo e l’aborto è al centro della lotta. Dunque ci sta anche un piombo femminista.
Fulvio Neri è un ginecologo milanese, nè peggiore nè migliore di tanti altri. Gira voce che faccia aborti clandestini. Ma nel 76 non esistono aborti non clandestini. Poco importa. Giulia Borelli ha 23 anni, una studentessa come tante, è la compagna di Galmozzi, stanno insieme dai tempi di LC. E’ lei a prendere un appuntamento. Da Roma è venuta Alma D’angelo, 31enne ex PotOp. Un nucleo rosa. Ma per sicurezza va con loro anche Gianni Stefan, ha solo 22 anni ma, a dispetto anche del soprannome Cucciolo, ma lo chiamano anche CiufCiuf, è uno esperto e deciso, ma solo come protezione, perchè tocca alle donne. Un’altra ragazza, Marina 21 anni, controlla le mosse del medico da qualche settimana. Irrompono tutte e tre nello studio, legano e imbavagliano il medico e lo fanno stendere a terra, poi una gli spara in una coscia.
La Magneti Marelli
Ma per gli ex LC rimane la fabbrica il fulcro del loro interesse. Del resto vengono quasi tutti da Sesto S.Giovanni. Il progetto è quello di <costruire nuclei armati nelle fabbriche tramite la militarizzazione degli operai>. Un contropotere concreto, in grado di imporre e prendere e non chiedere. Dentro e anche fuori della fabbrica, per le autoriduzioni e cotro il lavoro nero.

Al centro Enrico Baglioni
Il modello che hanno in mente è quello della Magneti Marelli. Qui Lotta continua ha sempre avuto un discreto seguito. Il leader è Enrico Baglioni, figlio di un consigliere comunale della Dc di Milano. Come molti di coloro che hanno ricevuto una rigida educazione cattolica, ha gettato nella lotta un fervore missionario. Dopo il 69 è andato a Pomigliano d’Arco a fare lavoro politico ai cancelli dell’Alfasud. Nel 73 è tornato ed è entrato come operaio alla Marelli. E’ diventato subito il leader del Comitato autonomo, oltrechè delegato sindacale. Ora anche lui è uscito da LC, con il gruppo di Senza Tregua. Non è un militare, la prima volta che prenderà in mano un’arma, quando assieme ad altri tre operai della Marelli e tre della Falk andrà ad addestrarsi, vengono tutti arrestati.
Negli ultimi anni la Marelli è diventata la fabbrica più calda della cintura milanese, la roccaforte della guardia rossa operaia. Il Comitato autonomo ha un certo seguito e riesce ad imporre le forme più dure di lotta. Ha creato in fabbrica un clima di insubordinazione, anche di violenza, una sorta, appunto, di contropotere. Basti dire che, quando Baglioni e altri due saranno licenziati, continueranno ad entrare in fabbrica per diverso tempo, scortati dagli altri operai.
Quelli di ST, compreso Galmozzi, entrano abusivamente alla mensa e siedono ammirati, come i moschettieri del re, al tavolo delle impiegate.
Comportamenti inconcepibili per le Br. Alla Marelli lavora anche un brigatista importante come Vincenzo Guagliardo. Ma lui se ne sta defilato e tranquillo, si è anche iscritto al Pci.
Negli ultimi mesi il Comitato è più isolato, l’azienda sta riprendendo il controllo. L’uomo di punta è il capo delle guardie Matteo Palmieri. Il 2 aprile due uomini mascherati fanno irruzione nella portineria e gli sparano alle gambe. Sono Zanon, già nella struttura illegale di LC, e Segio, il capo militare, il colonnello, quello che spara meglio. Ora è Sirio, nome di battaglia che era già il nome da partigiano del padre.
A volto scoperto
Tutti in ST, il gruppo di fuoco e i capi, Galmozzi, Mazzola, Barbieri, Laronga, Forastieri, partecipano anche alle azioni minori, all’illegalità diffusa, ai cortei, a volto scoperto. Ignorando le norme di un’attività clandestina. Così come in Rosso, in linea con una scelta politica, le regole di sicurezza sono molto lasche. Niente a che fare coi brigatisti, che appena diventano regolari, sparisono, se ne stanno nei loro covi, non si fanno più vedere ad assemblee e manifestazioni, tagliano barba e capelli e girano vestiti come impiegati del ministero, con tanto di borsello.
Il 7 aprile in quattro, tra cui Galmozzi e Mazzola, disarmano per strada una guardia giurata. Questo sarà un sistema molto usato per procurarsi armi. E’ abbastanza semplice e poco rischioso, difficile che metronotte e vigili urbani reagiscano, quasi nessuno di loro ha mai sparato.
Tre giorni dopo una ventina di giovani, guidati da Galmozzi, Mazzola, Barbieri, fanno un esproprio al supermercato GS, coinvolgendo anche un po’ di gente che fa la spesa. Va male invece la rapina in un’armeria, il proprietario reagisce e spara. Mazzola, Laronga e Meregalli scappano. Si rifanno dieci giorni dopo rapinando l’Upim di Cologno, in otto tutti armati.
E poi ancora disarmi: Barbieri, De Rosa e altri due aggrediscono un poliziotto, lo ammanettano a un palo e gli rubano pistola e portafoglio, poi restituito per posta. Ed ancora espropri, il 21 maggio all’Esselunga, vengono rubati soprattutto liquori, mentre Baglioni fa un comizio contro il carovita.
Colpire gli spacciatori

E’ iniziata la strage di giovanissimi per overdose di eroina
Rosso lancia invece una campagna contro gli spacciatori. L’eroina ha cominciato a mietere vittime tra i giovani, soprattutto delle periferie. E’ un nemico mortale per la sinistra rivoluzionaria. A inizio anno Serafini e Landi avevano fatto esplodere una bomba in un bar noto come luogo di spaccio. In aprile in tre, Pantaleo, Cattaneo detto Drin Drin e Gemelli fanno irruzione in un altro bar di spaccio, sparano e lanciano moltov.
Omicidio Pedenovi, il salto senza ritorno
Gaetano Amoroso ha 21 anni, è una studente-lavoratore, un rosso. Il 27 aprile verso mezzanotte, assieme ad altri tre o quattro compagni è appena uscito da una riunione. Otto fascisti li stanno aspettando, li circondano e colpiscono con spranghe e coltelli. Amoroso cade ed è ripetutamente pugnalato, anche altri due sono a terra in un lago di sangue, ma si salvano. Gaetano muore. Gli aggressori sono guidati da Gilberto Cavallini, uno di Ordine nuovo, che poi scappa a Roma, entra nei Nar e diventa il braccio destro di Fioravanti e sarà condannato per la strage di Bologna.
La vendetta è rapida, appena 48 ore. Viene scelto uno più o meno a caso: Enrico Pedenovi, avvocato 50enne, ex X Mas e consigliere del Msi. Lo aspettano sotto casa Galmozzi, Stefan e Laronga su un’auto rubata. Lo seguono. Pedenovi si ferma all’edicola, compra i giornali e si siede in auto per leggere i titoli. Si affiancano in due, uno bussa al finestrino, Pedenovi si gira, ma non ha il tempo di capire. Cinque colpi, tutti a segno. Morto sul colpo. E così quelli di ST hanno fatto il loro primo morto. Nessuna rivendicazione, non ce n’è bisogno.
E’ l’antifascismo militante, bisogna rispondere colpo su colpo. Non si può lasciare che i fascisti pensino che i loro omicidi possono rimanere impuniti. Ma non solo, c’è un’altra ragione, forse ancor più forte. L’idea di uccidere Pedenovi è stata di Galmozzi, una sua iniziativa, dentro Senza tregua molti non erano d’accordo o neanche lo sapevano.
Lo ha fatto per spingere il gruppo verso la radicalizzazione militare, per legittimare l’omicidio

Enrico Galmozzi
nella galassia dell’Autonomia. E, secondo Segio, anche per affermare la sua leadership personale.
L’omicidio Pedenovi segna una svolta, infrange un limite, è un salto nel vuoto: si può uccidere. <L’omicidio è una porta stretta superata la quale è difficile tornare indietro>, dirà Segio.
Ma ha anche un altro effetto, quello di aprire una frattura con Scalzone e Del Giudice e una parte di Senza Tregua, che sono restii a scendere sul terreno omicidiario, come si dice.
Dieci giorni dopo, Segio, mentre sta per compiere una rapina, viene fermato per un controllo, è armato e viene arrestato. Rimarrà dentro poco meno di un anno.
E’ strano, ma nella classifica della lotta armata le Brigate rosse arrivano sempre seconde. La prima gambizzazione l’hanno fatta Morucci e Maccari e il primo omicidio (programmato) l’hanno fatto quelli di Senza tregua.
g.g.
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