Capitolo precedente: 24). PL contro le Br. La gente in piazza. Lo Stato inerme.

La prigione

Sono passati dieci giorni. Moro li ha trascorsi nella cella, sempre sdraiato o seduto sul letto. Non c’è modo di muoversi, fai 4 passi e sei già contro il muro. Lo hanno fatto uscire una volta per fare una doccia, per il resto si lava in un catino. Ha chiesto libri da leggere e carta per scrivere. Dapprima gli hanno dato qualche classico del marxismo-leninismo poi la Braghetti è stata mandata in edicola a comprare dei gialli e lei ha preso anche degli Urania. Moro ha chiesto anche giornali, ma glieli hanno negati, gli hanno però concesso una bibbia e di poter ascoltare la messa.

La vita nell’appartamento scorre regolare e tranquilla. La mattina la Braghetti prepara la colazione per tutti, Moro compreso, poi va al lavoro. Rientra nel pomeriggio e prepara da mangiare: <Cucinavo delle gran zuppe. Chiedemmo a Moro se c’era qualche cibo che non gradiva. Lui disse che non digeriva i fritti. Io ero fiera delle mie virtù domestiche, in via Montalcini non si mangiavano certo panini e scatolette>.

Prospero Gallinari

Gallinari non esce mai di casa, è solo lui ad occuparsi del prigioniero. Per gli inquilini lì abitano solo Maccari, alias Altobelli, e la giovane moglie. Ma Moro non li vedrà mai. Moretti viene per interrogarlo, è solo lui a farlo. Ma poi si trattiene, qualche volta va nel giardino e cerca di risistemarlo. <Si metteva un cappello di paglia, così dall’alto i vicini non lo vedevano in faccia. Una mattina tagliò un paio di rose e le mise in bagno in un bicchiere. Giurerei di averlo sentito canticchiare>. Di sicuro cantano due canarini in una gabbia, che ha portato Gallinari. Un giorno volano via e lui, da inflessibile carceriere, va su tutte le furie, perchè qualcuno ha lasciata aperta la gabbia.

Gli interrogatori sono più che altro dei lunghi colloqui. Il tono di Moretti è ben diverso da quello minaccioso e rozzo dei comunicati. E Moro annega le domande nelle sue risposte prolisse e con il suo eloquio involuto e difficile. Moretti arriva con la scaletta delle domande pronta. Anche questa è stata concordata a Firenze. All’inizio gli incontri vengono registrati e Maccari e Braghetti li trascrivono, ma la cosa si rivela troppo lunga e complicata. Così in una seconda fase le domande vengono lasciate a Moro, che riponde per iscritto. Queste risposte formeranno il cosiddetto Memoriale.

Si è detto che Moretti, un semplice perito, non era all’altezza di un confronto con Moro. In realtà Moretti era persona di notevole intelligenza e negli anni brigatisti si era acculturato, seppure in modo un po’ settoriale. E’ stato Morucci ad alimentare il dubbio sul ruolo di Moretti. Durante un processo dirà: <Fatevi dire chi era l’irregolare della casa di Firenze che batteva i comunicati e chi era l’anfitrione>. E’ la frase allusiva che ha dato la stura a tutte le teorie, infondate, sul Grande vecchio, vero capo delle Br.

L’idea di un Moretti che da bravo scolaretto si fa fare il compitino, è poco credibile. Ma a Firenze c’è un irregolare importante, uno che di informazioni alle Br ne ha già fornite e che, come suggeritore, è perfetto. Si chiama Giovanni Senzani.

Giovanni Senzani

Ha 36 anni, è un criminologo, ha studiato a Berkeley e insegna alle università di Firenze e Siena, ma soprattutto è un consulente del ministero della Giustizia sul tema carceri. Morucci e altri pentiti hanno rivelato che era lui a fornire le informazioni sui giudici da colpire e a fornire i numeri riservati di tutti i funzionari del Dap (Dipartimento carceri).

Diverrà uno dei massimi capi delle Br, ma ha sempre pervicacemente affermato di essere entrato nelle Br dopo Moro, mentre è accertato che ne faceva parte già dall’estate del 77. In pratica il ministero e le Br hanno lo stesso consulente.

La cosa paradossale, al limite dell’incredibile, è che, secondo il braccio destro di Cossiga, Lettieri, si pensò anche a lui come esperto da inserire nel comitato che studiava i comunicati delle Br. Non c’è nessuna prova che sia davvero stato uno dei consulenti. Del resto non si sono mai conosciuti tutti i nomi. Certo sarebbe stato il più preparato di tutti.

Giovanni Senzani

Nel ’72 cedette temporaneamente casa sua a Roma a un giovane regista che poi divenne collaboratore del Sismi. Diciamo che non poteva prevederlo, ma i servizi segreti torneranno a far capolino nella sua vita più volte.

A Firenze il capo locale del Sid è il col. Mannucci Benincasa, uno che ha messo il suo ufficio a disposizione di Gelli ed è gran protettore degli stragisti neri. Costui ha preso in affitto un appartamento per incontrare regolarmente un uomo delle Br, a cominciare dal ’78. Non si sa chi sia, ma si sa che i brigatisti fiorentini, tranne uno, Senzani, erano tutti ragazzotti di modesta levatura, tanto che i capi avevano ritenuto non ci fossero le condizioni per creare una colonna.

Il generale Notarnicola, che dentro il Sismi venne duramente osteggiato dai colleghi piduisti, fornisce un ulteriore indizio: <Senzani venne fermato a Genova nel dicembre 1978. Chiesero informazioni al controspionaggio di Firenze, dove Senzani abitava, ma il controspionaggio lesinò le informazioni>. Un eufemismo per dire che Mannucci proteggeva Senzani.

Il brigatista Galati ha rivelato che Roberto Buzzati, altro brigatista, gli disse che Senzani aveva avuto rapporti col Sismi. Lo stesso Buzzati ha raccontato che un giorno accompagnò Senzani ad Ancona per incontrare un uomo. Al ritorno Senzani gli disse che era uno del Kgb, che sapeva tutto della strage di Bologna e ciò avrebbe consentito di fare dei grandi ricatti. Buzzati disegnò un identikit che “sembrava la foto di Musumeci”, il vicecapo del Sismi. Certo, gli identikit valgono quel che valgono.

E’ invece un fatto certo che Senzani uscì dal processo Moro, perchè il capo del Sismi, Santovito, fece avere una nota nella quale si diceva che Senzani in quei mesi era negli Usa. Cosa mai accertata e smentita dal vicequestore Molinari che indagava su di lui. Lo stesso racconta che, quando a Genova, già nel ’78, indagarono su Senzani, furono bloccati da Roma, tanto che il questore si dimise.

Senzani è un infiltrato dei servizi, della P2, degli americani? Non ci sono prove per dirlo, di certo è un personaggio con tratti di notevole ambiguità.

Non sappiamo neppure se ha davvero avuto un ruolo nella gestione del sequestro Moro. Se l’ha avuto non andava al di là, diciamo così, di quello di consulente. Moretti non prendeva ordini da Senzani, però potrebbe averne subito l’influenza.

Moro e Moretti

Moro, nel primo faccia a faccia con Moretti, manifesta la sua sorpresa: <Perchè avete rapito me? Non sono il presidente del Consiglio>. Il capo delle Br risponde: sì, ma è lei che ha inventato e realizzato il compromesso storico. Moro parla spesso della sua famiglia e chiede insistentemente di poter scrivere alla moglie, ai figli e anche al nipotino. Gli viene concesso, anche se le lettere vengono lette e molte non spedite. In tutto ne verranno recapitate 36 su circa 90 scritte.

Dirà Bonisoli: <Il contatto con l’onorevole Moro aveva permesso a Moretti di toccare direttamente la sua acutezza e sensibilità politica e umana, soprattutto verso la sua famiglia, ma anche verso i suoi amici di partito dei quali parlava, nonostante le dure parole delle sue lettere, quasi con l’attenzione di un padre; come pure lo spirito di voler capire meglio il fenomeno che noi rappresentavamo>.

Pare che Moretti abbia consentito ad un prete di entrare nella “prigione” per dare la comunione a Moro. Lo ha confermato Cossiga, che però non è sempre attendibile. Dunque non è certo. E’ certo invece che don Mennini ebbe contatti coi brigatisti, che non sono mai stati chiariti. Anzi coperti, vista la sparizione delle intercettazioni sul suo telefono. L’impressione è che furono tollerati nella speranza di aprire una via per il rilascio, ma così si tralasciò una possibilità di individuare la prigione

Lettera a Cossiga

Il 29 marzo le Br fanno avere al segretario di Moro una lettera per la moglie, nella quale la rassicura: “sono bene alimentato ed assistito con premura“. E una per Cossiga. Con quest’ultima, concordata con Moretti, Moro avvia il suo personale braccio di ferro con i colleghi di partito, della cui rigidità è rimasto sorpreso. Innanzitutto un avvertimento: prigioniero sono io, ma è tutta la Dc sotto accusa, dunque non potete scaricarmi. Non solo, è tutto lo Stato che rischia <danni incalcolabili – perchè – io mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato… e sono in questo stato avendo tutte le conoscenze e sensibilità che derivano dalla lunga esperienza, con il rischio di essere chiamato o indotto a parlare in maniera che potrebbe essere sgradevole e pericolosa>. In pratica potrei rivelare segreti di Stato e dunque dovete trattare: <un astratto principio di legalità è inammissibile. Molti Stati in passato hanno trattato, giungendo ad esempio a scambi di prigionieri>. Moro chiude la lettera invitando a mantenere la stessa riservata.

Questa è la miglior mossa di Moretti, forse l’unica. Le Br non propongono nessuna trattativa (neppure col comunicato che verrà diramato in serata), ma lasciano che a farlo sia Moro. Da questo momento lo scontro non sarà solo tra lo Stato e le Br, ma anche tra Moro e la Dc.

Il terzo comunicato fa da supporto alla lettera. Scrivono infatti le Br che <l’interrogatorio prosegue con la completa collaborazione del prigioniero…. e le illuminanti risposte di Moro verranno presto rese note al movimento rivoluzionario>. Dunque Moro sta già raccontando quelle cose così pericolose per il “regime”? No, è un mezzo bluff, ma dovrebbe funzionare.

C’è però un piccolo colpo di scena, allegato al comunicato c’è anche la lettera a Cossiga. Moro ci aveva chiesto – scrivono le Br – di tenerla segreta, ma noi non nascondiamo nulla al popolo. Questa scelta fa infuriare Morucci: perchè è chiaro che rifiutare una trattativa riservata, significa rifiutare ogni trattativa.

Non si tratta

Zaccagnini (a destra) assieme a Moro

Evidentemente Moretti è convinto che la lettera di Moro sia un duro colpo per l’avversario, tale da mettere in crisi uno Stato da sempre debole e una Dc sempre pronta a compromessi. Ma ha sbagliato i conti. Infatti il giorno dopo la direzione della Dc respinge ogni ipotesi di trattativa. Il fatto è che ora a sostenere il governo c’è il Pci, irremovibile sulla linea delle fermezza, che ha anche ordinato ai suoi iscritti di combattere nelle fabbriche chiunque simpatizzi con la lotta armata e di collaborare con la polizia.

Alla guida della Dc c’è Zaccagnini, uomo mite, ma anche rigoroso, moroteo però politicamente debole che di fatto lascia ad Andreotti e Cossiga decidere la linea. E poi c’è una parte della Dc che, se Moro uscisse di scena, non piangerebbe.

L’uomo americano

I primi giorni Cossiga aveva chiesto un aiuto agli Stati Uniti, senza ottenerlo. Ma dopo la lettera in cui Moro minaccia di rivelare importanti segreti, Carter ci ripensa e invia un esperto. Steve Pieczemik, un ebreo polacco, psichiatra e pianista, pare che a 8 anni componesse già musica. Ora è un consulente del governo Usa, esperto in terrorismo, trattive e guerra psicologica.

Pieczenik viene inserito, segretamente, nel comitato di esperti, Cossiga anche dopo anni nasconderà la sua presenza. Alloggia all’hotel Excelsior, dove è di casa Gelli, ma questo forse è un caso. La sua strategia è chiara, condivisa dagli altri. Delegittimare e svalutare Moro a figura ormai bruciata e inaffidabile della politica italiana.

Per prima cosa si dichiara che le lettera non sono attribuibili a Moro, le scrive lui, ma sotto dettatura oppure in condizioni di non lucidità. Le Br pensano di avere un asso in mano? Gli va fatto capire che è un asso che non vale più. Lo Stato non concederà nulla per riaverlo.

Il polacco e gli altri prevedono che i brigatisti, di fronte al fallimento dei loro piani, avranno come scelta obbligata quella di ucciderlo, per non perdere la faccia. Moro deve morire per salvare l’Italia, perchè la priorità è la stabilizzazione del Paese, non la sua liberazione. L’uscita di scena di Moro avrebbe un altro effetto importante: bloccare l’accesso del Pci al governo.

L’altra priorità è quella di garantirsi il silenzio delle Br su tutto ciò che Moro ha detto e dirà e recuperare tutto ciò che Moro ha scritto e scriverà.

Pieczenik illustra la sua strategia a Cossiga, che al di là di qualche perplessità, l’accetta. Tanto da predisporre il piano Victor, cioè un ricovero forzato di Moro, nel caso fosse liberato.

Le indagini senza fretta

Il giorno stesso della lettera, Infelisi ordina una perizia sulla foto di Moro recapitata il 18 marzo. Ci sono voluti 11 giorni per fare la cosa più ovvia e scontata. Le indagini, sotto la supervisione del procuratore De Matteo, vanno a rilento [1].

E il capo della polizia si lamenta: <Siamo senza occhi e senza orecchie>. Perchè i servizi non forniscono nessuna notizia utile. In effetti le due principali informazioni fornite da Santovito, capo del Sismi, sono che Moro è prigioniero in un cascinale nel grossetano e che è stato trasportato in Grecia con una nave. Mentre Cossiga manda la polizia in Olanda a parlare con un veggente.

E dire che il giorno prima è arrivata un’informazione che potrebbe portare a una svolta. Una fonte dell’Ucigos, criptonimo Cardinale, ha segnalato il nome di Teodoro Spadaccini, uno della brigata universitaria, ex portantino ora disoccupato [2]. Ma passano 32 giorni prima che la segnalazione arrivi alla Questura, poi altri dieci prima del mandato di cattura, che viene eseguito dopo altri sette, quando Moro riposa già nel cimitero di Turrita Tiberina. E dire che Cardinale è una fonte importante, aveva già fatto scoprire un deposito d’armi e la base dei Nap dove abitava la Mantini.

L’Ucigos si giustifica dicendo che i giorni passati son serviti per controllare Spadaccini. Ma la ricostruzione fornita è confusa, si dice anche che l’informazione in realtà sarebbe arrivata dopo la data del 28 marzo e che il pedinamento era saltuario, per non insospettirlo e che furono pedinati anche altri.

Siamo nel pieno del sequestro Moro, ci sono migliaia di agenti mobilitati, ma non si riesce a pedinare in modo efficace uno, indicato da una fonte affidabilissima come un capo. Spadaccini non è un capo, ma, se fosse stato pedinato davvero, forse le cose sarebbero cambiate, visto che durante il sequestro svolge due compiti importanti, ogni tanto sorveglia la base di via Gradoli ed è uno dei tre che custodisce la Renault rossa.

Gli spiriti e l’appartamento introvabile

Due aprile, domenica, in una casa di campagna vicino Bologna un gruppo di amici, per animare un pomeriggio piovoso, decidono di giocare alla seduta spiritica. E alle anime dei morti chiedono anche dov’è prigioniero Moro. Le anime rispondono, le lettere si compongono e formano tre parole: Gradoli, Viterbo, Bolsena. Alla seduta spiritica non crede nessuno, considerato anche chi sono questi qui. Tutti docenti universitari, che in buona parte diventeranno ministri, sottosegretari e uno anche presidente del Consiglio. Per di più quasi tutti molto cattolici.

E’ chiaro che qualcuno ha pensato a questo escamotage per veicolare un’informazione di cui non si può rivelare la fonte. La conferma è che, due giorni dopo, Romano Prodi ha preso così sul serio quei nomi che va a Roma e riferisce tutto al segretario di Zaccagnini. Il quale prende così seriamente questa storia che telefona subito al segretario di Cossiga, Luigi Zanda, che a sua volta scrive un biglietto e lo spedisce al questore.

Il biglietto con le indicazioni di Gradoli paese

Qui però i fatti si ingarbugliano, perchè gli spiritisti metteranno per iscritto che vennero fuori solo quei tre nomi. L’on Anselmi dice invece che il segretario di Zac, le disse che c’erano anche due numeri 96 e 11, che sarebbero numero civico e interno dell’appartamento di Moretti. Mentre nel biglietto inviato al questore c’è scritto: “Lungo la statale 74, nel piccolo tratto in provincia di Viterbo, in località GRADOLI, casa isolata con cantina”. Il nome Gradoli è diventato località Gradoli, che indirizza le ricerche fuori Roma, e sono stati aggiunti altri dettagli. Ma da dove son saltati fuori? Non certo da una buonanima di defunto.

Sembrerà strano ma non si è mai saputo se fu Prodi a rivelarli o furono aggiunti da qualcun altro. Sta di fatto che la polizia va in quel posto e non trova niente. E qui nuovo colpo di scena, la moglie di Moro chiede a un funzionario di polizia, se hanno controllato che a Roma non ci sia una via Gradoli. E quello risponde che non c’è. Il figlio di Moro dirà che fu lo stesso Cossiga a dare questa risposta.

Mistero ovviamente sulla fonte dall’al di là. Considerato l’ambiente universitario, di cui tutti fanno parte, forse viene dall’ambiente dell’Autonomia, forse da quelli che mantengono contatti con Morucci.

L’unica cosa certa è che per la seconda volta qualcuno cerca di mandare la polizia in via Gradoli, ma inutilmente. Moretti però non se ne preoccupa, già due volte sono arrivati a un soffio dal suo nascondiglio, ma lui non decide di cambiare aria. Per molto meno le Br hanno abbandonato altre basi. Questa sicurezza o imprudenza è molto strana.

E per la terza volta spunta via Gradoli

Non è finita, negli stessi giorni, il capitano Labruna, ex braccio destro di Maletti al Sid, riceve da un suo informatore in Germania, che l’ha saputo da un agente della Stasi, l’indicazione che in via Gradoli ci stanno quelli che hanno rapito Moro. Labruna è sospeso dal servizio, perchè è stato appena condannato per aver depistato le indagini su piazza Fontana, ma passa l’informazione ad un commissario di polizia – così almeno racconta lui – ma senza esito a quanto pare.

Persino la ‘ndrangheta, che spunta di nuovo, sembra sapere qualcosa di via Gradoli. Cazora un giorno viene accompagnato da un compare calabrese nei pressi di via Gradoli e si sente dire: <Questa è una zona calda>.

Pare proprio che tutti sappiano di via Gradoli, tranne coloro che dovrebbero saperlo.

Le richieste di Moro

Il 4 aprile le Br recapitano una nuova lettera di Moro, questa volta per Zaccagini. Tre foglietti di bloknotes a quadretti, scritti con penna blu. E’ una lettera risentita e aspra. C’è di nuovo una chiamata di correità: io pago anche per voi e voi non potete abbandonarmi. Una frecciata a Zaccagnini: <Moralmente sei tu ad essere al mio posto, dove materialmente sono io>; ma anche al Pci: non può dimenticare che io l’ho portato al governo. E poi un’accusa: mi avete lasciato con una scorta non all’altezza. Infine, questa volta più esplicita, la proposta di scambio di prigionieri, con un linguaggio che è già un riconoscimento politico delle Br come soggetto con cui lo Stato deve trattare da pari a pari.

La lettera è accompagnata da un nuovo lungo comunicato delle Br, che comincia con una minaccia: la sentenza del popolo sarà dura e certa. I due scritti sono coordinati, le Br infatti sottolineano l’ipotesi scambio di prigionieri, ma furbescamente precisano che è la proposta di Moro, non la loro, perchè loro non accettano trattative segrete. Le Br pensano di essere così forti che vogliono e si aspettano che sia lo Stato ad offrire la libertà dei “combattenti comunisti”, a capitolare senza nemmeno chiederglielo.

Il comunicato prosegue con una lunga dissertazione sulla rivoluzione imminente e inevitabile, vista l’agonia del capitalismo, sul passaggio ormai avvenuto dalla guerriglia alla guerra aperta, condito con qualche fantasia: “Si sta attuando in tutto il paese, con l’iniziativa delle avanguardie combattenti, il PROCESSO AL REGIME”. E con un monito alle altre formazioni armate: la clandestinità è buona e giusta; solo il Partito combattente, cioè le Br, può guidare la rivoluzione, non i movimenti e i gruppetti armati.

Blocchi stradali durante il sequestro Moro

Nei giorni successivi Moro scrive due lettere alla moglie, con le quali la invita a fare pressioni sulla Dc, sul Papa e a mettere in moto un movimento d’opinione favorevole alla trattativa. Ormai è scontro aperto tra la famiglia e il governo, tanto che la polizia intercetterà e sequestrerà altre lettere.

Ma non cambia niente. Sono passati 21 giorni e la situazione è in stallo totale. Il governo ribadisce la linea della fermezza. E le centinaia poliziotti, carabinieri e agenti segreti continuano a girare a vuoto.

Il secondino

Solo le Br si muovono, alla loro maniera, quella più facile. Il 7 aprile a Genova un nucleo capeggiato da Luca Nicolotti ferisce Felice Schiavetti, presidente degli industriali.

Quattro giorni dopo a Torino entra in azione il solito commando di gambizzatori: Piancone, la sua compagna Nadia Ponti, Acella e Peci. L’obiettivo è un secondino delle Nuove. Dopo aver attaccato il cuore dello Stato si è scesi molto più in basso. Le Br non hanno mai colpito guardie carcerarie, ma ora le carceri o meglio i brigatisti detenuti, sono la questione al centro del sequestro Moro e lì a Torino il processo ai fondatori è giunto alle battute finali.

Lorenzo Cotugno, 31 anni, è un immigrato, sposato con due figli. La moglie fa l’operaia alla Facis, ma quella mattina è a casa, c’è sciopero. Qualcuno ha sparso la voce che sia uno che picchia i detenuti. Hanno dato già fuoco alla sua 126, ma non sono state le Br. Tanto che lui ha chiesto di tornare giù in Sicilia, anzi doveva essere già partito, ma gli hanno chiesto di rimanere ancora qualche giorno. Alle 7 saluta la moglie, che gli ha preparato la colazione e prende l’ascensore.

Piancone e la Ponti lo aspettano sulle scale di cantina, da dove possono controllare l’ascensore. Appena si accende il numero del suo piano, salgono e, come l’ascensore si apre, lui se li trova davanti. Piancone spara con una Beretta 7,65 su cui è montato un silenziatore ricavato da una pompa di bicicletta con lana di vetro. Poi tenta di riarmare la pistola, il caricatore gli cade, allora i due fuggono.

I funerali di Lorenzo Cotugno

Cutugno è ferito alle gambe, ma i colpi non hanno spezzato ossa, riesce a trascinanrsi fuori dal portone e impugna la pistola che ha nel borsello, perchè sapeva che prima o poi sarebbero arrivati. Spara sette colpi, colpisce l’uomo che scapppa e ferisce lievemente la donna. Non ha calcolato che c’è sempre qualcuno a far da copertura e non vede Acella che è alle sue spalle e gli spara due colpi, il secondo in testa da 15 cm. Muore nel giro di pochi minuti, tra le braccia della moglie corsa in strada.

I brigatisti raccolgono Piancone e scappano. Lo portano all’ospedale e spariscono. E’ grave, tre proiettili lo hanno colpito al petto, pancia e coscia, lo operano e si salverà. Ai funerali ci sono migliaia di persone con gli striscioni dei consigli di fabbrica.

Il ginecologo

Prima linea non compie nessuna azione durante il sequestro Moro. Ma a Torino sparano le “Squadre proletarie di combattimento”, una sigla usata dalle squadre di PL. E’ un’azione di giustizialismo femminista. Il 10 aprile due ragazze e tre ragazzi entrano nello studio di un ginecologo, lo legano a una sedia e gli sparano sette colpi alle gambe. Perchè “la cosca medico-mafiosa, forte delle coperture del potere, continua ad usare la medicina come strumento di controllo e di ricatto sui proletari“. Difficile decifrarne il senso. Si sa che lo accusano della morte di una ragazza durante il parto. Non si sa neppure se sia vero, tantomeno se la morte sia frutto di negligenza. Così dicono nel giro e tanto basta. PL a Torino si macchierà di altri delitti frutto di sentito dire o scambi di persona.

I silenzi delle Br

Lo stesso giorno le Br diffondono un nuovo comunicato. Nessuna novità particolare. L’interrogatorio prosegue e Moro sta rivelando <le trame sanguinarie e terroristiche che si sono dipanate nel Paese>. Confermano che <tutto verrà reso noto al popolo>. E, immancabile libera interpretazione della realtà, denunciano <la ferocia repressiva dello Stato>. Il riferimento è agli arresti di un trentina di autonomi, quasi tutti ex Potop, e tutti rilasciati in un paio di giorni. In altro comunicato verranno denunciati <rastrellamenti, stato d’assedio, tribunali speciali, campi di concentramento… una cappa di terrore>.

Allegato vi è un nuovo scritto di Moro. Un duro attacco al collega di partito Taviani, accusato di essere un voltagabbana e di essere legato agli americani. Lo spunto serve a Moro per avanzare un suo sospetto: <Vi è forse, nel tener duro contro di me, un’indicazione americana?>.

La cosa strana è che le Br rendono pubblico l’attacco a Taviani, ormai ritiratosi da qualche anno, e tengono invece nascoste le accuse altrettanto dure di Moro ad Andreotti, che è il capo del governo in carica.

Il 13 aprile la direzione della Dc approva all’unanimità la linea della fermezza, ma parla anche di necessità di non lasciare inesplorata alcuna strada per riavere Moro. Craxi ha cominciato a fare dichiarazioni favorevoli alla trattativa e la Dc cerca di non lasciare al solo Psi la bandiera umanitaria. In pratica è il via libera ad iniziative di soggetti neutrali, come la Croce rossa, l’Onu o Amnesty, che cercheranno qualche contatto, ma senza esito. Alle Br, com’è scontato, non interessa. E’ un cedimento dello Stato e un riconoscimento politico quello che vogliono.

E il voltafaccia delle Br

Due giorni dopo arriva il comunicato numero 6, che sorprende tutti. Il processo è finito e Moro è stato condannato a morte. Ma non è questa la sorpresa, l’annuncio della condanna era scontato, fa parte del rito brigatista, anche Sossi fu condannato a morte. Le Br aggiungono che <Moro ha rivelato turpi complicità…. ha additato con fatti i veri responsabili delle pagine più sanguinose“. Ma, poche righe dopo, scrivono che <non ci sono clamorose rivelazioni da fare…. perchè il proletariato conosce già tutti i segreti della Dc, perchè vissuti sulla propria pelle>. Sembra uno scherzo, una presa in giro. Più avanti confermano che tutto sarà reso noto <ma non attraverso la stampa… bensì…con una divulgazione clandestina>. Che però non ci sarà mai.

Moro, almeno per quel che si è scoperto, non ha fatto rivelazioni clamorose, è vero. Anche perchè non esiste il grande segreto, svelato il quale, il mostro del potere è nudo. Ma alcune cose, sulle quali la propaganda brigatista avrebbe potuto giocare abbondantemente, le ha dette. Ad esempio, sulle stragi ha parlato di responsabilità di stati esteri ed anche di indulgenze e connivenze di organi dello Stato e della Dc”. Ha lanciato pesanti accuse ad Andreotti. Ha accennato, seppur in maniera vaga e parziale, all’esistenza di Gladio, sino a quel momento un supersegreto. Eppure sembra che alle Br non interessi più. Cosa è successo tra il 10 e il 15 aprile che ha prodotto questo dietrofront, perfettamente in linea con uno degli obiettivi di Pieczenik?

C’è stato l’inizio di una trattativa segreta? Oppure qualche avvertimento convincente? O qualche suggerimento di qualche “consulente” che ruota attorno alle Br? Non lo sappiamo. Sappiamo però che qualcuno che segue da vicino il sequestro, ancor prima che avvenisse, c’è.

Hyperion

Simioni e gli altri del “Superclan”, che si sono trasferiti a Parigi e vi hanno aperto una scuola di lingue, l’Hyperion, a dicembre 77 aprono sedi a Roma e Milano e a giugno 78 le chiudono. Poco prima e subito dopo il sequestro Moro. Nello stesso periodo Simioni, colui che Curcio e Franceschini avevano bollato come agente Cia, passa molto tempo in Italia. Una bella coincidenza.

Ma su Simioni non ci sono solo i sospetti dei due fondatori delle Br. C’è di più. Nel 79 il giudice Calogero decide di indagare su questa Hyperion, ma gli viene impedito dal Sisde, dalle autorità francesi e pure da quelle inglesi. Un bello schieramento a protezione di Simioni & C.

Vanni Mulinaris al centro, tra Curcio e Rostagno, in una vecchia foto del ’68

I poliziotti, mandati a Parigi da Calogero, scoprono che Hyperion ha una seconda sede in una villa a Rouen, in Normandia. Tentano di fare intercettazioni telefoniche e ambientali. Ma è impossibile, la villa è protetta da un triplice anello di sensori molto sofisticati; una struttura superprotetta che solo un servizio segreto può mettere in piedi. E’ a questo punto che il Sisde fa pubblicare dal Corriere della Sera, controllato dalla P2, un articolo che rivela l’indagine in corso. Interviene il governo francese che rispedisce a casa i poliziotti italiani.

Stessa cosa avviene a Londra, dove Hyperion ha un’altra sede. Qui i poliziotti italiani trovano la loro camera d’albergo “svaligiata” da ladri che non rubano niente. E Scotland Yard li invita a tornarsene a casa.

Altra curiosa coincidenza, negli stessi giorni arriva a Parigi il numero due del Sisde, Silvano Russomanno, ex nazista, ex braccio destro di D’Amato e inventore della pista Valpreda, che ricomparià due anni dopo nella storia delle Br, di nuovo come loro protettore.

Calogero si convince che Hyperion è una struttura di collegamento internazionale del terrorismo, che «gravita nell’orbita della Cia». Che questa sia la sua funzione ha trovato altre conferme, relative a traffico di armi, rapporti coi palestinesi e altri gruppi armati come Eta, Ira, Raf, rifugio e protezione per terroristi in fuga. Galati, un brigatista veneto, ha raccontato che Savasta gli disse che <la rete francese che ospitava i latitanti faceva capo all’Hyperion>.

Che sia legata alla Cia è solo un’ipotesi, qualcun altro ha ipotizzato sia legata invece all’Urss. Ma di sicuro è legata al governo francese, vista la protezione di cui gode. Uno degli uomini che vegliano sull’Hyperion è l’abate Pierre, fondatore di Emmaus e zio di Francois Tuscher, una fedelissima di Simioni, uomo molto potente in Francia. Una conferma definitiva dei rapporti con lo Stato francese arriva quando Simioni, alcuni anni prima di morire, viene insignito di uno degli ordini più importanti della Repubblica francese.

Lo stesso Simioni che nel febbraio 78 confida ad un suo adepto che: <
noi siamo alla testa delle Br, abbiamo dei compagni in funzione di comando all’interno delle Br>. Una millanteria? Potrebbe anche essere, ma è curioso che i due brigatisti che hanno in mano Moro sono i due che all’inizio delle Br furono più vicini a Simioni

Che Moretti abbia conservato dei rapporti con gli ex del Superclan è confermato da più testimonianze. Sempre Galati ha riferito che: <Moretti era sempre rimasto legato a Mulinaris, Berio e Simioni. Nella primavera del 79 mi disse che Mulinaris serviva per contatti a livello internazionale e per procacciare armi>. Infatti sarà l’Hyperion a fare da intermediario tra Moretti e l’Olp. E ancora: <Un giorno dalla radio apprendemmo dell’indagine di Calogero. Moretti ebbe una brutta reazione e si chiese come avevano fatto ad arrivare fin lì, fino ai«compagni di riferimento a Parigi>.

Ed è a Parigi che Moretti, dopo il sequestro Moro, va spesso. Tanto che a novembre incarica Brogi, l’ex Ucc che ora fa lo steward dell’Alitalia, di affittare un appartamento. Dove a volte si reca con la Braghetti, che forse eccitata dall’aria parigina, si dà alle pazze spese, tipo 100 franchi per mangiare, facendo arrabbiare Moretti che non sa come giustificare quelle spese.

Il contatto a Parigi è un certo Louis, il cui telefono è così riservato che viene mandato a memoria da Moretti ed è a conoscenza solo di un altro brigatista, Guagliardo. Un altro uomo a Parigi, legato a Hyperion, con cui le Br sono in contatto è Paul, alias Jean Louis Baudet, strano personaggio che traffica in armi. E’ uno di “Action dirette”, le Br francesi, ma quando nell’83 viene arrestato, come prima cosa chiede di telefonare a un assistente di Mitterand, un certo Grossouvre, uomo della Gladio francese e consigliere per le operazioni segrete di Mitterrand.

Un giorno Dalla Chiesa dirà: <
ma com’è possibile che Moretti vada avanti e indietro dalla Francia in aereo e nessuno se ne accorga?>.

E’ possibile che Moretti fosse inconsapevole della natura di questa strana scuola di lingue e del ruolo di Simioni? Non lo si può escludere. Anche se certo non era un ingenuo e Savasta ha testimoniato che Moretti una volta disse di sapere che quelli dell’Hyperion godevano di protezioni.

g.g.

[1] Questo De Matteo è un magistrato di destra, amico e protettore dei fascisti, che l’anno dopo verrà incriminato per aver passato informazioni riservatissime ai Nar, che contribuirono a portare all’uccisione del giudice Amato. Sarà salvato dall’amnistia

[2] L’Ucigos (Ufficio centrale Investigazioni Generali ed Operazioni Speciali) ha preso il posto del vecchio Ufficio Affari Riservati e coordina il lavoro delle Digos locali.

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