Palestinesi e Kgb
Non ci sono solo i baschi a dare una mano, ci sono anche i palestinesi. In agosto i Cocori organizzano un viaggio in Libano per acquistare armi. A fare tutto è Maurizio Folini, soprannominato Corto Maltese per la sua abilità di skipper. Parte da Fiumicino con una barca a vela, fa sosta a Cipro e poi arriva nel porto di Beirut, qui lo aspettano alcuni palestinesi del Fplp di Abbash, che lo riforniscono di armi a un prezzo di favore. La barca riparte con un arsenale da guerra nella stiva: kalashnikov, Fal lanciagranate, bazooka, pistole, bombe a mano e tritolo. Costo 60 milioni frutto delle numerose rapine dei Cocori.
Il viaggio di ritorno è tranquillo come quello di andata, ci sono tanti ricchi turisti con le loro barche che in agosto solcano il Mediterraneo. Ad Otranto le armi vengono sbarcate e Balducchi e Palmero si occupano del trasporto via terra fino a Roma e poi Milano. Una parte viene venduta ad altri gruppi, come PL e i Pac. Vengono offerte anche alle Br, ma queste rifiutano.
Folini non è solo il bravo marinaio che fa il trasporto via mare. E’ lui ad avere i contatti con i palestinesi e non solo con loro. E’ uno dei personaggi più misteriosi della lotta armata. Ha 25 anni e viene da Lotta continua, il padre è un grosso imprenditore edile che lavora soprattutto in Medio Oriente. Lui dice che è attraverso il padre che ha messo insieme le conoscenze.
Ma non può essere solo il padre, Folini ha rapporti personali con Gheddafi, ha le porte aperte a Damasco. Farà altri viaggi e porterà altre armi. Non ci si muove così disinvoltamente in questo mondo se non si hanno appoggi importanti. E infatti lui stesso dirà ad alcuni compagni dei Cocori di lavorare per il Kgb. Potrebbe anche essere una parziale millanteria. Ma, considerato che Habbash è un uomo di Mosca, è molto improbabile che i sovietici non siano informati del traffico di armi e che, perlomeno, non siano consenzienti.
Se Corto Maltese è il trafficante, Scalzone è colui che ha progettato il viaggio. Ma non con lo scopo di spingere i Cocori a scatenare una guerra. Anzi Scalzone è uno di quelli che ha criticato le Br e sta pensando di mettere un freno alla lotta armata per tornare a fare politica e usare le armi solo a scopo difensivo.
La sua idea è quella di usare le armi, come anche la rivista Metropoli che sta per uscire, come un mezzo per acquisire peso e prestigio ed esercitare un’egemonia politica sulle altre organizzazioni armate. Diventare coè una centrale non solo di elaborazione teorica, ma anche di rifornimento e di contatti internazionali. E’ anche per questo che le Br, consapevoli del gioco, hanno rifiutato.
Br, un agguato ogni 24 ore.
Le Br invece riprendono la loro metodica attività di gambizzazione. Tre agguati in tre giorni, uno per ogni colonna. L’obiettivo torna ad essere la fabbrica. Non i soliti capireparto, questa volta si punta più in alto. Il 5 luglio a Milano due ragazzi che si sbaciucchiano sotto casa di Gavino Manca, un alto dirigente della Pirelli, un attimo dopo gli bucano le gambe e un gluteo. A sparare è una donna mingherlina con un foulard in testa. E’ Anna Nobile, 24 anni, fa la disegnatrice alla Sit Siemens. Con lei ci sono Bonisoli e Cristofoli, in auto aspetta uno nuovo, Stefano Ferrari.
Il giorno dopo a Torino viene colpito Aldo Ravaioli, presidente della piccola industria. Qui a sparare è Franco Mattacchini, un operaio della Fiat, con lui ci sono Peci e Angela Vai. Altre 24 ore e, a Genova, a cadere sotto i colpi, rischiando anche la vita, perchè gli recidono l’arteria femorale, è Fausto Gasparino, vicedirettore Intersind.
Commercianti e bottegai
Il 19 luglio è l’anniversario della morte di Tognini. Mentre a Milano si accontentano di fare esplodere due ordigni nella sede dell’Unione provinciale commercio e turismo. A Torino hanno deciso di sparare a un commerciante. Viene scelto il segretario dell’Associazione commercianti di Grugliasco, anche perchè è uno di destra ed è favorevole ad utilizzare guardie private a difesa dei negozi. Sono gli stessi cinque dell’ultima azione. Entrano nel suo ufficio, bloccano i presenti, legano e imbavagliano il Russo e lo fanno stendere a terra. Laronga e Giai sparano alle gambe. Se ne vanno, ma lui si toglie bavaglio e urla aiuto, allora tornano e sparano ancora. Alla fine ha nelle gambe 9 colpi. Rimarrà zoppo. Donat Cattin scrive sul muro “Onore al compagno Valerio”.
Ma la scelta di un commerciante (in realtà un agente assicurativo) non è solo dovuta al fatto che fu un commerciante a uccidere Tognini. E’ il frutto dello stesso schema che ha portato ad individuare vigili, medici, consigli di quartiere, ecc, come terminali di un sistema di comando e repressione. E’ la tesi della militarizzazione capillare di un blocco politico-sociale “antirivoluzionario in difesa dell’ordine democratico“. Idea che per la verità non è solo di PL, ma di tutta un’area politica. Si legge nel volantino di rivendicazione che i commercianti si stanno armando e sono quindi “coinvolti nella crescente militarizzazione della società nella prospettiva della guerra civile”.
E’ una visione fortemente offuscata della realtà che nasce, sia dalla necessità di inserire la lotta armata in uno scenario di militarizzazione reciproca, che in qualche modo la giustifichi (già presente nelle prime tesi delle Br), sia dal fatto che il potere locale in tutte le sue articolazioni è in molte città in mano al Pci, che assieme al sindacato ha dichiarato guerra alle formazioni armate. Sia dalla situazione di isolamento ed autoemarginazione politica e sociale nella quale tutta l’area autonoma, armata e no, si è collocata. Anche nelle fabbriche, dove aveva avuto un qualche seguito, ora è ridotta a ben poca cosa.
L’idea che PL e altri hanno del Pci non è del tutto sbagliata. Quella dichiarata da Berlinguer è una guerra politica, ma non solo. Dirà il col. Bozzo, braccio destro di Dalla Chiesa: «Il Pci è quello che ci ha aiutato. Se non ci fosse stato l’aiuto del Partito comunista, quella battaglia non l’avremmo vinta».
Torna Dalla Chiesa

Dalla Chiesa
Dopo il totale fallimento dei corpi di polizia durante il sequestro Moro, il governo si decide a richiamare Dalla Chiesa. Il 9 agosto viene nominato Coordinatore per la lotta contro il terrorismo, con ampi poteri. Dalla Chiesa rimette insieme un nucleo speciale, come già nel 74, con gli stessi criteri operativi. Sono poco più di 200 uomini, ma questa volta non sono solo carabinieri, ai quali Dalla Chiesa fa questo discorso: <Da oggi nessuno di voi ha più un nome,una famiglia, una casa. Da adesso dovete considerarvi in clandestinità. Io sono il vostro unico punto di riferimento. Io vi darò una casa, io vi ordinerò dove andare e cosa fare. Il paese è terrorizzato dai brigatisti. Da oggi sono loro ad aver paura di noi e dello Stato>.
<Vennero affittati in modo poco ortodosso gli appartamenti di cui avevamo bisogno – ha raccontato il generale – usammo auto con targhe false, telefoni intestati a utenti fantasma, settori logistici ed operativi distanti tra loro. I nostri successi costarono allo Stato meno di 10 milioni al mese>
Si sono lasciate le Br e le altre organizzazioni libere di agire per tre anni ora pare si voglia fare sul serio. Ma di nuovo c’è gente che non gradisce. Il decreto di nomina impone una collaborazione dei corpi di polizia con il generale, ma stranamente non viene comunicato né ai prefetti né alle strutture periferiche, per cui nessuno sa che deve collaborare con lui. E per diverso tempo le richieste di Dalla Chiesa cadono nel vuoto.
Via Montalcini e le distrazioni dell’Ucigos
In giugno è arrivata al ministro Rognoni la segnalazione che una residente in via Montalcini ha visto la Renault rossa nel garage della signora Braghetti. L’avvocato che ha fatto da intermediario non ha però rivelato la fonte. Le indagini, dopo la scoperta della tipografia delle Br, annaspano nel vuoto e non si ha una pallida idea di dove fosse la prigione di Moro. E’ dunque un’informazione preziosa, però l’Ucigos, incaricata di occuparsene, non sembra prenderla molto sul serio. Solo in luglio raccoglie qualche informazione sulla Braghetti e sull’acquisto della casa, ma non si accorge o non dà importanza ad un indizio decisivo, l’acquisto non è stato registrato al catasto.
A fine giugno Maccari se ne è andato, la Braghetti ha detto ai vicini che è in Turchia per lavoro. In realtà è finito nella brigata di Torre Spaccata, ma dopo qualche mese uscirà dalle Br. Non è chiaro se Gallinari sia ancora lì. Arriva agosto, la Braghetti va in vacanza e fors’anche la polizia.
A settembre arriva una richiesta di accertamenti su via Montalcini da Dalla Chiesa. Non si sa chi gliene abbia parlato. Forse Rognoni? Se fosse così vorrebbe dire che il ministro aveva ritenuto l’informazione molto attendibile. L’Ucigos fa sapere che se ne sta occupando e Dalla Chiesa esce di scena. In settembre finalmente si avvia il pedinamento della Braghetti, ma fatto piuttosto male, lei se ne accorge. A quel punto viene “congelata”, come dicono le Br. Cioè non deve avere più contatti con nessuno. E infatti la polizia annota che tutta la sua vita è fatta di casa e lavoro. In più passa sempre più giorni nella casa di famiglia e meno in via Montalcini.
Comunque l’Ucigos a fine settembre decide finalmente di interrogare gli inquilini. Ci ha messo tre mesi per deciderlo. Due funzionari incontrano tre famiglie, che dicono che quella del primo piano è una coppia strana un po’ sospetta, ma niente di più. Tutti, compresa la prof Ciccotti, dicono di non aver visto la Renault. La prof ha molta paura di esporsi. I due poliziotti se ne vanno dicendo che entro un paio di giorni l’appartamento verrà perquisito. Alla buon ora! I condomini saranno avvertiti in modo che se ne stiano chiusi in casa.

Il condominio di via Montalcini
Ma non ci sarà nessuna perquisizione. Anzi, qualche giorno dopo, il 4 ottobre, una degli inquilini vede la Braghetti caricare i mobili su un camioncino, sta facendo trasloco. La donna prende la targa e chiama uno dei due funzionari che aveva appena incontrato. <Guardate che quella se ne sta andando, venite>. Le viene risposto che è tutto sotto controllo. Ma nessuno si fa vedere e la Braghetti se ne va. <Mi convinsi – dirà la donna – che era stata avvertita>. In effetti la coincidenza tra perquisizione annunciata e trasloco è sorprendente.
In un rapporto dell Ucigos relativo ai pedinamenti si legge però di una cassa che viene portata via dalla casa durante un trasloco. Non è chiaro se si parla dell’ultimo trasloco, in questo caso vorrebbe dire che effettivamente era sotto controllo. Un controllo però fatto piuttosto male, visto che la Braghetti sparisce e non se ne saprà più nulla fino a che non ucciderà. La storia della cassa rende ancor più strano il disinteresse nelle settimane successive. Quell’appartamento, che poteva essere la tanto cercata prigione di Moro, l’Ucigos non lo perquisirà mai. Ad accrescere i sospetti è il fatto che tutta questa vicenda viene tenuta segreta e diverrà nota solo due anni dopo. Quando il giudice Imposimato andrà finalmente a perquisire l’appartamento, nel frattempo venduto, troverà sul pavimento della camera da letto i segni del muro dietro al quale Moro era stato rinchiuso per 55 giorni.
Alunni in trappola
Non c’è solo Dalla Chiesa, dopo Moro la lotta al terrorismo subisce una svolta. Nel giro di pochi giorni arrivano arresti importanti.

A destra Corrado Alunni
Il 13 settembre la Digos irrompe in un appartamento di Milano e cattura Corrado Alunni. E’ la principale base delle Fcc. Dentro c’è un arsenale, dieci tra fucili e mitra e 14 pistole, più un mare di documenti. Tra questi anche 11 quaderni con gli appunti, scritti a mano da persone diverse, sul corso di esplosivi seguito al campo dell’Eta. Attraverso le calligrafie vengono identificati una decina di appartenti alle Fcc. C’è anche una poesia di Barbara Azzaroni dedicata ad Alunni. Questa volta la polizia lavora come si deve, resta all’interno e verso mezzanotte, appena apre la porta, arresta anche Marina Zoni.
Come la Digos sia arrivata in via Negroli non è chiaro. Il giudice Spataro ha parlato di colpo di fortuna, originato dalla segnalazione di un tipo sospetto, da parte della portiera dello stabile.
La fine delle Fcc
Per le Fcc è la fine. Già in estate c’era stata una scissione. Una gruppo, capeggiato da Marocco, era entrato in contrasto con Alunni. Accanto a ragioni politiche, in realtà poco chiare, c’erano anche rivalità personali. Alunni era accusato di aver voluto inserire Marina Zoni nel comando delle Fcc, solo perchè era la sua donna. Il gruppo dei fuoriusciti, che si porta via soldi e armi, si ribattezza “Reparti comunisti d’attacco”. Al cui vertice ci sono Marocco, Maria Teresa Zoni, PietroGuido Felice (Kociss), Pierangelo Franzetti, Andrea Gemelli. Una cinquantina in tutto, tra Milano e Varese. Con loro c’è anche Pablo, la cui carriera combattente è un girovagare da un gruppo all’altro. E per qualche tempo la Belloli che poi, assieme a Zanetti e Serafini passerà alle Br.
Nel gruppo vige una strana regola, non si sa quanto rispettata. Al contrario delle altre organizzazioni, dove i rapporti amorosi possono esserci solo all’interno, qui è vietato avere rapporti sessuali con gli altri membri. Tanto che Felice, un operaio di 27 anni, chiede il permesso di andare con prostitute e gli viene accordato.
Anche il nucleo bolognese si era andato allontanando. E, dopo l’arresto di Alunni, Bignami, Barbara Azzaroni, Zambianchi, Liviana Tosi passano a Prima linea e si trasferiscono a Torino. Bignami lascia il lavoro in Comune ed entra in clandestinità. Doveva sposarsi 20 giorni dopo, ma le nozze non ci saranno. Barbara lascia la figlia alla madre.
Anche Barbone e qualche altro se ne vanno, al momento senza aderire ad alcuna organizzazione. Delle Fcc resta poca cosa, un gruppo a Milano capeggiato da Serafini, Zanetti, la Bellerè e il gruppo di Cassino con Sebregondi
Via Montenevoso
Quando la Digos ammanetta Alunni, i carabinieri già da un mese tengono d’occhio un appartamento in via Montenevoso. Si sono sistemati all’ultimo piano della casa di fronte, quella dove abitava Fausto Tinelli. Nell’appartamento sorvegliato abita un uomo alto e magro, ogni tanto c’è anche un altro, capelli rossicci e baffi. Da poco è arrivata una donna. Non c’è voluto molto a riconoscere i reggiani Azzolini e Bonisoli, due del comitato esecutivo, e Nadia Mantovani, scappata poco prima dal soggiorno obbligato. Un brigatista al soggiorno obbligato sembra uno scherzo, ma è proprio così.
Quando escono li seguono e così hanno individuato altri due appartamenti. In uno abita Biancamelia Sivieri, e lì si nasconde un altro brigatista storico, Antonio Savino, evaso dal carcere di Forlì. Nell’altro abita il fratello di Biancamelia, Paolo e un altro pezzo grosso, Calogero Diana.
Biancamelia è un’insospettabile maestra elementare, descritta da chi la conosce come tanto dolce e amante degli animali, fino a qualche anno prima aveva insegnato catechismo.
Non solo gambe

Ippolito Bestonso
I pedinamenti dei carabinieri non impediscono però a Savino di colpire di nuovo il 28 settembre. L’obiettivo sono sempre le fabbriche, dopo Moro le Br non sembrano più interessate alla Dc. Questa volta non è la solita gambizzazione, è un’azione più efferata nelle modalità. Di solito si spara alle gambe in fretta, a un uomo che cammina, senza neanche guardarlo in faccia e poi via. Questa volta Ippolito Bestonso, dirigente dell’Alfa, viene bloccato mentre apre il garage e fatto inginocchiare. Savino gli mette un cartello al collo, contro la ristrutturazione in fabbrica. L’uomo trema, ha gli occhi dilatati dalla paura. Alfieri, che lo conosce perchè lavora all’Alfa, lo fotografa. Infine Livraghi gli spara quattro colpi nelle gambe. In auto li aspetta Vincenzo Toraldo, un altro operaio dell’Alfa.
Il giorno prima le Br a Torino avevano colpito un capo-officina della Lancia, Piero Coggiola, una moglie e due figlie. E’ alla fermata del bus e un uomo lo chiama per nome. E’ Nicola D’Amore. I genitori con cinque figli sono immigrati dal Sud, per un po’ di tempo quando passava il padrone di casa,Nicola, il più piccolo, lo nascondevano sotto il letto, perchè se eri meridionale e con troppi figli nessuno ti affittava. E’ un operaio Fiat già a 16 anni, ora è sposato con un bimbo piccolo. Quando è entrato nelle Br si è anche iscritto al Pci. Alle sue spalle c’è Peci con un mitra, più lontano Betassa.
Quando quello si gira D’Amore gli scarica tutto il caricatore nelle gambe, 12 colpi. La moglie, che abita li vicino, sente gli spari, corre fuori e lo trova in un lago di sangue. Poco dopo una voce giovanissima chiama il centralino della Stampa: «Qui Brigate rosse, abbiamo azzoppato noi Coggiola Piero…». Non è azzoppato, è morto. Un colpo ha reciso l’arteria femorale, prima o poi doveva capitare, anche perchè sparare 12 colpi nelle gambe non è azzoppare, è massacrare.
E i fascisti uccidono
E poi ci son sempre i fascisti che vogliono distribuire la loro quota di piombo. Lo stesso 28 settembre due su una Vespa bianca, passano davanti ad una sezione del Pci. E’ sera, ci sono tre ragazzi che leggono l’Unità affissa fuori per scegliere il cinema. La Vespa rallenta, quello dietro si cala il passamontagna e spara diversi colpi. Ivo Zini, 25 anni, colpito al cuore crolla a terra morto, un altro è ferito gravemente. I Nar rivendicano. Due pentiti dei Nar diranno che uno dei due era anche tra quelli che hanno ucciso Fausto e Iaio.
Due giorni dopo a Napoli un giovane di 20 anni interviene per difendere un altro ragzazo che un gruppo di fascisti sta picchiando, ma viene ucciso a bastonate.
Catturato metà dell’esecutivo
All’appartamento di via Montenevoso i carabinieri sono arrivati per un colpo di fortuna, almeno ufficialmente. In giugno su un autobus a Firenze è stato trovato un borsello, dentro una pistola, un mazzo di chiavi, un appuntamento con un dentista e la ricevuta dell’assicurazione di un ciclomotore. Dentista e ricevuta portano a Milano, al quartiere Lambrate, dove il motorino è stato visto. Era il borsello di Azzolini. Per molte notti i carabinieri provano le chiavi nei portoni della zona e alla fine un portone si apre. Da lì comincia l’osservazione e i pedinamenti.

Lauro Azzolini
A metà settembre potrebbero già arrestarli, ma Dalla Chiesa vuole aspettare per individuare altri brigatisti. Il 30 arriva l’ordine e il primo ottobre scatta l’operazione. Al mattino presto Azzolini esce di casa per andare in stazione, deve andare a Firenze, è circondato e bloccato. Altri salgono rapidamente le scale e intimano di aprire. Bonisoli e la Mantovani aprono senza opporre resistenza.
Anche quando Savino esce di casa i carabinieri gli intimano l’alt, ma lui estrae la pistola e spara. Ne ferisce due, ma viene colpito e arrestato. Finiscono in manette in nove, compresi i fratelli Sivieri. C’era anche un decimo, Calogero Diana, ma Dalla Chiesa ha ordinato di lasciar libero. E’ la tecnica che verrà usata altre volte, la chiamano del ramo verde. Lasciarne uno libero per continuare a seguirlo ed arrivare ad altri. Diana verrà arrestato l’anno dopo in febbraio assieme alla Brioschi. Un altro duro colpo.
Paolo Sivieri, fratello di Biancamelia, si impiccherà in cantina nell’89, era fuori perchè caduto in una grave psicosi depressiva. Era stato condannato all’ergastolo, senza prove. Era anche stato condannato dalle Br, gli avevano fatto trovare un cappio nella cella, perchè si era dissociato. Il cappio lo ha usato.
Ecco le carte di Moro
In via Montenevoso i carabinieri trovano una montagna di documenti, faldoni pieni di carte ed anche una cartellina azzurra con dentro 28 lettere (15 inedite) e il memoriale di Moro, non il manoscritto originale, ma una copia dattiloscritta di 49 pagine. Ci sono anche “tre fogli dattiloscritti con poesie”, numerose riviste pornografiche e una settimana enigmistica.
Il magistrato verrà chiamato con calma, intanto il capitano Bonaventura prende quei fogli e li porta alla caserma Pastrengo, li fotocopia e poi li riporta nel covo. E’ una violazione grave, nulla può essere asportato prima di essere repertato e consegnato al magistrato. Una copia viene consegnata a Dalla Chiesa che la porta a Roma a Rognoni, un’altra a un capitano che pure lui la porta a Roma.
Ma quelle carte sono una delusione, almeno per chi si aspettava chissà quali rivelazioni, non c’è nulla di interessante. Moro non ha ceduto alle Br.
La perquisizione dura cinque giorni, l’appartamento viene controllato palmo a palmo alla ricerca di nascondigli. Fino a che gli uomini di Dalla Chiesa debbono andarsene, perchè i carabinieri di Milano premono, vogliono prendere possesso del covo, perchè spetta a loro fare rapporto. Tra Dalla Chiesa e l’Arma territoriale c’è una forte rivalità, anche perchè i milanesi sono da sempre una filiale della P2. Infatti della base brigatista prende possesso il col. Mazzei, un piduista che stranamente nella sua agenda ha il tel di Del Giudice, uno dei capi dei Cocori.
E’ stato un grande successo: nove brigatisti catturati, compreso uno dei killer di via Fani, recuperato il memoriale Moro, dove non c’è nulla di imbarazzante. Un colpo di Dalla Chiesa (in realtà il generale interviene solo nelle ultime settimane) da lasciare a bocca aperta, ha fatto più lui in un mese che tutti gli altri in tre anni. Ma quando c’è di mezzo Moro nulla può essere semplice e chiaro. Anzi. Come già via Gradoli anche via Montenevoso diventa il luogo dei misteri.

Una lettera scritta da Moro
Da subito si sollevano dubbi sulla scoperta del covo. Possibile che uno esperto come Azzolini lasci il borsello su un autobus? A Lambrate ci sono centinaia di portoni, possibile che i carabinieri li abbiano provati uno ad uno? Conclusione: è tutta una messinscena per coprire un infiltrato, di cui gira anche il nome, sarebbe un certo Davide. Non lo si può escludere, non sarebbe la prima volta che si redigono rapporti falsi per coprire una fonte, anche se la versione ufficiale non appare così incredibile ed è stata confermata dallo stesso Azzolini. L’unico punto che lascia qualche dubbio è che dopo la perdita del borsello, non sia stata abbandonata la base. La Mantovani si era anche accorta di essere seguita, ma non le fu dato ascolto. Qualcuno ha anche sospettato che possa essere stato lo stesso Azzolini a pilotare la scoperta. Un’altra spiegazione è che anche le Br possono commettere errori.
I carabinieri hanno sempre sostenuto che non sapevano cosa ci fosse nel covo. Ma siccome il memoriale è arrivato lì pochi giorni prima dell’irruzione (Bonisoli lo è andato a prendere a Firenze, dove era stato battuto a macchina) e Dalla Chiesa aveva ordinato di aspettare, il sospetto è che lui sapesse che stava per arrivare e il suo obiettivo fosse, più che arrestare i brigatisti, mettere le mani su quelle carte. In realtà il col Bozzo ha riferito che non fu Dalla Chiesa a voler aspettare. Però c’è il solito Pecorelli a metterci lo zampino. Il 26 settembre pubblica un articolo nel quale è scritto che ” Nei prossimi giorni probabilmente leggeremo almeno un’altra trentina di lettere. Reggerà il quadro politico?”. Dunque qualcuno sapeva cosa c’era in via Montenevoso prima di entrarvi. E Dalla Chiesa e Pecorelli si conoscevano bene.
Il Memoriale manipolato
Ma qualcosa di poco chiaro c’è e l’allusione di Pecorelli non è una boutade. Il memoriale trovato appare subito incompleto. Contiene riferimenti ad altre parti, che però non ci sono. E sembra anche manipolato, ci sono salti logici, il testo non scorre, come se qualcuno avesse fatto un taglia e cuci. La conferma arriva dopo qualche tempo. Alcuni brigatisti dicono che mancano molte pagine, altre carte e 60 milioni. La Mantovani elenca anche una serie di argomenti trattati da Moro, che sono spariti. Moretti conclude: <una parte è stata imboscata dai servizi segreti>.
Il senatore Flamigni chiede ripetutamente che venga riperquisito il covo, ma i magistrati si oppongono: abbiamo grattato anche i muri. Nel 1990 un muratore, che sta facendo lavori nell’appartamento, scopre un intercapedine sotto una finestra, dentro ci sono molte carte, una pistola, un kalashnikov e 60 milioni del sequestro Costa.
E tra le carte c’è una copia del manoscritto del memoriale 245 pagine contro le 49 del 78 [1]. Alcune delle pagine in più contengono le cose più scottanti che Moro ha riferito alle Br. Dai pesanti attacchi ad Andreotti, alle stragi, agli accenni a Gladio ed altro [2]. Ora è chiaro che quella trovata nel 78 è una versione censurata. Ma chi ha tolto le pagine compromettenti? La risposta arriva dal capitano Roberto Arlati, colui che aveva condotto il blitz del’1 ottobre: <Il cap. Bonaventura portò via le carte di Moro e quando le riportò (dopo 7 ore) il pacco si era assotigliato>.
Bonaventura e tutti i generali smentiscono. Poi Bonaventura ammetterà di averle portate via, ma solo per fotocopiarle, ma sette ore per delle fotocopie sono un po’ tante. Ma è Cossiga a dare involontariamente la conferma definitiva. Prima del 90, parlando del memoriale, cita una frase di Moro che però è presente solo nella versione del 90.
Dunque i carabinieri in quelle ore, in effetti un po’ troppo lunghe, durante le quali hanno portato le carte in caserma, hanno provveduto, a rendere innocuo il memoriale di Moro. Molti anni dopo il capitano Riccio, altro uomo di Dalla Chiesa, indicherà nel col. Marrocco del Sismi colui che gestì l’assottigliamento. Del resto non era uno degli obiettivi indicato da Pieczenik? Recuperare e far sparire quanto rivelato da Moro.

Il pannello dietro il quale nel 90 viene trovato il meoriale completo
Dunque sembra certo che l’intero memoriale sia arrivato nelle mani di Andreotti e Cossiga. Non è chiaro se anche a Dalla Chiesa sia stata data la versione completa. E’ certo però che il generale sa che quello ufficiale è solo una parte, dunque o lui quella completa non l’ha avuta o non l’ha più. Dirà: <Qualcuno l’ha recepita>. infatti si mette alla caccia di quel che manca. Tre mesi dopo, secondo il racconto di una guardia carceraria (sul quale sono stati sollevati dubbi), riuscirà a recuperare un pacco di quelle carte nel carcere di Cuneo, dove i brigatisti le avevano fatte arrivare. Le tiene con sè per due anni. Poi avrebbe pensato di organizzare un ritrovamento finto per renderle pubbliche, ma non se ne fece niente. Non molto dopo viene ucciso a Palermo e quelle carte spariscono con lui.
Il nascondiglio introvabile
Ma qualche piccolo mistero resta. Il col Bozzo ha spiegato che non fu trovato il nascondiglio nell’intercapedine, perchè non ebbero il tempo, essendo stati sfrattati dagli altri carabinieri. Ma cinque giorni per perquisire un appartamento di 40 metri quadri non sembrano pochi. Azzolini ha detto che quel nascondiglio loro lo aprivano e chiudevano spesso. Invece è stato trovato perfettamente sigillato, dunque era stato trovato e richiuso. Dopo qualche giorno qualcuno rompe i sigilli alla porta, forse per riportarvi qualcosa? Non è strano, quello poteva essere il posto meno rischioso dove tenere il memoriale di Moro, nel caso fosse tornato utile. Di certo attorno a quel bilocale si sono intrecciati un bel po’ di giochi sporchi.
Le opacità delle Br
Ma anche il comportamento delle Br è stato a dir poco opaco. Avevano promesso di distribuire al movimento rivoluzionario tutto quel che Moro aveva rivelato. Ma il primo ottobre son passati cinque mesi e nemmeno una parola è uscita. Hanno spiegato che la Mantovani ci stava lavorando per ricavarne un libro bianco. Certo non avevano fretta, ma in cinque mesi qualche anticipazione potevano anche diffonderla. Infatti ricorda la Faranda: <Chiedemmo più volte perchè i memoriali Moro non fossero resi pubblici. Ci fu sempre risposto che ci stavano lavorando>.
Ma non sono bastati nemmeno i mesi e gli anni successivi. Di quel memoriale le Br non hanno mai rivelato nulla. Eppure quelle in via Montenevoso erano solo due copie. C’erano gli originali, ma dicono che li hanno bruciati, come anche le bobine usate nei primi giorni. E non si è mai capito perchè. E poi c’erano altre copie. Eppure Moretti e compagni hanno sempre sostenuto che, dopo il blitz in via Montenevoso, non era più possibile fare niente. Inevitabile sospettare, senza ovviamente averne certezza, che il silenzio brigatista possa essere servito per un qualche scambio con lo Stato. Qualcuno, ad esempio, ha fatto notare che Moretti, avendo ucciso un certo numero di persone, compreso Moro, si è fatto meno anni di carcere di Franceschini che non ha mai sparato. Si dirà però che sono stati i brigatisti a svelare che nel covo c’erano altre carte. E’ vero, ma questo avviene solo nel 1986. Perchè per otto anni nessuno di loro ha accusato lo Stato di averle fatte sparire?
Ma non è finita qui, il mistero delle carte di Moro rispunterà da sottoterra in un giardino di una casa a Genova [3].
g.g.
[1] Va tenuto conto che le pagine scritte a mano contengono meno testo del dattiloscritto
[2] Ad un’attenta analisi anche a questo versione sembra mancare qualche pagina.
[3] Di misteri veri e inventati c’è abbondanza. Un altro, che almeno in parte non sembra pura fantasia, è questo. Durante il sequestro Moro, dalla cassaforte del gen Martini, direttore del Sismi, scompaiono gli elenchi di Gladio e i piani di difesa della Nato in Italia, il giorno dopo ricompaiono. Molti anni dopo nell’archivio di via Appia degli Affari riservati, viene rtitrovato un fascicolo intestato Moro-Montenevoso-Gladio, ma dentro non c’è niente. C’è chi ipotizza che copie di quei documenti fossero stati dati alle Br e fossero in via Montenevoso. Anche il gen dei carabinieri Morelli scrive in un suo libro che: «In via Monte Nevoso sono stati ritrovati piani operativi a breve e a lungo termine, appunti riservatissimi sull’organizzazione della Nato>. La sparizione dalla cassaforte del Sismi è confermata, il resto sono solo ipotesi.
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