Capitolo precedente: 25) Moro, la prigionia e l’appartamento introvabile

Il 18 aprile

E’ il trentennale della storica vittoria della Dc sulla sinistra, che diede inizio ai 30 anni di potere democristiano. Qualcuno teme che le Br scelgano questa ricorrenza per eseguire la sentenza di morte. Ma le Br non ci pensano neppure. Moretti si è alzato presto, alle 7 è partito per Firenze.

Poco dopo le 8 l’inquilina del piano di sotto si accorge che dal soffitto cola acqua e chiama i pompieri che, entrati in casa dell’ing. Borghi dal balcone, restano sorpresi.

L’infiltrazione è provocata dalla doccia a telefono della vasca, lasciata aperta e puntata contro un punto tra vasca e muro dove mancano 20 cm di stucco. Ma siccome una doccia a tubo, come quella, se aperta non sta ferma, c’è anche una scopa messa in modo da tenere il getto rivolto verso il muro. Insomma qualcuno ha provocato apposta l’infiltrazione. E che si tratti di una messa in scena risulta chiaro, perchè su un tavolo c’è un pacco di volantini in bella vista e in camera da letto armi sparse sul pavimento e sul letto, così che sia chiaro che quello è un covo brigatista.

Armi ed esplosivi trovati in via Gradoli

Nel giro di un paio d’ore la notizia è già arrivata alla stampa. E Moretti, che alle 13 guarda il tg, esclama: : <Cavolo, ma quella è casa mia. Pensa te, questa mattina sono uscito da lì e se non vedevo la televisione tornavo lì e mi arrestavano>. E così per l’ennesima volta è sfuggito all’arresto.

Ma perchè è stata diffusa la notizia e non si è aspettato il ritorno del capo delle Br e della Balzerani? La polizia si giustifica col fatto che i pompieri avevano attirato molti curiosi. E’ un po’ una scusa, perchè si poteva dire che era stato un falso allarme e comunque non passare la notizia alla stampa. E invece no, anche questa occasione è bruciata. Via Gradoli è proprio stregata.

Chi è stato a far scoprire la base? Qualcuno ipotizza che sia stato Morucci, da qualche tempo in contrasto con Moretti. Che a sua volta è convinto che Morucci sia ancora in contatto con i vecchi di PotOp, sia cioè una specie di emissario di Piperno nelle Br. Quel Piperno che, assieme ad altri come Scalzone, non ha mai abbandonato l’idea di diventare il cervello politico delle Br. Perchè i brigatisti son bravi a sparare, ma di acume politico ne hanno poco. Infatti hanno fatto un sequestro perfetto, ma ora non sanno come gestirlo.

Facendo arrestare Moretti il peso di Morucci nelle Br romane sarebbe molto cresciuto e dunque anche quello di Piperno . Un’altra ragione per pensare a Morucci, visto che la porta dell’appartamento non è stata forzata, è che ha abitato lì per alcuni mesi e potrebbe avere ancora le chiavi. E c’è un altro particolare. Davanti al covo allagato arriva una moto Honda con un uomo e una donna, si ferma qualche minuto poi se ne va. Anni dopo Morucci chiederà di eliminare questa presenza dalla sceneggiatura di un film. Forse era un dettaglio attraverso il quale risalire agli autori dell’infiltrazione?

Un’altra ipotesi è che sia stato qualcuno nella polizia o nei servizi, forse anche stranieri, in disaccordo con coloro che, nonostante le soffiate, non vogliono ficcare il naso in via Gradoli. Oppure vicerversa, coloro che sapevano di quella base da tempo e hanno voluto lanciare un avvertimento a Moretti. Del tipo: sappiamo dove stai e potremmo sapere anche dove tieni Moro, possiamo prenderti, ma non lo facciamo in cambio di qualcosa, ad esempio quanto Moro ha detto e scritto. Ipotesi, sempre solo ipotesi, certo.

Moretti ha sempre sostenuto che la perdita d’acqua fu solo un incidente dovuto alla distrazione mattutina della Balzerani. Così distratta da lasciare l’acqua aperta, mettere distrattamente una scopa a tener ferma la doccia e spargere le armi sul pavimento.

Se fosse vera l’ultima ipotesi, si può capire che Moretti neghi ogni anomalia, ma stupisce che non pensi di spostare Moro da via Montalcini. Se sanno dove abitava, possono averlo pedinato. Se fosse vera la prima invece stupisce che Moretti non abbia avuto il sospetto e non abbia fatto indagini. Per uno scherzo del genere nelle Br si paga con la vita. Stupisce ancor di più che sia lui sia Morucci attribuiscano l’allagamento (oltre che alla distrazione della Balzerani) ad una vecchia perdita, già segnalata anni prima all’amministratore, fingendo di non sapere che non si tratta di un tubo che perde, ma di un rubinetto lasciato aperto.

Il lago

Ma non è finita. Il 18 aprile è un giorno cruciale del lungo sequestro Moro. Negli stessi minuti nei quali i pompieri entrano a via Gradoli, la solita telefonata annuncia un nuovo comunicato delle Br, il numero 7. C’è scritto che Moro è stato giustiziato “mediante suicidio”, e che il suo corpo è stato affondato nel lago della Duchessa, a Cartore di Rieti.

Sommozzatori alla ricerca del corpo di Moro nel lago della Duchessa

Più di un dirigente della polizia ed anche il pm Infelisi giudicano subito il comunicato un falso, anche piuttosto maldestro. Ma Cossiga dice che i suoi esperti assicurano sia autentico. E così si organizza una grande battuta in cima all’Appennino, dove è ancora così freddo che il piccolo laghetto è tutto ghiacciato. Elicotteri, sommozzatori, autorità varie, che ovviamente non trovano nulla. E’ la seconda messinscena del giorno.

A scrivere il falso comunicato è stato Chicchiarelli, un falsario legato alla banda della Magliana, ma anche in buoni rapporti con i servizi segreti. L’idea di un falso comunicato era stata di Claudio Vitalone, un magistrato ed anche consigliere fidato di Andreotti. Ma era stata bocciata e abbandonata. Ora è stata ripresa. E’ lo stesso Pieczenic ha spiegare da chi e perchè: <Abbiamo discusso con Cossiga e alcuni esponenti dei servizi segreti italiani di cui ci fidavamo. Bisognava preparare l’opinione pubblica italiana e europea a un eventuale decesso di Moro>.

Ma il comunicato è qualcosa di più, è un messaggio chiaro alle Br: potete uccidere Moro, per noi non è un problema, l’abbiamo già messo in conto.

Lo scambio

E Moretti & C lo capiscono. Dirà Francesco Piccioni: <Prima di quel falso comunicato pensavamo che si potesse aprire uno spiraglio…. Quella messinscena ci dimostrò che nessuno voleva trattare>. E conferma Franceschini: <Dopo quel giorno i compagni fuori ci fanno sapere: “Qui non c’è più niente da fare, dobbiamo chiudere“>.

Anche Moro lo ha capito e definisce l’imponente sceneggiata del Lago della Duchessa <
la macabra grande edizione della mia esecuzione>.

La convinzione con la quale le Br avevano deciso il sequestro, cioè che lo Stato avrebbe trattato, si va sgretolando. E dunque resta solo una via d’uscita, perchè tutti si sono detti e si ripetono: questa volta non finirà come con Sossi

Impossibile dire se l’acqua e il lago siano parti di uno stesso piano, di certo però hanno l’effetto di costringere le Br a venire allo scoperto e fare un tentativo per vedere se il fronte governativo è davvero compatto. Due giorni dopo distribuiscono il vero comunicato numero 7, con una foto di Moro che mostra la Repubblica del 19. E finalmente propongono uno scambio: la liberazione dei prigionieri comunisti in cambio della vita di Moro. Se entro 48 ore non ci sarà una risposta, Moro sarà ucciso. E’ la risposta al falso comunicato: noi non lo vogliamo morto, vogliamo trattare.

La risposta arriva dopo 24 ore, il 21 aprile. La Dc conferma la <indefettibile fedeltà allo Stato, alle sue istituzioni, alle sue leggi>.

Di Cataldo

Nel frattempo le Br hanno deciso di accompagnare la loro richiesta con altro sangue. L’obiettivo è direttamente connesso col braccio di ferro su Moro: le carceri. A Milano il 20 aprile, alle 7 del mattino, un commando aspetta il vice comandante delle guardie di S.Vittore, Francesco Di Cataldo, sulla strada che tutte le mattine percorre a piedi per andare alla fermata del bus. E’ disarmato e fa sempre la stessa strada, è un obiettivo comodo. Due giovani gli si fanno incontro e uno gli spara sette colpi, di cui due alla testa per esser sicuro che sia morto. Altri due li aspettano in auto. In un primo momento doveva essere gambizzato, all’ultimo si è deciso di ucciderlo. Non è chiaro se le Br pensino in questo modo di spingere la Dc a trattare. Tra l’altro a capo della colonna milanese ci sono due dell’esecutivo: Azzolini e Bonisoli.

Il corpo di Di Cataldo

In cinque hanno preparato l’agguato, sono andati anche ad allenarsi a sparare in una cava in val Brembana. Antonio Savino e Valerio De Ponti, due brigatisti storici, il secondo già arrestato nel 74, tornato poi in libertà; Giuseppe Piccolo operaio Sit Siemens; Sergio Tornaghi appena ventenne, operaio alla Marelli. All’ultimo però Piccolo si è tirato indietro, aveva già sparato un anno prima a un altro uomo e non vuole più farlo. Il quinto è Pasqua Aurora Betti, entrata da poco nelle Br, si è buttata nella militanza tardi nel 76, che aveva già 30 anni. E’ figlia di un muratoree i due fratelli sono operai. E’ una bella ragazza, aveva provato a fare l’hostess poi è finita a insegnare lettere in un istituto commerciale. Lasciato a terra morto quell’uomo è corsa a scuola. Un sesto, Rino Cristofoli, aveva partecipato ai pedinamenti.

La rivendicazione sputa addosso a Di Cataldo la solita sequela di insulti e slogan truculenti: “torturatore di detenuti”, “il principale responsabile di tutti gli assassinii diretti e indiretti in carcere”. Ma i brigatisti non sanno chi sia questo immigrato che vive in un quartiere popolare, per loro è solo un simbolo, serviva uno per dare carne e ossa ai loro teoremi. In realtà il maresciallo era benvoluto dai detenuti, alcuni tornati liberi andavano a trovarlo a casa, tanto che fanno deporre, pagate con una colletta, due corone di fiori al funerale, un gesto senza precedenti. E dalle celle sventolano fazzoletti bianchi in suo saluto.

Sparano anche i Cocori

Due giorni dopo viene ferito a una gamba un docente di filosofia, Ennio Riondato, nell’atrio dell’università di Padova. Non sono state le Br, ma i Cocori, che non sono dei gambizzatori abituali, ma ogni tanto ci vuole, e non usano mai il loro nome. Questa volta si firmano “Nuclei combattenti per il comunismo”. A sparare son venuti due da Milano Palmero-il Sergente e Balducchi. Uno spara, l’altro aspetta su una lambretta.

Lo hanno fatto non per dare una mano alle Br, al contrario: <per indicare un metodo di azione diverso dal loro>. Alla gente comune la differenza sfugge. La logica è: non si attacca lo Stato, ma chi ti sfrutta nella società. Riondato è anche presidente della Cassa di risparmio e loro lo accusano di speculazione edilizia.

Sempre a Padova il 13 aprile, i Collettivi politici mettono in scena una nuova notte dei fuochi, colpendo vari obiettivi con 14 attentati. Il loro nucleo armato spara contro la casa del giudice Calogero e dà fuoco all’auto del capo della Digos, coloro che avevano condotto la prima inchiesta sull’attività squadristica dei Cpv, che però il giudice Palombarini ha archiviato.

I prigionieri

Il 24 aprile di ore ne sono passate 96, ma non c’è stata nessuna esecuzione. In un nuovo cominicato le Br non parlano più di ultimatum, dicono che la risposta della Dc non è chiara e ribadiscono la loro richiesta. Nel frattempo si sono moltiplicati gli appelli per la liberazione di Moro, compresi quelli del Papa e dell’Onu. E soprattutto il Psi si è dichiarato favorevole a una qualche concessione dello Stato, rompendo così il fronte della fermezza. Forse per questo le Br fingono che la risposta della Dc non sia chiara, sperano si apra uno spiraglio e precisano la loro richiesta: la liberazione di 13 detenuti. Tre della 22 Ottobre, tre dei Nap, sei brigatisti compresi Curcio, Franceschini ed anche Piancone. Più Sante Notarnicola, un vecchio rapinatore di fede comunista, di cui le cronache a suo tempo si occuparono molto.

Col comunicato c’è anche una nuova lettera di Moro a Zaccagnini, che si chiude con la richiesta che al suo funerale non ci siano uomini di Stato e politici. Forse un disperato tentativo di smuovere la Dc o forse un segnale di disperata rassegnazione.

I mandati di cattura, ma il nome di Moretti è sparito.

Nel frattempo Infelisi ha pronti alcuni mandati di cattura. Ma il 20 aprile il procuratore generale li blocca, prima deve consultarsi con Andreotti e Cossiga. La giustificazione è che le Br potrebbero irritarsi mettendo così a rischio la vita di Moro, meglio aspettare. Il 24 però arriva il via libera, non è chiaro cosa sia cambiato in quei 4 giorni.

Mario Moretti

I mandati sono nove, non sono frutto delle indagini, dopo 40 giorni se ne sa come il primo. I nomi sono quelli delle vecchia sgangherata lista diffusa all’inizio, sfrondata, ma non certo migliorata: cinque su nove infatti non c’entrano nulla con le Br. Tre nomi ci sono solo perchè qualche giorno prima dell’agguato hanno rapinato un armeria a Viterbo, dunque sono sicuramente brigatisti, appartengono invece alle Fcc. Ci sono ancora Alunni e la Ronconi, ma sono scomparsi alcuni nomi importanti come Micaletto e Azzolini. Ma soprattutto è incredibilmente scomparso il nome di Moretti. Non si sa chi ha deciso di toglierlo, forse qualcuno sta trattando con lui ed è meglio lasciarlo tranquillo?

Moretti è noto come un capo brigatista sin dal 1972. C’è più di un rapporto sul suo conto al Viminale, compreso uno dell’Ucigos recentissimo, che lo definisce “molto pericoloso” e “uno dei capi delle Br“. E non solo, la scoperta di via Gradoli ha portato all’identificazione di Moretti, grazie al riconoscimento della calligrafia di alcuni appunti e al ritrovamento di una divisa da pilota. Dunque si sa anche che era a via Fani. Eppure il suo nome inspiegabilmente non c’è. E quando, ucciso Moro, il capo della polizia proporrà di mettere una taglia sui principali brigatisti, di nuovo il suo nome incredibilmente non ci sarà. La fortuna di Moretti tocca ormai vertici impensabili.

E nessuno indaga davvero

Trovare Moro non è facile. I brigatisti hanno organizzato la cosa bene, come già con Sossi del resto. Solo quattro persone sanno e stanno nella prigione. Due, la Braghetti e Maccari, sono insospettabili, del secondo si scoprirà l’identità solo dopo 20 anni. Gallinari è noto, ma sta tombato nell’appartamento. L’unico che va e viene è Moretti, ma è talmente fortunato che sparisce anche dai mandati di cattura.

Dai servizi segreti stranieri non arriva alcun aiuto. Forse anche loro non ne sanno nulla. Però è certo che nè la Cia che non gradisce il compromesso storico; nè il Kgb che lo gradisce ancor meno (tenterà anche di uccidere Berlinguer); e nemmeno il Mossad, che non gradisce per nulla la politica filoaraba di Moro, hanno a cuore la sorte del presidente della Dc.

Però trovare altri brigatisti non sarebbe impossibile. Molti di loro hanno alle spalle una lunga carriera di estremisti, sono noti alla polizia e soprattutto sono noti, come brigatisti, a un po’ di gente del movimento. Sembra quasi impossibile che la polizia non abbia un infiltrato, un informatore, un contatto in questo ambiente, che fornisca qualche nome, qualche indizio.

Seghetti verrà fermato e casa sua perquisita, ma subito rilasciato senza essere più tenuto d’occhio. E dire che qualche piccolo sospetto poteva suscitarlo. Nel 75 Seghetti aveva i capelli lunghi, un aria da indio, vestiva come vestivano quelli della sinistra rivoluzionaria, improvvisamente nel 76 si taglia i capelli, si veste bene, non frequenta più il giro degli estremisti, si sposta solo in bus e metro e per andare in un posto prende autobus che vanno nella direzione opposta per poi prenderne altri e andare dove deve. Ma nessuno ha pensato di pedinarlo.

<Noi eravamo molto preoccupati – dirà la Faranda – mi sono anche interrogata ogni tanto: ma è possibile che non ci trovino?> E lo avevano anche messo in conto. <Se ci avessero trovati, uno dei quattro sarebbe entrato armato nella cella con Moro e da lì avrebbe trattato con la polizia>.

Autonomi e Cocori per la liberazione di Moro

Alle Brigate rosse arrivano appelli anche da alcuni gruppi dell’Autonomia, che premono perchè non facciano l’errore politico di eseguire la sentenza di morte. I Cocori incaricano Scalzone di far sapere alla Br che loro sono per la liberazione di Moro.

Ma è Craxi colui che concretamente sta tentando di trovare una via d’uscita. Il 26 aprile propone un gesto unilaterale di clemenza dello Stato: la scarcerazione di un paio di detenuti, non macchiatisi di delitti di sangue.

Al di là di motivazioni umanitarie a far muovere il leader del Psi c’è anche un calcolo politico. Craxi è diventato segretario dopo la vittoria del Pci alle elezioni del 76, per risollevare il partito da una china che lo stava portando all’irrilevanza. Il primo obiettivo è far fallire il compromesso storico e rimandare il Pci all’opposizione. L’intransigenza su Moro è l’espressione massima del compromesso storico e dunque il Psi non può che cercare di rompere quel muro.

Qualche giorno dopo Moro in una lettera invita Craxi a insistere nella sua proposta. Visto che Moro non vede Tg nè legge giornali e le sue lettere ricevono l’ok di Moretti, è chiaro che le Br vedono con favore la mossa di Craxi, almeno come primo passo per sbloccare la situazione.

E intanto le Br continuano a sparare

Saranno anche favorevoli, ma in un momento così delicato decidono di continuare a sparare e di colpire la Dc. Il 26 aprile in quattro aspettano Girolamo Mechelli, consigliere regionale. A sparargli alle gambe è Marcello Capuano, figlio di un maresciallo di Ps, studente di Sociologia: <Dopo il colpo di Stato in Cile ho capito che con la legalità non ottieni nulla>. Faceva già parte del nucleo armato di Viva il comunismo, quasi tutto confluito nelle Br. Vicino a lui c’è la Balzerani, a qualche metro c’è Savasta che imbraccia un fucile a pompa. Su una Dyane 6 li aspetta Salvatore Ricciardi. Lo chiamano “il vecchio”, perchè ha già 38 anni. Lavora in ferrovia, era nel Psiup e nella Cgil, poi esplode il 68 e fonda il Cub dei ferrovieri, nel 77 entra nelle Br.

Il giorno dopo a Torino spezzano le gambe a Sergio Palmieri, un capoufficio della Fiat, che aspetta l’autobus. In tre scendono da una 128. Uno è Panciarelli, un veterano della gambizzazione. Sono un uomo e una donna a sparare. La gente tenta una qualche reazione, ma viene minacciata con le armi

L’ultima speranza di Moretti

La situazione non si sblocca. Le Br sono in un vicolo cieco, l’uccisione di Moro vorrebbe dire aver fallito l’obiettivo, ma liberarlo farebbe perdere ogni credibilità. Nell’esecutivo tutti sanno che esiste solo la prima opzione, ma non è una scelta facile e così si decide una consultazione interna.

Moretti è il più consapevole che l’esecuzione dell’ostaggio sarebbe una sconfitta politica e decide autonomamente di fare un ultimo tentativo.

Moro con la moglie Eleonora

Il 30 aprile, da una cabina della stazione Termini, chiama la moglie di Moro, anche se il telefono è sotto controllo e può essere imprudente. Fuori ci sono Faranda, Morucci e Balzerani di copertura. La voce tradisce tensione e nonostante il contenuto sia freddo e duro, è chiaro che è un disperato tentativo di uscirne fuori, di ottenere qualcosa. <Nelle prossime ore non possiamo fare altro che eseguire ciò che abbiamo detto…. solo un intervento diretto, immediato, chiarificatore, preciso di Zaccagnini può modificare la situazione. Se ciò non avviene, rendetevi conto che non potremmo fare altro che questo. Mi ha capito esattamente?….l’abbiamo fatto semplicemente per scrupolo, nel senso che, sa, una condanna a morte non è una cosa che si possa prendere alla leggera, neanche da parte nostra>.

Moretti non parla di prigionieri da liberare, chiede solo che la Dc accetti un confronto con le Br, su cosa arrivare ad uno scambio si vedrà. Basterebbe un riconoscimento politico a sospendere l’esecuzione.

Il governo dice no

Craxi va da Zaccagnini e propone di dare la grazia, per ragioni di salute, a due terroristi malati e di annunciare una riforma del regime carcerario. Zaccagnini vive un dramma personale, non sa che fare, nella Dc comincia a levarsi qualche voce favorevole a una trattativa. Tutto quello però che ne viene fuori è la promessa che se liberano Moro, lo Stato sarà clemente. Davvero troppo poco per le Br. Anche perchè contemporaneamente la Dc, a cui si è rivolto Moretti, chiede invece che sia il governo a muoversi. E il 4 maggio il governo risponde che la linea resta quella di non derogare alle leggi, cioè un no. Andreotti e Cossiga sono irremovibili.

Che il Pci lo sia è inevitabile. Oltre alla convinzione che un cedimento aprirebbe le porte a un’escalation che minerebbe le fondamenta dello Stato, il Pci, che dopo decenni di “esilio” politico è entrato nelle istituzioni, non può in alcun modo rischiare di essere accusato di aiutare le Br. Già c’è chi dice che i brigatisti vengono dall’album di famiglia del Pci. La prima a scriverlo è stata la Rossanda, ma ora a dirlo sono gli stessi che hanno favorito lo sviluppo del terrorismo proprio per mettere in difficoltà il Pci.

I vecchi in carcere

Intanto Craxi ha avviato due contatti con le Br. A Torino con il nucleo storico, tramite l’avvocato dei brigatisti, Giannino Guiso, che è un socialista. Loro sono favorevoli ad ogni tentativo di trovare una via d’uscita, ma dicono che possono far poco, sono tagliati fuori dalla gestione del sequestro. Sono favorevoli anche perchè hanno qualche timore. Craxi ha fatto dire a Guiso, che se Moro viene ucciso non si sa cosa può accadere ai brigatisti in carcere. Insomma, ricodatevi Stammheim. Al “suicidio” collettivo forse non credono, ma qualche ritorsione è possibile. Non sanno che un paio di anni dopo i servizi segreti chiederanno agli uomini di Turatello di uccidere i capi Br in carcere. Ma quelli rifiuteranno.

Oltre ai timori, Franceschini ha anche qualche dubbio morale: <Pensavo: io sono in carcere e lo Stato non mi ammazza; noi invece ammazziamo nel nostro carcere Moro. Quindi anche da un punto di vista etico questo Stato è certamente meglio dell’altro Stato che io vorrei affermare>. Questo è quel che dirà molti anni dopo, qualche giorno dopo invece pronuncerà parole molto diverse.

Alla fine a Guiso rispondono che se c’è una dichiarazione pubblica sulla chiusura dell’Asinara loro son disponibili a dire in aula che Moro va liberato. A quel punto per quelli fuori sarebbe difficile dire no.

Franceschini e Curcio sono dibattuti, perchè da un lato sono sempre più critici, soprattutto il primo, con la gestione Moretti. Pensano che la sempre maggiore militarizzazione sia un errore e ipotizzano la creazione di organismi di massa diretti dalle Br che pratichino anche forme legali di lotta. Ma dall’altro sperano che il sequestro Moro possa tirarli fuori dal carcere.

Metropoli e il Psi

L’altro canale a cui lavora Craxi è con Morucci, attraverso Piperno e Pace. In questo caso hanno contattato loro il Psi. I due ex leader di PotOp hanno sempre mantenuto contatti con Morucci e il Psi ha sempre coltivato buoni rapporti con costoro. Da qualche mese Piperno, Pace e Scalzone, assieme ad altri vecchi leader di Potere operaio stanno lavorando ad una nuova rivista (Metropoli) che funzioni come «polo aggregante» del frammentato movimento rivoluzionario, inserendo «il discorso della lotta armata su un terreno più consistente ideologicamente, più progettuale». Vale a dire «proporre un altro livello di scontro, che non sia solo quello dell’omicidio politico sistematico», senza rinunciare però alle armi e all’illegalità.

E’ la vecchia idea che queste persone coltivano sin dai primi anni 70: fornire un cervello politico e una guida teorica alle armi. I tre hanno cercato di coinvolgere nel progetto tutti: da Prima linea alle Br, da Rosso ai Volsci a tutta l’Autonomia. Tutti hanno rifiutato, le Br sdegnosamente: i soliti professorini che ci vogliono insegnare.

Il progetto è finanziato con le rapine, fatte soprattutto dai nuclei armati dei Cocori di Scalzone. Maurizio Costa, uno dei capi, si lamenta di aver dato a Scalzone circa cento milioni, ma di non aver visto ancora nessuna rivista. Anche le Ucc di Guglielmi hanno dato 20 milioni.

Franco Piperno e l’on. Mancini

Ma arrivano anche soldi puliti. Lo stesso gruppo, guidato da Piperno, ha fondato un centro di ricerche, il Cerpet. Che oltre a fare ricerche deve provvedere alla formazione dei quadri del futuro partito. Con il Cerpet collabora anche Ceriani Sebregondi, il capo delle Fcc del Sud. Ma la cosa interessante è che questo Cerpet è nato anche per l’interessamento del senatore socialista Landolfi, tanto che la prima sede ha lo stesso indirizzo del suo ufficio. E grazie alle sollecitazioni di Landolfi e del ministro Mancini, al Cerpet sono state commissionate ricerche dalla Montedison e dal Formez. Indirettamente il Psi finanzia Piperno e Scalzone e certo non può ignorare chi sono queste persone. Una di loro ad esempio, Libero Maesano, nel 74 era stato arrestato al confine assieme a Morucci, con l’auto piena di armi.

Non è l’unico episodio che testimonia la benevolenza di alcuni esponenti del Psi verso quest’area politica. Quando per qualche mese è stata chiusa la sede dei Volsci, due sezioni del Psi hanno offerto ospitalità. Non è fantasia inserire tutto ciò nella strategia anti Pci di Craxi.

Metropoli uscirà in ottobre con un famoso editoriale di Piperno, nel quale si legge che: <…. l’uccisione di Moro era mossa obbligata pena la perdità di credibilità… . è possibile un salto di qualità ove la violenza politica si radicalizzi dentro la nuova spontaneità praticando alcuni obiettivi di massa…. coniugare la terribile bellezza di quel 12 marzo 77 per le strade di Roma con la geometrica potenza dispiegata in via Fani diventa la porta stretta attraverso cui può crescere o perire il processo di sovversione in Italia>.

La trattativa

E’ chiaro dunque che Piperno e Pace non fanno solo da intermediari, giocano una loro partita, che è quella di spingere le Br ad una visione politica di maggior respiro, di evitare le secche ultramilitariste e di <consegnare un’azione di siffatta potenza ad un obiettivo minimale, quasi privato, ed insieme tutt’altro che realistico: la scarcerazione di alcuni detenuti politici>. Innanzitutto dunque Moro va liberato.
Piperno e Pace incontrano più volte Morucci, sempre in luoghi pubblici. La cosa non è un segreto, ma nessuno pensa di pedinare i due.

Ma la risposta delle Br, tramite Piperno, è quella già data da Moretti: un atto di clemenza non basta, la Dc deve riconoscerci come interlocutori politici. Anche se, dirà la Faranda, di fronte a una grazia avremmo avuto qualche difficoltà.

Il vicolo cieco

Le Br si sono infilate in un imbuto da cui non riescono ad uscire. Sono bloccati sulla richiesta di liberare i compagni prigionieri. Non hanno l’acume politico per venir fuori dall’impasse, continuano a giocare una partita tutta autoreferenziale. Potrebbero sparigliare avanzando un’altra richiesta, non per loro stessi, ma per il proletariato. Ad esempio chiedere in cambio di Moro aumenti salariali per tutti o qualcosa del genere. Metterebbero in difficoltà il governo, che forse risponderebbe ugualmente di no. Ma almeno conquisterebbero qualche consenso e simpatia. Ma il consenso è una parola incomprensibile per i brigatisti. Quello di farsi rappresentanti delle masse e quindi farsi carico di un dialogo con le stesse, non rientra nel loro angusto orrizzonte politico. Come traspare anche dalla truculenta e sciocca rozzezza dei loro comunicati.

Il 4 maggio la consultazione dei militanti si è conclusa: tutti a favore dell’esecuzione tranne i soli Morucci e Faranda.

g.g.

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