cap precedente: 16) Il 77 e la P38. Uccidiamo uno sbirro

Il bravo poliziotto e il suo killer

Il 22 marzo, a Roma, l’agente di Ps, Paolo Graziosi sta tornando a casa sul bus 27. E’ in borghese, un ragazzino di 21 anni e ne dimostra forse meno. Di fronte a lui c’è una ragazza bionda, alta,  bella: la guarda, è proprio una bella ragazza, anche se un po’ sciupata, sembra tesa, guarda fissa fuori del finestrino. Poi il poliziotto ha un sobbalzo: quella la conosco, è una terrorista, è la Vianale, evasa appena due mesi prima.

Maria Pia Vianale. Nello foto piccola in alto Claudio Graziosi

Lui è disarmato, allora si avvicina all’autista e a bassa voce gli dice di andare al primo posto di polizia. Pochi minuti e la gente se ne accorge e protesta. Il piano è fallito. Deve qualificarsi, allora intima alla Vianale di non muoversi. Paolo è un bravo poliziotto, ma un po’ inesperto. Non sa che un terrorista raramente gira da solo. Un giovane moro con i baffi, che lui neanche aveva notato,  gli scarica 7 colpi nella schiena, uccidendolo. I due bloccano il bus e fuggono.
Giornata storta per la polizia, nella caccia all’uomo che segue uccidono una guardia zoofila che, pistola in pugno, partecipava all’inseguimento, scambiandola per un terrorista.

Il giovane killer è Antonio Lo Muscio, uno dei due che l’aveva fatta evadere. Ha 28 anni, immigrato con la famiglia a Milano dalla Puglia, nel 70 ha disertato la leva ed è finito in carcere. Poi qualche furto e di nuovo dentro, dove conosce quelli di Lotta Continua, si politicizza ed entra nei Nap. Scrive ad un amico nel gennaio 75: <sarò fuori precisamente fra 18 giorni. Di questo sono contentissimo per il fatto che uscendo potrò veramente dedicarmi alla lotta politica e in questo modo darò un significato alla mia stessa vita>.

La campagna delle Ucc

Per i capi della lotta armata è una primavera entusiasmante. Tutti quei giovani, tutta quella violenza. Bisogna approfittarne, intensificare l’attività, per raccogliere i frutti.
E le Ucc si danno da fare. il 24 febbraio hanno fatto due rapine in due armerie di Roma, a distanza di poche ore. Bottino 18 pistole e 4 fucili. In azione tre uomini e 4 donne, la Pecchia, Maria Antonietta, una certa Nadia e un’altra.

L’11 marzo colpiscono al Sud. Irruzione nell’Assoindustriali di Reggio. Il 29 stesso obiettivo, ma questa volta a Roma. Entrano in sei, guidati da Torrisi, due sono ragazze. Passano negli uffici e radunano circa 40 persone in una stanza. Rubano gli schedari e appiccano il fuoco.

Quel giorno le Ucc dispiegano tutte le loro forze. Piu o meno nelle stesse ore in quattro aspettano all’uscita di casa il direttore del Poligrafico di Stato. In due, Campisi e Falessi, lo afferrano mentre sale in auto. Carlo Brogi punta la pistola contro l’autista e Rosanna è di copertura più distante. Tre colpi alle gambe e se ne vanno. L’accusa? Utilizzare il lavoro nero dei carcerati.
Lo stesso giorno un gruppo fa Irruzione nel Centro ricerche Tecnotessili di Prato e lo incendia. Un altro assalta la Isco di Milano. Ed un altro ancora occupa militarmente la Confapi di Firenze.

Una giornata campale: <Abbiamo colpito i centri più importanti di progettazione del disegno padronale di sviluppo attraverso il tessuto delle piccole e medie imprese e di imboscamento della produzione tramite decentramenti produttivi con accordo Pci, sindacati e enti locali>

Azione rivoluzionaria

Il 30 marzo Alberto Mammoli, medico del carcere di Pisa, uscito di casa non si accorge che alle sue spalle c’è un giovane con una pistola, che spara e gli buca le gambe, rimarrà paralizzato.
Ma chi è stato? Tutti si interrogano: le Br no, PL neppure, le Ucc neanche, i Nap no. I Cocori e Rosso di regola non sparano alle persone, almeno non finora. E allora?

La primavera 77 è così ribollente e feconda che, senza che nessuno se ne fosse accorto, pochi giorni prima era nata una nuova formazione armata. Gli anarchici non potevano rimanere fuori dall’onda infuocata che monta. Loro che, nella storia della sinistra, son quelli che con armi ed esplosivo hanno sempre dato l’esempio.

Mammoli non è un obiettivo a caso, ma una vendetta. Era il medico che nel maggio 72 certificò che l’anarchico Franco Serantini, massacrato dalla polizia, non era grave e poteva stare in cella. Ma morì due giorni dopo con la scatola cranica piena di sangue.

Il nuovo gruppo si chiama Azione rivoluzionaria. E’ stato fondato da Gianfranco Faina, docente di storia all’università di Genova, che già aveva partecipato alla fondazione delle Br, per poi andarsene quasi subito. Con lui Salvatore Cinieri, un ex rapinatore anche lui politicizzatosi in carcere.  E che in carcere sarà ucciso da un detenuto comune per ragioni poco chiare. L’organizzazione è basata sui cosiddetti gruppi di affinità, in sostanza gruppi di amici. E’ presente soprattutto in Toscana, terra di anarchici, Liguria e Piemonte. Da bravi anarchici le loro azioni sono prevalentemente a base di bombe.

Il 30 aprile a Milano mettono a segno due attacchi esplosivi contro l’ufficio di collocamento e un autosalone Opel. Il giorno dopo a Torino tre ordigni esplosivi: alla centrale Sip, all’ufficio di collocamento, alla Michelin. Il 17 luglio, a Firenze e Livorno, bombe contro due carceri in costruzione.

Anche quelli di Rosso sparano alle gambe

A Milano il collettivo Romana si muove in modo sempre più autonomo rispetto ai vertici di Rosso. Tutti ormai sparano a qualcuno, anche gli anarchici. E loro che sono stati tra i primi a infilarsi un arma nei  pataloni che fanno? Ferrandi-Coniglio ha preso a frequentare anche  il giro di Prima linea. Ed è proprio Roberto Rosso a proporgli di fare un ferimento, uno a scelta loro. E’ Mirra-Mascellone a proporre la vittima.  Rucano, il capo del personale della Vanossi, che era anche un ex carabiniere, meglio di così! Lo ha scelto perchè, qualche tempo prima, si era rifiutato di assumerlo.

Ne parlano anche coi capi di Rosso. Questi temono che quelli di PL gli portino via i giovani “migliori”, per questo Mancini, il sindacalista Cisl, dà l’ok. Alunni dà indicazioni sulle modalità.
Lo pedinano per diversi giorni, soprattutto Sofia e Federica, due ragazze danno meno nell’occhio, ma non sono due gregarie anzi sono ai vertici di Rosso..

La mattina del 18 aprile vanno in tre: Ferrandi, Mirra e De Silvestri. Rucano esce con la figlioletta di 10 anni. Ma per loro non è un problema. Il problema è che la pistola di Coniglio, che ha il compito di sparare, s’inceppa. Sta per sparare Mirra, ma il compagno riesce a disincepparla e fa fuoco, ferendo l’uomo sotto gli occhi della bimba.
E’ Roberto Rosso a scrivere il volantino, li scrive quasi sempre lui, è l’ideologo: “Licenziamo i dirigenti col piombo“.

Nadia, Angela e gli altri

Ma la primavera 77 è ancora lunga e intrisa di sangue. Il pomeriggio del 20 aprile a Torino Dante Notaristefano, un consigliere comunale della Dc, mentre sta tornando a casa, nota tre giovani che lo seguono sull’altro lato della strada. Ha come un presentimento, che diventa allarme quando uno dei tre, una donna, attraversa e viene verso di lui. E’ Nadia Ponti, uno dei capi della colonna Br. Quando estrae la pistola e spara lui alza la borsa, dove si conficcano i proiettili, poi corre. Gli altri due lo rincorrono e sparano. Sono Piancone, l’ex operaio Fiat che ha già sparato a Fossat, e Dante Di Blasi, anche lui operaio Fiat. Otto colpi in tutto, ma nessuno va a segno.

Nadia Ponti ha 28 anni e lavora in ospedale come infermiera. Viene da LC. E’ minuta e graziosa, ma è un tipo deciso e, secondo alcuni compagni, anche un po’ esaltata. Aspira a fare carriera dentro le Br e ci riuscirà. Intanto fa ingelosire Piancone, il suo compagno, perchè nel covo in mezzo a tutti ha l’abitudine di girare mezza nuda.

Le Br debbono rimediare al misero fallimento. Passano appena due giorni e un nuovo commando è pronto. Sono tutti e tre alla loro prima azione. Raffaele Fiore ha 23 anni, è immigrato dal Sud, dove a Bari faceva lo scaricatore al mercato. Poi ha fatto l’operaio alla Breda, da alcuni mesi è sparito, entrato in clandestinità. E grande e grosso, brutto, rozzo. Beve e inorridisce i compagni quando, a tavola, usa il coltello per ripulirsi le unghie dei piedi. Patrizio Peci ha un anno in piu, figlio di un muratore. A San Benedetto del Tronto, una volta uscito da LC, aveva messo in piedi un gruppetto armato, con anche il fratello. Qualche attentato, poi i contatti e l’ingresso nelle Br. Tutt’altro tipo, magro, baffi sottili e curati, silenzioso, dai modi educati. E’ lui che ha pedinato per settimane la vittima designata.

Angela Vai

Infine Angela Vai, la donna di Fiore. Perchè le Br sono un’organizzazione terroristica basata sulle coppie, visto che è vietato avere storie sentimentali con esterni. Angela è figlia di contadini tanto poveri, che la affidano alle suore, così passa l’infanzia in collegio. Uscita, trova lavoro in una fabbrichetta e praticamente fa da madre ai sei fratelli. Entra in LC e diventa delegata della Cgil, intanto la sera studia da maestra.  Si diploma e va ad insegnare alle elementari. E’ l’uccisione della Cagol a spingerla verso la lotta armata.  La vita è stata cattiva con lei. Ha una rabbia enorme dentro e diventa una dei brigatisti più spietati. La mattina insegna ai bambini e il pomeriggio spara. Nome di battaglia Mangusta. <Le piace comandare – racconta Peci – perchè cova un rovinoso complesso di inferiorità. Quando spara lo fa con ferocia…. ma spara da cani>.

La vittima designata è Antonio Munari, capo officina Fiat. Lo aspettano nascosti nei garage del condominio. Quando Munari arriva, Peci gli si fa incontro e spara, ma il proiettile non parte. L’uomo non scappa, è paralizzato, lui fa in tempo a estrarre la seconda pistola che ha nella cintola e, questa volta lo colpisce. Quello cade e lui, in preda a una sorta di trance, gli vuota il caricatore  nelle gambe. I colpi vanno tutti a segno. Fiore si complimenterà. Solo che la seconda pistola non è silenziata, un fracasso infernale, bisogna uscire in fretta.
Ma la Vai non è soddisfatta, vuole anche lei la sua porzione di carne bruciata e spara un altro colpo, alle gambe ormai crivellate.

Spara, spara

Il giorno prima a Roma, a seguito dello sgombero dell’università occupata, scoppiano incidenti con la polizia. Gli scontri sono violenti, alle manifestazioni ormai sono decine quelli che vanno armati e non vedono l’ora di provare l’ebrezza di sentire il colpo far vibrare la mano e l’odore della polvere da sparo nelle narici.

La polizia risponde al fuoco, a terrà i poliziotti colpiti

Vengono sparati decine di proiettili, compresi quelli dei poliziotti che rispondono al fuoco. L’allievo sottufficiale Settimio Passamonti se ne prende due in testa e muore sul colpo, altri tre agenti e una giornalista restano feriti. Nessun arresto, solo un’inutile retata alla sede dei Volsci, finita in niente.

Prima Linea a congresso

Alla fine di aprile Prima Linea tiene una specie di congresso fondativo, in una cascina nelle campagne fiorentine. Una trentina di persone provenienti da Milano, Bergamo, Torino, Firenze e un paio anche da Napoli.

Viene deciso l’assetto organizzativo, che ricalca quello delle Br. Ma ai piellini troppa organizzazione e troppe regole non piacciono. Rifiutano la militarizzazione spinta, con quel che ne consegue: clandestinità, gerarchie, norme di comportamento maniacali. PL ad esempio non ha basi, si vive a casa propria o al massimo da amici. Non ha clandestini, tranne qualche ricercato. Loro vorrebbero rimanere parte del movimento, avanguardia armata delle lotte, non un corpo separato, non un partito che detta la linea.

Per questo l’organizzazione rimane su due livelli. Prima linea vera e propria, con un comando nazionale, comandi di sede, settori di attività, gruppi di fuoco. Conservando però le varie sedi una discreta autonomia. E una struttura diffusa, interna ai movimenti di massa, che funzioni anche da serbatoio di reclutamento e propaganda.

Questo secondo livello è affidato alle Squadre armate operaie (Sao): <Il loro compito – scrive Libardi – è quello di radicarsi nel proletariato per costituire una cerniera tra le org combattenti e la classe, rompendo così l’isolamento verso il quale sono spinte…. esse devono compiere non azioni di elevato livello militare, ma azioni capillari nelle aree metropolitane>. Solitamente le squadre sono legate ad una zona o a una fabbrica, hanno una certa libertà d’azione, non è troppo complicato entrarci nè uscirne. Debbono muoversi a cavallo tra legalità e illegalità. In realtà riusciranno molto poco ad essere  organismo di massa,  e diverranno  progressivamente semplice articolazione territoriale di PL, slegata da realtà ed esperienze siociali e politiche, sempre più nuclei militari. E l’area di qualche centinaio di giovani che ancora gravita attorno al nucleo armato, rapidamente si prosciugherà.

A causa del rifiuto della clandestinità e della scarsa compartimentazione, l’appartenenza a PL o ai suoi dintorni è spesso un segreto di Pulcinella. Nei giri del movimento molti sanno. L’unica a non saperne nulla, almeno così pare, è la polizia.

Nell’analisi della fase politica ricalcano le tesi delle Br, inventandosi una stato militarizzato: <Se lo stato riorganizza in funzione della guerra aperta il suo esercito è ora che la classe operaia cominci a pensare al proprio!>. Ma dalle Br si distinguono, perchè rifiutano l”idea dell’attacco al cuore dello stato. Non è lo Stato o la conquista del potere che ineressa a Pl, almeno non ora. Ora l’obiettivo è la creazione di contropoteri diffusi legati ai bisogni del proletariato.

Quanti sono questi piellini? Una cinquantina, forse 60, più altrettanti nelle squadre. Ma a fine anno i numeri crescono. Il comando nazionale è composto da Galmozzi, Rosso, Solimano, Scavino. C’è anche Baglioni, ma per pochi giorni, perchè il 22 aprile viene arrestato, assieme ad altri sei (tra cui tre operai della Marelli e tre della Falck), dopo un’esercitazione di fuoco sulle colline di Verbania. Qualcuno ha chiamato i carabinieri, perchè ha sentito sparare. Dopo 8 mesi sono fuori. Anche Segio è già fuori e torna alla guida di PL a Milano.

L’avvocato Croce

L’avvocato Fulvio Croce è stato a pranzo, assieme alle due segretarie, in un ristorante vicino al suo studio, a Torino. Sotto una pioggia battente i tre stanno rientrando in ufficio a piedi, il vecchio avvocato ha rifiutato la scorta.  A pochi passi dal portone Angela Vai, sbucata dal nulla, blocca le due donne.

Omicidio dell’avv. Fulvio Croce (nella fotina in alto)

L’avvocato che cammina qualche passo avanti neanche se ne accorge. Sta per varcare il portone, quando Rocco Micaletto lo chiama. <Avvocato>. Croce è anziano e un po’ sordo poi c’è il rumore della pioggia e non sente.  Lo chiama di nuovo più forte: <Avvocato>. Lui si gira e quello gli scarica addosso la sua Nagant. Cinque colpi alla testa e al torace. Il vecchio avvocato, al quale era stato ordinato di difendere i brigatisti del nucleo storico e lui aveva accettato, è sul marciapiede con la pioggia che gli inzuppa i vestiti e lava via il sangue.

Pochi passi più indietro c’è Lorenzo Betassa, che copre le spalle al killer. E’ alto uno e novanta e robusto, un tipo schivo e silenzioso, operaio alla Fiat, ex Potop ora delegato della Fim-Cisl. Nessuno immagina che sia un brigatista  (<se c’era uno che era tranquillo era lui>, dirà un dirigente Fiat). Tutti e tre raggiungono l’auto che li aspetta, al volante c’è Fiore, e scompaiono.

La condanna a morte, che l’avvocato aspettava di giorno in giorno, è stata eseguita. Di certo le Br mostrano molta più efficienza dello Stato, che il suo processo non riesce a farlo.
Gli effetti dell’omicidio sul processo sono devastanti. Quel giorno, il 28 aprile, è appena ripreso, ma i giudici popolari rifiutano la nomina, tutti quelli sorteggiati presentano certificati medici. Altri avvocati d’ufficio dicono no.  Il processo non può ripartire. Lo Stato è sconfitto e umiliato. Le Br stanno vincendo.

Guerriglia continua

Tra una gambizzazione e un omicidio delle Brigate rosse, continua, con azioni quasi quotidiane, la guerriglia delle altre organizzazioni armate.
Il 6 maggio a Milano un nucleo delle Ucc di cinque persone, travestite da finanzieri,  sequestra un gioielliere siriano. Entrati in casa sua, legano la moglie e la figlia e costringono l’uomo a recarsi in ufficio, aprire la cassaforte e a consegnare il denaro e i gioielli. Poi lo rilasciano intimandogli di consegnare altri 20 milioni, ma lui scappa in Svizzera.

Tra aprile e maggio quelli di PL fanno un attentato dinamitardo alla caserma dei carabinieri di Crescenzago; altri due attentati, con contorno di raffiche di mitra, contro le caserme di Bresso e Corsico; un’irruzione con rapina in un’azienda, contro il lavoro nero; un’irruzione nella sede di una società per la formazione dei manager, tutti i presenti vengono legati e imbavagliati

Il 19 maggio vengono fatte esplodere due bombe sui binari della metro, contro l’abolizione dei festivi infrasettimanali. Così molta gente dovrà andare al lavoro a piedi. Sul posto viene trovato un portafoglio con i documenti di Franco Coda, un ex di LC, ma non viene nemmeno indagato. Di lì a pochi mesi Coda diverrà il capo di uno dei due gruppi di fuoco milanesi.
Gli autori di queste azioni sono sempre gli stessi: Mazzola, Libardi, Crippa, Tognini, Coda, Camagni, Rosso, Segio, Laronga, più qualche altro che fa apprendistato. PL è più aperta e democratica delle Br: chi è conosciuto nel giro dei collettivi e vuol provare è accolto, almeno per le azioni minori. In tanti vogliono provare l’ebrezza della guerriglia, dell’avventura. Avventura a basso rischio, mai nessuno viene arrestato.

Quelli di Rosso, dal canto loro,  fanno irruzione all’Officina Lavori Industriali, dove vengono rubati documenti ed anche i portafogli dei presenti. Le prime Br restituirono l’orologio di Macchiarini, questi rubano i portafogli a dei semplici impiegati.
Barbone, assieme a tre giovani studenti del Cattaneo che lui sta coltivando, danno fuoco ad alcuni furgoni della «F.lli Fabbri Editori». Barbone, Coniglio, Morandini e un certo Gigetto entrano in un deposito di acque minerali e lanciano alcune moltov. Sono tutte ditte accusate di utilizzare lavoro nero.
Nel frattempo rapinano un negozio di abbigliamento, mentre Barbone e Coniglio stanno fuori armati, quelli più giovani fanno man bassa di jeans.

Tutto questo solo a Milano e senza calcolare le rapine in banca che, non venendo rivendicate, non è facile attribuire.
Ma non c’è solo Milano. In quattro delle Ucc penetrano di notte alla Liquichimica di Saline Ionica e danno fuoco al calcolatore, diabolico strumento dei padroni.  Alla sera i cugini Bonano e Ida Pecchia fanno irruzione a Radio Città Futura di Roma e costringono a diramare la rivendicazione dell’attentato. Pochi giorni dopo un altro nucleo Ucc, comandato da Torrisi e Falessi, da fuoco al Centro di calcolo dell’università di Roma. <Il cervello elettronico non risolve i problemi delle masse, ma del sistema, di cui perpetua il potere… è un’arma rivolta contro di noi>.

Il 5 maggio, a Verbania, i varesini di Rosso, fanno crollare, con l’esplosivo, una parte del carcere minorile in costruzione a Verbania. Qualche giorno dopo piazzano una bomba all’esterno della caserma dei carabinieri di Gallarate

A Firenze è PL a mettere una bomba all’autorimessa della polizia e poi a colpire una ditta che usa lavoro nero. I torinesi invece rapinano  una banca a Cherasco, oltre alla Ronconi e Iemulo sono venuti Giap (Camagni) e Iaco da Milano. Il primo aprile fanno attentati dinamitardi ad una caserma dei CC e un commissariato di polizia, da Milano è tornato Giap, l’esperto di esplosivi. Lo stesso giorno fanno irruzione in un’azienda accusata di usare lavoro nero, appiccano il fuoco e rapinano il titolare.  Il 22 aprile in sette si staccano da un corteo e lanciano molotov dentro al provvedirato. Per concludere il 2 giugno con una serie di attentati contro l’abolizione delle festività, un mezzo fallimento, le bombe non esplodono e tre o quattro ragazzini delle Squadre vengono arrestati.  Nelle varie azioni, oltre alla Ronconi, Iemulo, Fagiano, alla Borelli e Milanesi,  è sempre presente Sandalo, uno dei più attivi.

Prima linea è presente anche a Bergamo, uno degli uomini di punta è il nipote del Vescovo. In febbraio avevano già compiuto attentati a tre sedi della Dc. In marzo lanciano molotov e sparano contro la casa e il negozio di un tale accusato di abusare delle dipendenti.
E’ la linea giustizialista di PL. A differenza delle Br e di altri gruppi, le cui azioni hanno un’impronta più ideologica e prendono di mira soprattutto simboli e ruoli, loro si dedicano anche ad infliggere punizioni ai responsabili di qualche malefatta.

In Veneto

In Veneto, e in particolare a Padova, il gruppo più grosso e più attivo è quello dei Collettivi politici veneti (Cpv), filiale di Rosso, dotata di ampia autonomia. Il grande capo quindi è sempre Negri, che a Padova insegna. Il suo luogotenente in zona è Giambattista Marongiu, mentre i capi operativi sono i fratelli Despali, un certo Mioni e un paio d’altri.

Mentre a Mestre hanno una presenza significativa dentro il Petrolchimico di Porto Marghera, a Padova sono quasi tutti studenti, compresi un po’ di rampolli della buona borghesia e un paio di nobili. Infatti il loro territorio di caccia è prevalentemente l’università, che hanno trasformato in un bivacco di manipoli. In particolare la facoltà di Scienze politiche, dove Negri e i suoi assistenti spadroneggiano, che i Cpv hanno trasformato nella loro sede.

Gli atti di intimidazione ai docenti sono all’ordine del giorno. I professori che  si oppongono (pochi invero), soprattutto quelli di sinistra, vengono picchiati, sequestrati, i loro studi devastati, le lezioni ripetutamente  interrotte.  Ma vengono colpite anche le loro case e le auto, con armi da fuoco e ordigni incendiari.  Nel 77 la facoltà di Magistero annulla 130 esami collettivi imposti ai docenti con la forza.

Le autoriduzioni della mensa sono sistematiche, tanto che, nel novembre del 76 il direttore dell’Opera universitaria l’aveva sospesa. E loro gli avevano lanciato molotov contro la casa.
E’ l’applicazione del Negri pensiero: <colpire ingegneri, giudici, commissari di polizia, presidi e professori, ufficiali, funzionari dello stato….Terrore e movimento di massa non possono essere disgiunti>. L’anno prima, Augusto Finzi, un altro ideologo del gruppo aveva esaltato: <la potenza sovversiva e anticapitalistica del crimine>.

Accanto all’università, noto luogo di sfruttamento del proletariato, vengono condotte le campagne sui temi classici dell’autonomia armata, come gli espropri, le autoriduzioni di cinema, concerti, mense, trasporti. E gli attacchi ai cosidetti covi del lavoro nero. Tra 77 e 78 sono almeno un centinaio gli attentati.
I Cpv sono infatti fornitissimi di esplosivo, detonatori, ecc. Tanto che riforniscono anche i milanesi.

Altre due specialità dei padovani sono le “notti dei fuochi” e le “occupazioni del territorio”. Vale a dire dieci o venti attentati contro abitazioni, sedi di partiti, uffici pubblici e i cosiddetti “centri fisici di comando”, tutti nella stessa notte.

Le seconde consistono nell’isolare una zona della città con blocchi stradali poi al suo interno procedere ad espropri, furti  e assalti. Il 19 maggio, per protestare contro le festività soppresse, in un centinaio devastano alcuni locali dell’università, poi  bloccano una decina di strade nel quartiere Portello, incendiando due bus, 11 auto e una decina di cassonetti, dopo aver ovviamente malmenato i proprietari delle auto.  Nella zona “liberata”, saccheggiano negozi, incendiano due agenzie immobiliari, sparano decine di colpi di pistola e rapinano anche alcune commesse.

Queste sono le azioni di violenza e illegalità di massa. Ma anche i Collettivi veneti hanno un nucleo armato, che compie azioni di tipo militare e si firma Fronte comunista combattente. In febbraio in tre o quattro si sono trasferiti a Lugo per una rapina, ma uno è stato arrestato, uno studente di medicina e un altro, figlio di un industriale vicentino, si è dovuto dare alla latitanza. In marzo hanno fatto saltare in aria col tritolo una caserma dei carabinieri in costruzione a Camposanpiero. E il 30 giugno danno fuoco a un treno carico di elettrodomestici Zanussi.
L’obiettivo è «liberare il massimo antagonismo necessario per l’apertura di un processo di guerra civile».

A Padova ci sono anche i Cocori, gli ex di PotOp che stanno con Scalzone, non sono molti. Come a Milano, sono impegnati a procurarsi armi e soldi.  Alla fine del 76 hanno messo a segno un buon colpo in un’armeria: 14 fucili e 13 pistole. Nel 77 si dedicano soprattutto alle rapine in banca, guidati da Piergiorgio Palmero, prestato dai milanesi, perchè i veneti sono a corto di uomini esperti. Lavora alla Telettra di Vimercate, assieme all’amico inseparabile Maurizio Costa, lo chiamano il Sergente, per le sue doti militari e per il fisico.  <Giravo il Veneto solo per fare rapine, siamo arrivati a farne due alla settimana>. Per farle prende dei permessi dal lavoro.

g.g.

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