1970 / 71
Feltrinelli
Giangiacomo Feltrinelli, dopo il 12 dicembre, si è reso irreperibile, all’estero. E’ convinto che un colpo di Stato sia imminente. Imminente o no ha avuto buon fiuto, perchè D’Amato, il capo della polizia politica, ha dato ordine di incastrarlo come mandante degli attentati.

Feltrinelli assieme a Fidel Castro
L’editore già da qualche tempo, sull’onda del ’68, progettava di guerriglia e di ripresa della lotta partigiana, la strage lo ha convinto che bisogna mettere in pratica quello che i tanti libri da lui pubblicati sull’America Latina hanno insegnato. Così diventa Osvaldo e, tornato in Italia clandestinamente, tra aprile e maggio crea i Gap (Gruppi armati partigiani). Un’organizzazione abbastanza piccola, poche decine di persone, l’unica cosa che abbonda sono i soldi. Feltrinelli è miliardario ed è possbile che riceva finanziamenti dall’Urss.
Vola spesso a Cuba, ma l’amico Castro lo ha sconsigliato di diventare il Che della Valpadana. Lui invece è convinto che la situazione sia matura, prima che sia troppo tardi. Pensa che la base del Pci sia lì a mordere il freno, pronta a liberarsi dei suoi dirigenti riformisti, se qualcuno mostra che si fa sul serio. E’ miliardario, ma fa di tutto per sembrare un proletario. Pare che si lavi molto poco, per avere un aspetto trasandato.
I Gap sono un gruppo abbastanza eterogeneo. Qualcuno viene dal 68, altri dai partitini ML (marxisti-leninisti), un paio sono ex partigiani. Operano soprattutto in Lombardia, coi soldi di Feltrinelli hanno comprato quattro appartamenti, che sono le loro basi clandestine.
A Genova hanno aggregato una piccola banda armata, nata qualche mese prima, il 22 ottobre, da cui anche il nome. A metterla su è stato un gruppo di proletari, amici di quartiere, da poco usciti dal Pci. Non sono giovani, son quasi tutti sopra i 30 anni, ma anche loro sono stati “presi” dal 68. Il leader è Mario Rossi, un imbalsamatore di animali. Il suo braccio destro è Augusto Viel, elettrotecnico. Ci sono anche due piccoli malavitosi, poi verrà arruolato anche un fascista. In aprile danno fuoco alla porta del Psu di Saragat, il partito amerikano. In maggio piazzano un candelotto davanti al consolato Usa, ma qualcuno spegne la miccia.
Qualche mese ed entrano in azione anche i Gap, ma anche le loro azioni sono modeste. Tra settembre e ottobre compiono tre piccoli attentati in cantieri di Milano, dove son morti dei muratori. Nel volantino annunciano che colpiranno ovunque ci sia un incidente sul lavoro. A Genova invece vengono colpiti due automezzi dei carabinieri, anzi uno solo perchè il secondo attentato fallisce.
Specialità dei Gap è quella di accompagnare le loro azioni con incursioni sulle frequenze Rai per lanciare proclami e rivendicare gli attentati.
La “22 Ottobre”
Quelli della 22 ottobre hanno bisogno di soldi. Un po’ per l’organizzazione e un po’ per loro stessi. In quegli anni ci sono decine di sequestri, <perchè – dice Rossi – non proviamo anche noi?>. La sera del 5 ottobre, lui e altri tre bloccano Sergio Gadolla, figlio di un industriale, lo caricano su un’auto presa a nolo e partono per i monti, dove sono pronte due tendine.
Tutto facile, ma il sequestro sarà un mezzo disastro. Intanto lasciano sull’auto le loro impronte e dimenticano degli indumenti nel bagagliaio. La famiglia è pronta a pagare, ma il contatto salta per un disguido. Inizia a diluviare. Le tende sono allagate e i due carcerieri hanno perso ogni contatto con gli altri. Uno cammina tutta la notte sotto l’acqua per tornare a Genova, ma inutilmente. I fiumi sono straripati, Genova è sommersa, ci sono molti morti. Il pagamento slitta di nuovo. Qualcuno propone di rinunciare. Ma Vandelli, il fascista, dopo 5 giorni riesce a incassare il riscatto: 200 milioni.
I problemi però non sono finiti. C’è chi vuol intascarsi i soldi e al diavolo la rivoluzione. E così in tre se ne vanno, uno si compra una grossa moto, un altro una macelleria.
Le Br e Osvaldo
Sui giornali si parla dei camion bruciati dalle Br. <Ma chi sono questi qua?> sbotta Feltrinelli. Cerca un contatto e si incontra con Curcio e Franceschini. Gli incontri diverranno frequenti, di solito al parco Sempione. <Dovevamo fingere di non sapere che era Feltrinelli – racconta Franceschini – stare al gioco era obbligatorio. Parlava sempre lui. Seduto su una panchina, le gambe allungate, le mani in tasca. Ci sommergeva di discorsi sulla strategia rivoluzionaria, la struttura dell’esercito proletario>.
Feltrinelli propone di unirsi, offre finanziamenti. Ma i due non ci stanno, niente soldi, vogliono rimanere autonomi. E poi ci sono troppe divergenze: Feltrinelli pensa che la situazione sia matura per una rivoluzione, e che sia indispensabile appoggiarsi al campo socialista. Le Br progettano una lotta di lunga durata e considerano l’Urss uno stato socialimperialista.
Ma soprattutto: <il suo gruppo ci pareva poco affidabile – dice Franceschini – c’era dentro gente strana>. In effetti nei Gap ci sono alcuni personaggi ambigui. Un ex tenente degli alpini che, secondo Franceschini <teneva i piedi in sette scarpe>. C’è Marco Pisetta, che diventerà presto, o forse lo è già, un informatore dei carabinieri. E un certo Gunther, un ex partigiano, ma di lui si sa poco. Un tipo dai cento mestieri e pregiudicato, che poi scapperà coi soldi che le Br gli avevano dato per comprare armi.
E poi c’è Feltrinelli, che ora viaggia e a volte dorme su un pulmino trasformato in minicamper, ma resta uno degli uomini più sorvegliati da parte della polizia e dei servizi segreti di diversi paesi, che lo considerano il principale agente castrista in Europa. D’Amato dopo aver cercato di accusarlo della strage, fa pubblicare un libretto “Feltrinelli, guerrigliero impotente“. Vuole spingerlo ad agire militarmente provocandolo, rimproverandogli la mancanza di coraggio e di essere un impotente anche sessualmente.
Intanto l’Anello, la struttura segreta messa in piedi dal Sid, progetta di rapirlo e ucciderlo. Cercheranno anche di piazzare gli stessi timer di piazza Fontana in una sua proprietà, per poi farli trovare e così aver la prova che è stato lui a far mettere le bombe. Insomma il compagno Osvaldo ha troppi occhi addosso, con lui buoni rapporti, ma meglio ognun per sè.
Il primo morto e la fine della 22 Ottobre
Dopo qualche settimana di riposo, i genovesi si rifanno vivi con un attentato al deposito della Ignis, rivendicato inserendosi nei programmi tv. Pochi giorni dopo altro attentato alla raffineria Erg, questa volta il botto è grosso.
Ma ora sono di nuovo a corto di soldi. Uno della banda lavora allo Iacp e racconta che è un gioco da ragazzi impossessarsi delle buste paga. Qualcuno obietta che così si rubano soldi ai lavoratori, per di più di un Istituto che dà le case ai lavoratori. Ma il colpo è troppo facile per rinunciare.

L’uccisione del fattorino Floris dopo una tentata rapina della “22 Ottobre”
Anche questa volta però le cose vanno storte. Il 26 marzo ’71 Rossi e Viel si appostano e strappano la borsa coi soldi al fattorino, poi corrono verso la lambretta che hanno lasciato lì vicino. Ma Alessandro Floris, il fattorino, li insegue. Rossi spara un colpo a terra, ma lui non molla. Viel mette in moto, l’altro sale al volo, ma Floris si aggrappa a una gamba e allora Rossi gli spara e lo uccide. Nella banda si era sempre detto che non si uccide, ma se vai armato e di fronte a un imprevisto perdi la testa, succede. Rossi viene catturato poco dopo. Viel riesce a fuggire a Milano.
I due sono anche sfortunati, perchè da una finestra uno studente fotografa la scena. Il giorno dopo sulle prime pagine c’è la loro foto che sembra presa da un film. Nel giro di qualche giorno, grazie anche a qualcuno che parla, viene arrestata mezza banda. E’ la fine della 22 Ottobre.
La vendetta per il Che
Brutta notizia per Feltrinelli, che però pochi giorni dopo si toglie una grande soddisfazione. Quella di vendicare il Che. Il primo aprile Monica Ertl, una bellissima trentenne tedesca, che vive in Bolivia con la famiglia, va al consolato boliviano ad Amburgo, ha un appuntamento col console. Entra nel suo ufficio e gli spara tre colpi. A morire è Roberto Quintanilla, uno degli assassini di Che Guevara. Nella famosa foto del cadavere seminudo, Quintanilla è quello che, in posa, lo tiene per i capelli. La pistola che ha sparato è di Feltrinelli, l’ha data lui a Monica. La giovane sarà poi uccisa in Bolivia, tradita da un amico di famiglia, il criminale nazista Klaus Barbie.
Potere operaio, il partito dell’insurrezione
Chi invece appoggia subito Feltrinelli è Potere operaio. Non è poi così strano, in fondo sono i più estremisti tra gli estremisti. Mentre le Br si collocano, a modo loro, dentro alla storia della sinistra marxista rivoluzionaria, PotOp invece ha rotto con quella storia.
Sindacati e partiti socialisti sono stati creati dagli operai di una volta. Con una professionalità, orgogliosi del loro lavoro. Oggi invece l’operaio massa è pura appendice della macchina e il lavoro gli fa schifo. L’unico obiettivo dunque è il rifiuto del lavoro e l’autonomia operaia. Cioè autonomia dai sindacati, dalle compatibilità del sistema e da ideali e soli dell’avvenire. <I sindacati sono…. articolazioni del capitale dentro la classe, subdole istituzioni di controllo e di repressione nei confronti del proletariato rivoluzionario>.
Quando gli operai occuparono le fabbriche nel 20, continuarono la produzione per dimostrare che potevano fare a meno dei padroni e rivendicavano il controllo operaio sulle fabbriche. Quelli di PotOp invece predicano il rifiuto del lavoro, il rifiuto dei contratti, l’insubordinazione permanente, il sabotaggio e la violenza. Ogni contratto per loro è un bidone, la lotta non deve fermarsi mai, sino a <distruggere definitivamente il comando del capitale sul lavoro>. <La classe operaia non ha alcun ideale da realizzare, ma solo le sue esigenze materiali da soddisfare>.
Ma hanno un problema. No, non quello di spiegare come si fa una società nella quale <sia distrutta la necessità di lavorare per vivere>. Toni Negri, il sommo ideologo del gruppo, neanche ci ha mai provato. Il problema è che gli operai non li seguono, stanno coi sindacati. I gruppi extraparlamentari hanno avuto un ruolo importante nelle lotte del 69/70, nelle grandi fabbriche hanno anche un certo seguito, soprattutto LC e, a Milano, Avanguardia Operaia. Ma il sindacato ha dimostrato una vitalità inaspettata, ha strappato importanti conquiste ed è ancora egemone.
E allora, come spesso accade, si cambia campo di gioco: fuori della fabbrica per il salario politico <una lotta non per il lavoro, ma per il reddito, per il reddito sganciato dal lavoro>.
Si sceglie un nuovo nemico: lo Stato. Si punta più in alto: la conquista del potere, attraverso l’organizzazione della violenza. E così PotOp si autoproclama Partito dell’insurrezione, che non può che essere un partito armato.
La nuova linea viene discussa e approvata nel settembre 71 in un congresso a Roma. Dunque non nel segreto di qualche covo, ma di fronte a centinaia di persone, tra le quali uomini della Digos e dei carabinieri.
I massimi leader sono tre. Il prof Antonio Negri, docente all’università di Padova, la mente. Il prof Franco Piperno, il politico, con la sua oratoria infuocata. E Oreste Scalzone, l’agitatore dallo sguardo febbricitante, anima e corpo per la rivoluzione. Sul corpo porta ancora i segni di una panca che i fascisti gli hanno tirato da una finestra dell’università sulla schiena e gli ha fatto rischiare la paralisi.
Negli interventi di tutti ricorre sempre la stessa parola: militarizzazione. Si respira un’aria densa, impregnata di fumo e sudore, di esaltazione ed estetismo della parola e del gesto estremo, l’ebrezza della chiamata alle armi. Negri, col suo ghigno sorridente, annuncia: «II passaggio della lotta di classe operaia verso la lotta armata per il potere sta verificandosi dentro le masse». Sul loro giornale l’editoriale si intitola “Democrazia è il fucile in spalla agli operai”.
Un’allucinazione dalla quale si risveglieranno solo dopo molti anni e non del tutto.
Pecos e il “Lavoro illegale”
In una riunione riservata viene costituito l’apparato militare segreto, si chiama Lavoro Illegale. Segreto anche per la maggior parte dei militanti. Il capo politico è Piperno, quello militare è Valerio Morucci. La persona giusta. Ha 22 anni, figlio di un falegname comunista, ha fatto lavoretti saltuari, appena iscritto all’università è scoppiato il 68 e addio esami. E’ diventato presto il capo del servizio d’ordine di PotOp a Roma. Lo chiamano “il generale” o anche Pecos, senza Bill, per la sua grande passione e conoscenza delle armi.
Quello di procurare armi è uno dei suoi primi compiti. Va in Liechtestein e in Svizzera, dove è abbastanza facile comprarle con documenti falsi. In Svizzera ha anche una villetta in affitto a Locarno, nella zona ci sono depositi militari poco sorvegliati e un giorno se ne torna in Italia con una mitra, un lanciarazzi e 135 bombe che in parte finiscono anche ai brigatisti.
Saetta e le Br
Piperno, nome di battaglia Saetta, prende contatti con le Brigate rosse e propone un’unità d’azione, nonostante PotOp non condivida la loro linea. Le armi devono stare dentro le lotte e dentro il movimento, mentre le Br si muovono troppo dall’esterno. <Ogni riduzione dello scontro violento a questione privata fra rivoluzionari e forze repressive dello stato è perdente e favorisce il nemico di classe>. L’obiettivo è condurre le Br sotto la direzione politica di PotOp.
Ma anche le Br, in una visione tutta leninista dell’avanguardia, non sono d’accordo con PotOp, che è fermo sui classici due livelli, quello politico e di massa e quello militare e clandestino, cioè il braccio armato. Per loro invece il livello è uno solo, politico e militare. E poi diffidano dei professorini, intellettuali piccolo borghesi che pensano di diventare i leader politici e relegare i brigatisti a truppa armata.
Nessuna unità dunque, ci si dà una mano, ma niente di più. Quelli di PotOp ad esempio aiuteranno un paio di brigatisti a scappare in Svizzera, dove hanno in piedi un’efficiente rete di supporto. E all’inizio del 73 le Br ricambieranno con un po’ di armi. Più avanti si intensificheranno i rapporti anche politici, ma di nuovo senza esito.
A PotOp va meglio con Feltrinelli che si dice pronto a una stretta collaborazione. Che a Piperno e compagni interessa anche per i soldi che potranno spillare all’editore. Scalzone ha già ricevuto tre milioni.
Le azioni militari di Lavoro illegale saranno in realtà poca cosa. Si lavora più che altro a mettere in piedi un’organizzazione. Solo a Roma, dove PotOp è particolarmente forte, tra marzo e maggio del 72, vengono fatti attentati a una caserma dei carabinieri e a un paio di sedi Dc, rivendicati con la sigla Faro (Forze armate rivoluzionarie operaie).
Il Partito Armato del Proletariato
Stranamente il 71 è un anno di quasi inattività delle Br, a parte l’incendio di alcune auto e qualche iniziativa politica “legale”, come ad esempio l’occupazione di case. Anche loro si dedicano soprattutto all’organizzazione, allestire basi sicure, procurarsi documenti, soldi e armi, selezionare nuovi adepti. Tra questi c’è un pescivendolo di Quarto Oggiaro, Francesco Marra, che vorrebbe entrare. E’ iscritto al Pci, ma è stato anche un parà della Folgore e non è un buon biglietto da visita. Ma lui dice che è stato il Pci a mandarlo nei parà. Un giorno i fascisti gli bruciano l’auto, così dice lui, e le diffidenze cadono. Le Br in risposta fanno saltare col tritolo l’auto di un fascista del quartiere. E Marra è accolto.

Franceschini e Curcio
Intanto continuano le rapine. La polizia accusa le Br di quattro colpi nel 71, tre nel reggiano e uno alla Coin a Milano, bottino una ventina di milioni. Difficile dire se siano tutte loro, ci sono anche altri “politici” che fanno rapine. Le Br non firmano i colpi, sono ancora dell’idea che rubare non stia bene. Ma sicuramente ne hanno fatte piu di quattro, tra cui quella a un portavalori della Coin, fatta da Franceschini, Curcio e Buonavita.
Nel settembre 71 Curcio e Franceschini scrivono un documento politico, sotto forma di intervista. Il succo è che la borghesia ha risposto alle lotte con la <militarizzazione del sistema> e ha lanciato la <sua iniziativa armata> e l’unica risposta possibile è la lotta armata. I gruppi della sinistra extraparlamentare stanno sbagliando tutto, sia perchè <corrosi da correnti neopacifiste> sia perchè, anche le posizioni più radicali, non vanno al di là di un vano <sovversivismo>. Mentre invece è indispensabile l’organizzazione e <la creazione del Partito Armato del proletariato, che abbia come riferimento il marxismo-leninismo e la rivoluzione cinese>. L’idea è che, senza le armi e una rigida organizzazione, tutto quello che c’è stato dal 68 in poi è destinato alla sconfitta. Non le armi per l’insurrezione, come pensa PotOp, ma per una lunga marcia che si concluderà con la vittoria, quando tutto il proletariato avrà capito che deve sparare.
Infatti l’avanguardia, secondo le Br, <non è il braccio armato di un movimento di massa disarmato. Ma deve essere il suo punto di unificazione più alto… senza scindere lo scontro militare dallo scontro politico>. Che tradotto significa: chi porta le armi deve essere anche leader politico.
Le fabbriche, nelle quali hanno una certa presenza, sono «l’acqua» in cui vogliono nuotare e così diversi brigatisti vanno a lavorare in fabbrica, si iscrivono alla Cgil, ma anche a Cisl e Uil, si fanno eleggere delegati sindacali, altri lo erano già, sia per mimetizzarsi sia per far proseliti.
Le Br hanno una sola idea in testa: convertire le masse alla lotta armata. I contenuti politici di questa lotta interessano poco. Rivendicazioni, obiettivi, un programma e una strategia non ci sono.
<Che cosa sono dunque le Brigate rosse?> Si chiedono Curcio e Franceschini. La risposta è banale: <Sono gruppi di proletari che …. hanno capito che i padroni sono vulnerabili nelle loro persone, nelle loro case, nella loro organizzazione, che gruppi clandestini organizzati e collegati con la fabbrica, il rione, la scuola possono rendere la vita impossibile a questi signori>.
Stato di polizia?
Il manifesto delle Br è viziato da un’analisi in parte visionaria ed in parte contraddittoria. Una rivoluzione armata in Italia non appartiene al mondo della realtà. Ma non c’è neppure una militarizzazione del sistema nè un’offensiva armata

Servizio d’ordine della sinistra extraparlamentare
dello Stato (nel documento si parla di rastrellamenti nei quartieri, esistenti solo nella loro fantasia, alterata da troppi racconti dell’epopea partigiana). Anzi l’azione repressiva dello Stato, dopo la fucileria scelbiana ad Avola e Battipaglia, si mostra oscillante, ma sostanzialmente tollerante.
Certo non mancano gli episodi di violenza poliziesca, la polizia è fatta così, molti funzionari vengono dalla polizia fascista. Ma sono episodi di strada, non c’è una scelta politica del pugno di ferro, soprattutto a livello giudiziario. Coerentemente con la strategia della tensione e della provocazione condotta da settori degli apparati statali sotto la regia Usa. Una strategia che mira proprio a spingere la sinistra radicale sul piano dell’illegalità e della violenza. E i brigatisti si fanno spingere volentieri, senza rendersi conto di essere perfettamente funzionali ad essa.
Paradossalmente però le Br, che parlano di militarizzazione del sistema, affermano di non credere a un colpo di stato, vedono invece profilarsi una svolta neogollista. Mostrando in questo, a differenza di altri gruppi che teorizzeranno la fascistizzazione dello Stato, un certa lucidità, che mal si concilia però con la supposta offensiva armata dello Stato.
Il punto è che le Br, e poi tutte le altre organizzazioni armate che nasceranno, pur rivendicando la lotta armata come l’unica legittima via per liberare gli oppressi, sentono costantemente il bisogno di giustificarla inventandosi un’offensiva militare dello Stato a cui rispondere.
g.g.
Continua… 3) Colpiscine uno per educarne cento
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