Capitolo precedente: 18) L’uccisione di Custrà. I gruppi armati ora sono otto.
Lo Muscio, fine corsa.
Il primo luglio a Roma è una giornata caldissima. Una pattuglia di carabinieri nota tre giovani seduti sulla scalinata di S.Pietro in Vincoli. Le due ragazze hanno un viso conosciuto, le loro foto sono in tutti i commissariati e le caserme. Sono la Vianale e la Salerno e con loro c’è Lo Muscio, il giovane che le ha fatte evadere e poi ha ucciso il poliziotto che stava per arrestare la Vianale sul bus. La Salerno è incinta e Lo Muscio è il padre. All’alt i tre tentano la fuga, i carabinieri sparano, feriscono leggermente le due donne che vengono catturate.

Antonio Lo Muscio
Lo Muscio corre più forte, riesce ad allontanarsi, ma un carabiniere lo insegue e spara una raffica di mitra. Il ragazzo cade, cerca di risollevarsi, ma non ce la fà, urla. Il carabiniere gli è addosso e lo uccide con un colpo di pistola.
Con la morte di Lo Muscio e la cattura delle due donne, finisce la breve, sanguinosa e tragica storia dei Nap, l’unico gruppo che ha avuto più morti di quanti ne ha fatti. I pochi rimasti entrano nelle Br e in PL.
Ucciso quello sbagliato
Il giorno dopo a Roma si conclude il processo alla guardia giurata che un anno prima aveva ucciso, sparandogli alla testa mentre scappava, Mario Salvi. La sentenza è sconcertante: assolto perchè sparare a uno disarmato che scappa è giusto. Ad assistere ci sono anche tre compagni di Salvi.
Appena assolto Domenico Velluto, la guardia, va a pranzo dalla “Sora Assunta”, assieme alla moglie e a un amico. Dopo poco entrano nel ristorante anche i tre, che lo hanno seguito. Poi ne entra un quarto, i tre gli indicano il tavolo. Il quarto uomo è lì per fare quella giustizia che il tribunale ha negato. Si avvicina con calma e spara tre colpi, col silenziatore. Ma sbaglia persona e uccide l’amico, un ragazzo di 21 anni. L’uccisione è rievendicata con la sigla “Lotta armata per il comunismo”. Non sono mai stati individuati nè i tre nè il killer.
Ancora gambe
Nel giro di quattro giorni le Br mettono a segno altre tre gambizzazioni. Il 10 luglio a Genova colpiscono Angelo Sibilla, costruttore e segretario regionale della Dc. A sparare è il solito Nicolotti, spalleggiato da Livio Baistrocchi.
Il giorno dopo a Roma feriscono un pensionato, Mario Perlini. Nel volantino lo indicano come segretario di Comunione e liberazione, in realtà è solo uno che per qualche spicciolo tiene dietro all’amministrazione.
Per due o tre ore una donna, con un fazzoletto che le copre la fronte e occhialoni da sole e un uomo con i baffi e anche lui occhiali da sole, lo aspettano appoggiati a un muro davanti a casa. Sono Alessio Casimirri e la moglie Rita Algranati.
Il primo ha 26 anni, viene da una famiglia alto-borghese. Il padre era ufficiale a Cefalonia, a lui è ispirato il romanzo e il film “Il mandolino del capitano Corelli”. Dopo la guerra è diventato il capo ufficio stampa del Vaticano e lo è sotto ben tre papi diversi. E’ un pezzo grosso, tanto che al piccolo Alessio la prima comunione è stata impartita da Paolo VI. Dopo una vita tutta casa e chiesa, Alessio al liceo aderisce a Potere operaio. Quando questo si scioglie, entra nei collettivi autonomi di via dei Volsci. Qui conosce una ragazzina di 17 anni, si chiama Rita, che diverrà poi sua moglie.

Alessio Casimirri
A dare l’ultima spinta verso la lotta armata ad Alessio, e anche a molti altri, è l’assurda uccisione proprio di Mario Salvi, avvenuta l’anno prima. Ormai – pensa – si può rispondere solo con le armi. A fine 76 aderisce alla Br e si porta dietro Rita e un’altra ragazza, Mara Nanni. Sono tutti irregolari, cioè continuano a condurre una vita normale.
Ora lui e Rita, che ha 19 anni, sono appoggiati a quel muro. Alessio si è dimostrato subito un tipo deciso, bravo con le armi. Anche la moglie, nonostante la giovane età, diventerà una pistolera affidabile. Ma questa volta il compito è sin troppo facile: sparare a un pensionato che mai avrebbe pensato di essere un obiettivo. Gli sparano e poi entrano nel cortile di una casa vicina e scavalcano una recinzione, mettendo un grosso telo sul filo spinato. Tutto facile per uno che è anche campione di pesca subacquea. Così raggiungono la strada dove Morucci li aspetta con un auto.
Due giorni dopo a Torino sparano a Maurizio Puddu, consigliere provinciale Dc. Il commando è guidato da Nadia Ponti, con lei Betassa, e un altro operaio Fiat, Dante di Blasi, immigrato sardo, anche lui delegato Fim-Cisl e iscritto al Pci. Un’infermiera e due operai, le Br torinesi sono diverse da quelle romane.
Puddu ha appena parcheggiato l’auto sotto casa che Betassa si avvicina, estrae dalla borsa una pistola con silenziatore e gli spara, colpendolo al ginocchio. Puddu cade tra due auto. Betassa spara altri colpi, alcuni a vuoto, uno viene fermato dal portafoglio, poi cede il posto a Di Blasi, che spara ancora sull’uomo a terra. Lui grida: “basta“, ma quello continua fino a che non ha svuotato tutto il tamburo della sua Nagant.
Puddu è colpito da sette proiettili, alcuni alla pancia, uno gli frantuma il femore e recide la femorale. Ha pochi minuti di vita, si salva solo perchè un dentista lo soccorre bloccando l’emorragia.
Nel volantino viene definito “individuo della cricca dc”. Di Blasi (che negli anni duemila farà il campanaro ad Orgosolo) dirà: <Io non provavo niente. Nessuna emozione e neanche pietà. Non lo conoscevo, ma mi avevano detto che era un nemico da abbattere: per me bastava questo. Avrei sparato contro chiunque: era l’organizzazione a decidere i bersagli. Io ero un esecutore>. I capi a Torino sono Micaletto (che fa la spola con Genova), Fiore, Peci e la Ponti.
Con la stessa Nagant, un vecchio revolver belga, era stato ucciso l’avv. Croce. E’ una specie di firma.
La gambizzazione potrebbe essere solo un gesto simbolico, basterebbe anche un solo colpo, una ferita non grave. Quasi sempre viene invece compiuta con cattiveria, con l’intento di far soffrire, di straziare la vittima. I terroristi scaricano l’intero caricatore della pistola sulle gambe, l’obiettivo è soprattutto spezzare le ossa. Spiega Peci: bisogna colpire un osso per far cadere la vittima a terra, dopo è più facile fare il tiro a segno.
Le carceri speciali.
La risposta dello Stato all’escalation terrorista arriva con l’istituzione delle carceri di massima sicurezza. A prima vista una scelta un po’ strana, considerato che da qualche anno i terroristi arrestati sono pochissimi. La priorità forse sarebbe quella di catturarli. L’obiettivo è l’isolamento di quelli già arrestati, in pratica il nucleo storico delle Br, così da impedire che facciano proseliti tra la criminalità comune e fomentino rivolte. In più si spera che il rischio di finire in un carcare speciale funzioni come deterrente rispetto a quelli fuori. Il primo obiettivo sarà più o meno centrato, il secondo per nulla.
Negli “speciali” il regime è più duro. Oltre all’isolamento rispetto agli altri detenuti, c’è un parziale isolamento anche verso l’esterno. Le visite concesse sono meno, la lontananza delle carceri dai luoghi di residenza le rende più difficili e i colloqui avvengono solo attraverso un vetro. Anche le ore d’aria sono meno, solo due al giorno. E sono quasi precluse le attività interne.
Favignana, Fossombrone, Trani, Asinara e Cuneo sono i primi cinque istituiti. A fine anno ne entrano in funzione altri cinque. A metà luglio un migliaio di detenuti vi vengono trasferiti poi altri 500 entro l’anno. Ma non sono solo politici, anzi la maggioranza sono comuni.
L’estrema sinistra battezza subito queste carceri come lager. Sicuramente vi si applica un regime carcerario duro, ma le norme restrittive variano molto da carcere a carcere. Si va da quelle decisamente vessatorie dell’Asinara a quelle più blande di altre carceri.
PL, il primo morto
A seguito di arresti e mandati di cattura un certo numero di piellini è costretto alla clandestinità. Significa dover predisporre case sicure e stipendi e tutto ciò costa. L’approvvigionamento di soldi e di armi diventa così ancora più impellente. Quella del 77 è un estate di rapine, anche in vacanza, al mare, si salta il bancone di qualche banca. Nei cinque anni dal 76 all’80, le organizzazioni armate grandi e piccole, hanno messo a segno circa 200 rapine in banca.
A metà luglio Coda, quello che aveva perso i documenti sul luogo di un attentato, ma nessuno lo aveva cercato, e che ora è il capo di uno dei due gruppi di fuoco milanesi, assieme a Donat Cattin, Romano Tognini e un altro, va a rapinare l’ufficio postale di Sesto, dove lavora Mazzola. Una cosa tranquilla, ma a Coda parte per sbaglio un colpo che ferisce lievemente la direttrice. Bottino di 7 milioni piu la beffa, c’era un’altra cassetta con piu soldi, ma se la prende un impiegato, approfittando del caos.
Dopo qualche giorno, Coda, questa volta assieme a Crippa-Apache e di nuovo Tognini, che si porta dietro anche la moglie Maria Grazia, vanno a rapinare un’armeria a Tradate. Dovrebbe essere un colpo facile, piccolo paese, armeria appartata.
Entrano e, sotto la minaccia delle armi e di una bomba, fanno sdraiare per terra i quattro presenti, due uomini e due donne. Due li ammanettano e due li legano con nastro adesivo. Riempiono due borsoni con una quarantina di pistole e qualche fucile poi se ne vanno con calma. L’auto ha percorso una decina di metri che sulla porta dell’armeria compare il proprietario con un fucile caricato a pallettoni. Era stato legato male.
L’uomo prende la mira e spara. Il colpo sfonda il lunotto. I due davanti si girano e vedono il volto di Tognini diventato una maschera di sangue. I pallettoni sono entrati nella testa ed usciti in parte dalla faccia. Tognini, un impiegato di banca, è già morto. Un secondo colpo ferisce alla mano Crippa che è al volante. L’auto sbanda, ma riesce ad allontanarsi. Arrivano al parcheggio dove è previsto il cambio d’auto. Abbandonano il corpo di Tognini e anche i borsoni con le armi, trascinano la moglie sotto choc fuori dall’auto e si dileguano.
Anche PL ora ha il suo primo morto.
Due giorni dopo, nella notte, Segio, Giap l’esperto di esplosivi e Mazzola vanno a Tradate e fanno esplodere un potente ordigno nell’armeria. Viene diffuso un volantino: “La mano di un lurido omicida ci ha privato di un compagno eccezionale: freddo e determinato nelle operazioni, lucido e intelligente nell’elaborazione politica, estremamente ricco di umanità. La sua esecuzione non rimarrà impunita”
Per PL è uno chock. Certo se si fa la guerra si può anche morire, ma un conto è saperlo in teoria, un conto è deporre un cadavere in una bara. Ma l’uccisione di Tognini non spinge ad alcun ripensamento, anzi spinge a compiere un ulteriore passo verso la guerra. <L’esecuzione del personale politico del capitale più efferato e essenziale diventa un elemento necessario commisurato con il livello dello scontro>, è la risposta. D’ora in poi si uccide, senza più i dubbi che le prime due esecuzioni, i due strappi voluti da Galmozzi, avevano creato.
Sempre per procurarsi soldi, che non bastano mai, Prima linea a settembre tenta, per la prima e ultima volta nella sua storia, un sequestro di persona “lampo” ai danni di un giovane fiorentino vicino al movimento. Un’altra operazione Saronio, forse anche più feroce e rudimentale. Vanno a casa di un giovane che conoscevano e lo prendono davanti al padre, che ha un’azienda. Gli dicono di preparare i soldi. L’uomo va in banca ma avverte la polizia. E i sequestratori si affrettano a liberare il giovane. Come ritorsione viene messa una bomba nell’azienda del padre.
A fine 79 Prima Linea arriverà ad avere spese per centinaia di milioni l’anno, con uno stipendio mensile ai clandestini, che passa dalle 250mila lire del 78 a 350mila. Il bilancio delle Br è maggiore, anche se gli stipendi sono leggermente più bassi. Anche le altre organizzazioni hanno gli stessi problemi. Le neonate Fcc, nel giro di qualche mese fanno sei o sette colpi in banca.
La crisi delle Ucc
Le Unità comuniste combattenti stanno invece entrando in crisi. A inizio anno già ci sono state le prime defezioni. Ad esempio Lapponi e Anna Rita D’Angelo che non aveva condiviso la decisione di sparare al libraio Alfieri. Con l’estate arriva la scissione, se ne va un gruppo consistente, capeggiato da Ina Pecchia.
Non condividono la china militarista, sono contrari ai ferimenti e non sopportono il comando “militare” di Guglielmi e Torrisi. Le azioni delle Ucc fino a questo momento sono state tutte attacchi a sedi di società e istituzioni, tranne due sole gambizzazioni. I fuoriusciti mettono su un nuovo gruppo che allaccia rapporti con ex PotOp come Panzieri. E per finanziarlo organizzano un paio di rapine spettacolari.
La prima al Club Mediterranè di Nicotera. Il 4 agosto, dopo che erano state tagliate le linee telefoniche, si presenta all’ingresso un auto con due carabinieri e due in borghese. Vengono fatti entrare, raggiungono gli uffici, estraggono le armi e svuotano la cassaforte. Poi escono e i due in divisa prendono la Pecchia, che dalla mattina si trovava nel villaggio turistico e fingono di averla arrestata, allontanandosi così indisturbati.
Il 31 ottobre in tre, elegantemente vestiti, si fanno ricevere dal direttore del Banco di Roma a Napoli. Una volta nell’ufficio, bloccano e legano due guardie e tutti gli impiegati e si fanno aprire la cassaforte dal direttore. Bottino 171 milioni.
Dilaniati dalla bomba
Azione rivoluzionaria, il gruppo armato anarchico, ha deciso, accodandosi alle Br, una campagna contro i mass media, “manipolatori del consenso”. Il 4 agosto a Torino due militanti, due ragazzi di 24 anni che sbarcano in lunario con lavoretti precari, saltano in aria mentre preparano un ordigno, destinato al quotidiano la Stampa. Sono Attilio di Napoli, milanese e Aldo Pinones, un cileno, che era stato incarcerato da Pinochet, era riuscito a scappare a Cuba, dove era stato addestrato alla guerriglia. Poi però, insofferente al regime castrista, era venuto in Italia, un paese che lo attirava molto. Ma l’addestramento cubano, a quanto pare, non era stato sufficiente.
La campagna continua con la gambizzazione, il 19 settembre sempre a Torino, del giornalista dell’Unità Nino Ferrero. Gli sparano cinque colpi spezzandogli entrambe le gambe. Una scelta bizzarra, visto che Ferrero si occupa di cinema. Ma l’obiettivo è chiaramente l’Unità, la vittima è scelta a caso. E’ la prima volta che viene colpito un uomo del Pci. Non è una sorpresa, per l’area anarchica e dell’autonomia il Pci ora è un nemico, al pari della Dc. Del resto il governo Andreotti si regge sull’appoggio del Pci.
Il povero Ferrero, quando vede il giovane che gli punta la pistola, grida: <sono un comunista!>, ma non serve a nulla.
Contro la repressione
In settembre a Bologna si svolge il convegno contro la repressione, organizzato dal movimento del 77. Il Comune concede anche il palasport, con l’intenzione di tendere una mano a quei giovani o almeno a una parte di loro. Il titolo è un po’ ridicolo, anche se ha raccolto l’adesione di esimi intellettuali francesi tra cui Sartre, che non hanno un’idea di cosa ci sia in Italia.

Il palasport di Bologna durante il convegno contro la repressione
Ridicolo perchè l’elemento distintivo del 77 è proprio che di repressione non c’è traccia. Da oltre un anno le principali città sono teatro di una guerriglia armata, in aggiunta al terrorismo che ha già colpito decine di persone, e gli arresti, dopo che è stato sciolto il nucleo Dalla Chiesa, si contano sulle dita di una mano o poco più. E quasi sempre sono arresti di breve durata.
Anche PL è critica. Libardi su Senza Tregua attacca i piagnistei del movimento: l’atteggiamento innocentista e vittimista è sbagliato, dobbiamo fare il salto verso una logica di guerra, e in guerra il nemico risponde. O almeno dovrebbe. Il convegno è in realtà una specie di congresso informale del movimento, ma si consuma tra scontri, anche fisici, tra gli autonomi e l’area che fa ancora riferimento a LC e si risolve con un nulla di fatto. Anzi segna l’inizio di un rapido riflusso della rivolta 77ina, divisa tra un’ala creativa che non ha idea di cosa vuole e l’ala dell’autonomia sempre più risucchiata verso la deriva militarista. Tutti i gruppi armati hanno mandato qualcuno a far reclutamento.
Non ci sono brigatisti, tranne qualche romano a titolo personale. Le Br continuano a mantenere un’atteggiamento di diffidenza e scarso interesse verso questo movimento. Dirà Moretti: <Non esprimeva la contraddizione operaia. Si disse che erano “nuovi soggetti”, ma quali in concreto? Per me, ma non solo per me, quel movimento resterà un oggetto sconosciuto fino alla fine>. L’ortodossia brigatista ha poco a che fare con l’antagonismo del proletariato giovanile e le teorie dei bisogni. Anche se paradossalmente in un corteo improvvisato all’uscita del convegno parte un coro di “Rosse, rosse, brigate rosse“. Per le Br la massa da egemonizzare resta la base del Pci, della quale hanno ancora un’idea legata a mitizzazioni prive di fondamento ormai da tempo.
Comunque sia, tra l’autunno 77 e la primavera 78 le file delle organizzazioni armate vengono ingrossate da decine di aspiranti terroristi.
Audacia e capacità militari
Passata l’estate, riprende l’attività. E’ sorprendente come dei ragazzi, poco più che ventenni, provenienti da famiglie tranquille e pacifiche, abbiano acquisito in poco tempo capacità militare e soprattutto un discreta dose di coraggio e freddezza. Sparare ad un uomo inerme è facile e non ci vuole nè coraggio nè perizia, basta un certo ottundimento della ragione. Ma assaltare un posto di polizia è una cosa diversa.
In cinque di PL, Segio, Donat Cattin, Camagni, Mazzola e Crippa, che si è già ripreso dopo la ferita alla mano, attaccano il posto di polizia della stazione di Rogoredo. Donat Cattin resta fuori con un fucile, gli altri entrano neutralizzano tre poliziotti, li legano e chiudono in uno stanzino e se ne vanno con armi e divise.
Caccia al “katanga”.
Nelle università e nel movimento ormai spadroneggiano gli autonomi. Ma non alla Statale di Milano. Quello è territorio del Mls di Capanna, che ha un servizio d’ordine robusto, li chiamano i katanga, che più di una volta ha preso a sprangate gli autonomi. E’ successo anche in marzo, dopo che era stato ucciso il ps Custrà.

I “katanga”, servizio d’ordine della Statale di Milano
Un gruppetto di studenti ha formato un collettivo molto vicino a quelli di PL. Ma i katanga gli hanno fatto capire alla loro maniera di girare alla larga. Questi se ne lamentano con Max Barbieri, quello che coordina le squadre di PL, col quale sono in contatto in vista di un ingresso del gruppo nell’organizzazione. Ci vorrebbe proprio una bella lezione a William Sisti, il capo dei katanga. Sisti è un personaggio molto noto e anche molto odiato dagli autonomi.
Segio, informato, dice di lasciar perdere, Sisti non è un obiettivo. Ma a Barbieri e a Donat Cattin, l’idea non dispiace. Così decidono di sequestrarlo, portarlo in una discarica, picchiarlo, metterlo alla gogna e fotografarlo. Sanno però che Sisti gira armato, per cui mettono in conto anche di sparargli se reagisce. Donat Cattin fa venire da Torino l’amico Sandalo.
Barbieri va a rubare un furgone col quale sequestrarlo, ma il motore si inceppa, si ferma, riparte. Due vigili notano la scena e intervengono, Barbieri viene fermato. Il progetto sfuma.
Tutti e tre, Barbieri, Donat Cattin e Sandalo, hanno riferito ai magistrati che a contattarli erano stati Giuliano Pisapia e il cugino. Pisapia sarà prima amnistiato poi assolto, non ci sono prove, hanno sentenziato i giudici.
I fascisti uccidono Walter

Walter Rossi
Intanto riesplode la guerra di strada coi fascisti, che diverrà nei due anni successivi sempre più sanguinosa. A Roma la sera del 29 settembre da una Mini Minor sparano su un gruppo di studenti di sinistra che sosta davanti ad una casa occupata.
Una ragazza di 19 anni è ferita da tre proiettili, morirà dopo un anno.
Il giorno dopo centinaia di autonomi tentano l’assalto alla sezione Balduina del Msi, respinti dalla polizia. Poco distante giovani di Lotta continua distribuiscono volantini. Piazza Bologna è una zona nera, ma sono tranquilli, perchè c’è molta polizia. Ma è proprio da dietro un blindato della Ps che sbuca un gruppo di fascisti, tra loro c’è Cristiano Fioravanti, fratello del più noto Giusva e Massimo Alibrandi, figlio di un noto magistrato. Di lì a poco saranno tra i fondatori dei Nar. I fascisti tirano fuori le pistole, ormai tutti hanno delle armi. Sparano e poi se ne vanno indisturbati. Walter Rossi, 20 anni, resta sull’asfalto morto sul colpo.
Morte tra le fiamme all’Angelo azzurro
Il giorno dopo ci sono manifestazioni in molte città. A Torino un grosso corteo guidato da LC (il gruppo in realtà si è sciolto, ma molti giovani continuano a fare riferimento al giornale che continua ad uscire), punta verso la sede del Msi, dopo violenti scontri con la polizia, deve ripiegare. Passa davanti ad un bar, si chiama Angelo azzurro, dicono che sia un ritrovo di fascisti. Un gruppo del circolo giovanile Barabba si stacca dal corteo e lancia alcune molotov dentro il bar, che prende fuoco. Proprietari e clienti scappano, ma Roberto Crescenzio, un giovane di 22 anni, si è chiuso nel bagno e quando prova ad uscire è tardi, muore per le ustioni.
E’ una morte non voluta, ma ancora più assurda di tutte le altre. Suscita grande sconcerto nel movimento, Lotta continua condanna. Qualche settimana dopo i sindacati organizzano a Torino una mostra fotografica sulla violenza politica, quel corpo carbonizzato fa impressione e crea sgomento. E’ l’episodio che segna l’inizio della fine del movimento del ’77. E con essa anche il passaggio di molti ragazzi nelle file della lotta armata. Proprio uno dei leader del Barabba, Francesco D’Ursi, che quel giorno era all’Angelo Azzurro, metterà su una squadra armata di Prima linea, portandosi dietro un po’ di ragazzi.
Ma anche l”arruolamento di questi giovani risente del clima politico di delusione e riflusso e della deriva militarista che PL ha ormai imboccato. Vengono infatti scelti soprattutto in base alle loro capacità militari e affidabilità nel silenzio, verso fuori, ma anche verso dentro, cioè poco critici. Perchè in un’organizzazione clandestina, il dibattito indebolisce.
<Eravamo una banda scalcinata e avventurista…. – ammetterà Segio molti anni dopo – le armi erano state distribuite a tutti e ovunque, creando strutture operative dilettantesche in una situazione dominata più dalla guasconeria che dalla progettualità politica>.
Ancor più duro Massimo Prandi, piellino bresciano: <i marginali dei sedicenti “movimenti giovanili” i quali non avevano nessuna formazione politica, sono entrati in PL e anche nelle Br. Giovincelli sbandati, completamente sfatti che domandavano ogni sera, soffregandosi le mani: “Allora cosa facciamo domani come azioni militari?” E l’organizzazione chiedeva solamente schedature e nomi di persone, dicevano: bisogna essere produttivi, compagni, e operazionali… e così si moltiplicano gli attentati senza motivo>. .
Tanto per dare un’idea di quel che dice Prandi, a Milano c’è una squadra guidata da un certo Doberman, 19 anni capelli ossigenati, soprannominata degli Alani.
Ma la vendetta per Walter, quella vera, deve ancora arrivare e arriverà. Lo sanno anche i fascisti che l’aspettano.
g.g.
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