2) Feltrinelli, 22 Ottobre, Potere operaio

1972

Sequestro Macchiarini

Il 1972 si apre a Milano con un’offensiva brigatista nei confronti del parco auto dei fascisti. Nel giro di un paio di mesi ne vengono incendiate sei, tra cui anche quella di Ignazio La Russa, segretario del Fronte della gioventù. Le azioni sono opera delle due brigate di quartiere, del Lorenteggio e di Quarto Oggiaro.

Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit Siemens, sequestrato dalle Br

Per la prima volta la firma Brigate rosse compare anche a Torino. Gli attacchi sono compiuti da alcuni simpatizzanti e da qualche brigatista in trasferta. Il 27 febbraio, un commando irrompe nella villa del consigliere comunale del Msi Aldo Maina e appicca il fuoco. Giorni dopo ordigni incendiari danneggiano il cinema Lux, dove doveva tenersi un comizio fascista, e la sede del Sida, sindacato giallo della Fiat.

Le Br esistono da un anno e mezzo, ma per ora non hanno compiuto azioni terroristiche: un po’ di auto incendiate e qualche molotov. Non molto, considerato il clima di quegli anni fatto di scontri, aggressioni, rappresaglie, attentati. In tre anni sono esplose circa 50 bombe, quasi tutte opera dell’estrema destra.
Ma in febbraio decidono di compiere un salto di qualità. Ad insistere per alzare il tiro è Moretti, che propone di sequestrare un dirigente della Sit-Siemens. Ed è lui a scegliere la vittima e ad organizzare l’operazione.

Il 3 marzo in quattro aspettano l’ing. Idalgo Macchiarini, scelto perchè inviso agli operai, in una strada vicino all’azienda, dove parcheggia l’auto. Lo bloccano, lui si divincola, lo colpiscono con un pugno e lo caricano su un furgone, che rapidamente si allontana. I quattro sono: Franceschini, Moretti, Alfredo Buonavita, un operaio 24enne di Borgomanero, grande e grosso, figlio di immigrati, e Giacomo Cattaneo, detto Lupo, che a 16 anni aveva fatto il partigiano.

Il furgone si ferma in periferia. Gli mettono un cartello al collo, con scritto: “Brigate Rosse. Mordi e fuggi. Niente resterà impunito. Colpiscine uno per educarne cento. Tutto il potere al popolo armato”. Franceschini e Lupo gli appoggiano la canna delle loro pistole alla faccia, due residuati bellici di ex partigiani. Moretti scatta la foto. Poi abbandonano il furgone, Macchiarini si libera delle corde e scende. Il tutto è durato mezz’ora o poco più.

Il sequestro, grazie soprattutto alla foto pubblicata da tutti i giornali, suscita grande clamore. Per le Br è un successo, visto che l’azione aveva un solo scopo: mostrare la loro forza e abilità, cioè fare propaganda.
I sindacati parlano di <atto criminale>, l’Unità di <banditesca provocazione>. Potere Operaio invece approva, ma senza esporsi: <Noi annotiamo solamente che la ricezione di questo atto, a livello di classe operaia, è stata positiva>. E questa volta approva anche Lotta Continua: <Noi riteniamo che questa azione s’inserisca coerentemente nella volontà generalizzata delle masse di condurre la lotta di classe anche sul terreno della violenza e dell’illegalità>. In LC ci sono posizioni diverse, questa volta ha prevalso quella più militarista, forse anche per tamponare le pressioni che vengono da alcune frange interne, anche nelle fabbriche, che spingono per fare come le Br.
Dura invece la condanna del Movimento studentesco (1) e di Avanguardia operaia, che già aveva etichettato come fascisti quelli della XXII Ottobre, e che accusa le Br di essere collusi con i servizi segreti.

Le Br, otto giorni dopo, compiono il bel gesto: recapitano a un giornale una busta con l’orologio dell’ingegnere. <Non siamo ladri> scrivono. Negano di aver usato violenza fisica gratuita, ma solo quella <indispensabile, visto il suo comportamento incauto>. Respingono anche le accuse di aver minacciato la sua famiglia, <la politica di terrore non rientra nell’ideologia brigatista>. Le Br ci tengono a mostrare la loro integrità rivoluzionaria ed anche una linea di condotta quasi cavalleresca.
L’operazione Macchiarini sancisce l’ingresso di Moretti tra i capi delle Br.

Chi sono?

Ma quanti sono e chi sono i brigatisti? Numeri precisi è difficile farne. Il nucleo centrale, cioè i brigatisti a tempo pieno, sono tra i 25 e i 30. Poi ci sono i fiancheggiatori, coloro che danno una mano, forniscono un appoggio, partecipano ad un’azione ma poi mollano, che arrivano forse a 50.
E infine ci sono i simpatizzanti, numero indefinibile sia per la vaghezza della qualifica sia perchè si tratta di un’area molto volubile. Considerato che un commento del tipo <hanno fatto bene>, politicamente non significa granchè. Ma non si tratta di grandi numeri.

Prospero Gallinari

Chi sono. C’è la brigata Sit-Siemens, la più numerosa, composta da tecnici e non da operai: Giorgio Semeria, 22enne cattolico laureato, negli anni 90 si metterà a fare il catechista, figlio di un dirigente della Sit-Siemens, che si dimette dopo il sequestro Macchiarini, a differenza degli altri che hanno barbe e capelli da rivoluzionari, lui ha l’aria da bravo ragazzo, ma si macchierà di uno dei delitti più feroci. Paola Besuschio, che è stata studentessa a Trento assieme a Curcio, poi in Potere Operaio, approdata ai Gap di Feltrinelli e infine nelle Br, riesce a farsi assumere alla Sit-Siemens nascondendo la laurea, diviene anche delegata Uilm. Anche Pierluigi Zuffada e Corrado Alunni si fanno eleggere delegati sindacali. Alunni, 25 anni, è romano, figlio di una sarta, l’unico operaio del gruppo. Poi ci sono Umberto Farioli e Giuliano Isa e, ovviamente, Mario Moretti.

Alla Pirelli l’unico nome di spicco è quello di Maurizio Ferrari, 27 anni, figlio di padre ignoto, la madre lo affida a nove mesi a don Zeno Saltini, vive fino ai 20 anni nella comunità di Nomadelfia. Nel 68 va a Milano ed è assunto come operaio alla Pirelli. Barba folta e rossiccia, taciturno e chiuso. Un’irriducibile, mai chiesto di uscire dal carcere, si farà 30 anni, senza aver mai sparato un colpo. Alla Pirelli c’è qualche altro brigatista, di cui però si è saputo sempre poco o nulla.
Tra i milanesi c’è, oltre a Morlacchi, Arialdo Lintrami, uno studente, ma nel 72 anche lui è andato a fare l’operaio, alla Breda di Sesto. C’è anche una studentessa di appena 20 anni, Carla Maria Brioschi. E Antonio Bellavita, giornalista quarantenne.

Altro gruppo che dà un apporto decisivo è quello dei reggiani. Molti vengono dal Pci, che a Reggio aveva una componente vetero comunista abbastanza forte, anche se emarginata. Quelli che non avevano mai digerito la svolta di Salerno e che nel 45 volevano fare la rivoluzione, ma Togliatti disse no. E’ dai racconti di questi ex partigiani, dal mito della Resistenza tradita che si son lasciati affascinare Franceschini, Gallinari e gli altri. Con l’arrivo di un nuovo biennio rosso, hanno pensato che di nuovo fischiasse il vento della rivoluzione…. e questa volta la facciamo. Ma di 68esco hanno poco, la scuola è tutta leninista. Gallinari, contadino, quinta elementare, figlio di un partigiano, si sceglie come nome di battaglia Giuseppe, in onore di Stalin.

Con loro c’è Attilio Casaletti, apprendista in una fabbrica artigiana; Loris Paroli, operaio e delegato sindacale alla Lombardini, l’unico sposato con figli; Lauro Azzolini, 29 anni, anche lui operaio Lombardini; Fabrizio Pelli, 20 anni, anarchico e famiglia di destra, si è fatto due mesi di carcere minorile per aver sparato a un avvocato con un fucile Flobert, fa il cameriere ma per poco, perchè a 19 anni lascia tutto e se ne va a Milano. Roberto Ognibene, il padre era stato assessore del Psi, a 17 anni lascia la scuola da geometra per le Br. Poi c’è Franco Bonisoli, anche lui figlio di operai comunisti, è il più giovane di tutti e arriverà nel 74, perchè nel 70 ha solo 15 anni.

Origini simili ha il gruppo che viene da Borgomanero in Valsesia, anche questa terra di partigiani e di Pietro Secchia, che è in contatto con Feltrinelli. Il leader è Alfredo Buonavita, famiglia di immigrati, operaio, uscito dal Pci nel 69, uomo d’azione. Si è portato dietro Il suo amico e vicino di casa Antonio Savino, operaio alla Fiat. C’è anche un medico, Enrico Levati, che poi si allontanerà. Più altri tre o quattro.
Altra culla di brigatisti è il lodigiano. Nel 69 un gruppo di giovani ha fondato La Comune, anche qui la matrice è marxista-leninista (M-L). Il capo è uno studente di filosofia, Pietro Bassi. Poi c’è Pietro Bertolazzi, 22 anni di umili origini, l’ex partigiano Lupo e il fratello Francesco, 20 anni più giovane, e qualche altra figura minore.
Infine l’unico torinese, per il momento: Rocco Micaletto, 26 anni, operaio Fiat e delegato Cisl, ma è una copertura.

Il nucleo storico della Br è costituito soprattutto da lavoratori, tecnici e operai, pochi sono gli studenti e gli intellettuali, anche se i capi sono questi ultimi. Hanno un’età media sotto i 30 anni, vengono tutti dalla Lombardia e da Reggio. In buona parte di famiglia comunista.

La fine di Osvaldo

Il corpo di Feltrinelli ai piedi del traliccio

Verso le 16 del 15 marzo, due contadini, nelle brume di un pomeriggio freddo e nebbioso, intravvedono ai piedi del traliccio 71, nei pressi di Cascina Nuova di Segrate, il corpo di un uomo. E’ vestito con un giaccone di tipo militare, ha la barba incolta e una gamba maciullata e l’altra tranciata di netto sopra il ginocchio. La polizia troverà i pezzi dell’arto nel raggio di 50 metri. Poco distante c’è un pulmino Wolkswagen chiuso a chiave. Sul traliccio, a un’altezza di 4/5 metri ci sono 43 candelotti di dinamite fissati con nastro adesivo, altri candelotti sono alla base, dall’alto pendono dei fili elettrici. L’uomo ha in tasca un documento falso e due foto, una giovane donna e un ragazzo.
Ci vuole poco a scoprire che si tratta di Feltrinelli. Le foto sono quelle della moglie e del figlio. Finisce così, tra le sterpaglie di un campo, la guerra di Osvaldo, rivoluzionario sognatore e forse maldestro.

Due giorni prima si era aperto a Milano il XIII congresso del Partito comunista, che eleggerà come segretario Berlinguer. Feltrinelli voleva dimostrare ai compagni del Pci la forza dei suoi Gap e così conquistarli alla causa guerrigliera. Il piano prevedeva di far saltare due grossi tralicci dell’alta tensione, in due punti opposti fuori città, per lasciare il congresso al buio.
Infatti viene trovato un secondo traliccio minato con candelotti mai esplosi a S.Vito di Gaggiano

Con Feltrinelli c’erano due giovani, così inesperti, che quando un candelotto è esploso e Osvaldo è voltato giù dal traliccio senza una gamba, sono scappati. Uno lievemente ferito ad una gamba e l’altro con un timpano lesionato. Così hanno lasciato morire Feltrinelli dissanguato e abbandonato il pulmino-camper, che si rivela una miniera di indizi per la polizia. Ci sono mappe, cibo, un cappotto, le chiavi delle basi dei Gap, la ricevuta per una riparazione che porta a Giuseppe Saba, un operaio sardo emigrato in Germania, dove l’editore l’aveva conosciuto, arruolato, e riportato in Italia, trasformandolo nel suo luogotenente.

Feltrinelli è stato ucciso, quella del traliccio è una messinscena“. E’ la tesi della stampa di sinistra che fa breccia in buona parte dell’opinione pubblica. Lo stesso Berlinguer afferma: <c’è il fondato sospetto di una clamorosa messa in scena>. Invece è stato probabilmente un timer difettoso o preparato male o un errore nel collegare i fili, a far esplodere anzitempo il candelotto.
Ma molta gente, condizionata da anni di trame e depistaggi, vede complotti ovunque e non riesce a vedere i chiari segnali di un terrorismo di sinistra. Solo Potere operaio, sul suo giornale, saluta “il rivoluzionario caduto in combattimento”

Anche le Br vogliono vederci chiaro. E interrogano Ernesto Grassi, alias Gunther (nome datogli da Feltrinelli per assonanza tra Grassi e Grass lo scrittore), che conferma trattarsi di un incidente, ma non sa spiegare la causa.
Tutto chiaro? Mica tanto. Ci sono troppe coincidenze strane. Il timer era un semplice orologio da polso, marca Lucerne. La stessa marca dell’orologio usato ad Atene, nell’attentato organizzato da Simioni. Curiosa coincidenza. Anche allora gli attentatori morirono per uno scoppio anticipato. Da notare che questo orologio risulta usato solo in questi due attentati.

Qualche tempo dopo D’Amato, in una relazione, scrive a proposito del libello fatto pubblicare sul Feltrinelli “impotente”: <Il libro è stato uno shock psicologico per Feltrinelli, che giocava alla rivoluzione senza rischiare in prima persona e deve essersi deciso a dare ai suoi collaboratori la prova che pagava in prima persona…. Il libro voleva esercitare una vera e propria azione psicologica>.
E c’è riuscito, a quanto pare. Strano però che un capo della polizia si dia da fare perchè Feltrinelli vada di persona a mettere bombe, mentre suo compito dovrebbe essere impedirglielo. E soprattutto D’Amato deve avere un infiltrato nei Gap, visto che è a conoscenza di come aveva reagito Feltrinelli alla lettura del libro.

Fumagalli e l’Anello

Carlo Fumagalli, capo del Mar, organizzazione protetta dai servizi segreti.

Ma c’è dell’altro. Negli ultimi tempi Osvaldo era in contatto con Carlo Fumagalli. Secondo un testimone l’avrebbe incontrato anche la sera prima della morte.
Fumagalli è un ex strano-partigiano, aveva capeggiato una formazione in Valtellina nota come i Gufi e composta da contrabbandieri come lui, che tra l’altro taglieggiava gli ebrei che cercavano di espatriare. Collaborava con l’Oss (servizio segreto Usa). Dopo la guerra continuò a lavorare per la Cia e per i servizi segreti italiani. Ed è legato all’Anello, l’organizzazione segreta che dipende dal Sid e che aveva in progetto di rapire proprio Feltrinelli.

Ora Fumagalli è il capo del Mar, anche questo uno strano gruppo terroristico, protetto e armato dai carabinieri a fini golpistici e di provocazione. Infatti ha compiuto un paio di attentati rivendicandoli come Brigate rosse, così per fare un po’ di confusione. Ma Feltrinelli tutto questo non lo sapeva. Quasi certamente è stato Fumagalli a cercarlo, per offrirgli armi ed esplosivo. E lui ha accettato, in fondo era un ex partigiano. Nel pulmino è stato trovato un pacchetto di sigarette pieno di esplosivo, uguale ad uno trovato in una base del Mar. E’ la prova che c’erano già stati contatti. Ma forse il rapporto è andato oltre la fornitura di esplosivo. Troppe sono le coincidenze.

La principale attività di Fumagalli è quella di abbattere tralicci, stessa idea viene a Feltrinelli; nei piani del Mar c’era di lasciare al buio Milano, stesso obiettivo di Feltrinelli; il fallito attentato avviene vicino a un’officina di Fumagalli e con Feltrinelli c’è Gunther, ex partigiano bianco della Valtellina, proprio come Fumagalli.

E Gunther ha un ruolo centrale quella notte. Secondo i carabinieri sarebbe stato lui a preparare i due inneschi. E’ stato lui a comprare gli orologi in un bar, 3500 lire tre paia. Altra stranezza, gli orologi non si comprano al bar. Chi ha fornito a Gunther quegli orologi? E sempre lui guidava il gruppo che doveva far saltare l’altro traliccio. Ma, altra stranezza, i periti accertano che l’innesco non poteva funzionare. Dunque era un attentato finto? E se Gunther fosse stato infiltrato nei Gap proprio da Fumagalli?
Dunque non sembra inverosimile che attorno al traliccio di Segrate si sia giocata una partita di cui il miliardario guerrigliero non era consapevole.

Nel giro di qualche settimana vengono arrestati alcuni gappisti e scoperte quattro basi. In una di Milano la polizia sorprende Saba e Viel, quello della 22 Ottobre scappato dopo l’uccisione del fattorino. I Gap, che fino a quella sera, avevano compiuto solo qualche piccolo attentato, si sciolgono. Alcuni mollano la guerriglia, altri, compreso Pisetta, passano nelle Br.

Le indagini portano anche a Carlo Fioroni, a cui è intestata l’assicurazione del pulmino. Fioroni è un insegnante delle medie ed è il capo di Lavoro Illegale a Milano, a riprova della collaborazione tra Gap e Potere operaio. Viene interrogato e subito rilasciato, così se ne scappa in Svizzera, dove PotOp ha una rete logistica molto efficiente.

Le stranezze di via Boiardo

Feltrinelli morto, i Gap distrutti. Ma anche per le Br è in arrivo un duro colpo.
Il sequestro Macchiarini è andato bene e i brigatisti pensano di alzare il tiro. Anche per dimostrare che la morte di Feltrinelli non porta a nessuna ritirata. Questa volta toccherà a un politico: Massimo De Carolis, giovane esponente della destra Dc milanese. Noto alle cronache per essere uno dei leader della Maggioranza silenziosa, il movimento della destra in doppiopetto che chiede ordine e pugno duro contro studenti e operai.

Semeria, Franceschini, Curcio e Buonavita

Semeria, sotto falso nome, ha affittato un appartamento in via Boiardo, collegato con una botola a uno scantinato. Qui sarà allestita la prigione, perchè non sarà un sequestro lampo. Da un mese lo seguono per studiarne le abitudini. L’azione, gestita da Franceschini, è prevista per il 2 maggio, ma una settimana prima De Carolis scompare. Qualcuno ha avvertito la polizia. Nelle Br c’è una talpa.
La Digos ha anche individuato Semeria e lo fa pedinare da una delle prime donne poliziotto. Lui entra nella base di via Boiardo, poco dopo ne esce e viene arrestato. La prigione, tutta bella foderata di polistirolo, è scoperta. Ma a questo punto succede una cosa incredibile.

Regola elementare, quando si scopre una base, è di non dirlo a nessuno, appostare uomini dentro e fuori e aspettare che arrivino i terroristi. Il questore invece convoca subito giornalisti e tv e annuncia tutto gongolante: <vi mostreremo una prigione del popolo!>. La brillante operazione di polizia è bruciata. Anni dopo il capo della Digos, Antonino Allegra, dirà che il comportamento del questore era stato incomprensibile. Di nuovo è lecito il sospetto che qualcuno aiuti le Br.

Mentre i giornalisti si assembrano davanti all’ingresso di via Boiardo, si fa largo un giovane che vuole entrare. Viene bloccato, è Marco Pisetta, incaricato di far dei lavori nella prigione. Dopo poco arriva anche Franceschini, vede l’assembramento, gira i tacchi e se ne va. Poi arriva Moretti, con la 500 della moglie. Parcheggia, si avvicina e vede Enzo Tortora microfono in mano. Anche lui se ne va e abbandona la 500. Telefona a casa: mi si è rotta la macchina, tarderò. Moglie e figlio lo rivedranno dopo 20 anni. Neppure madre e sorelle sapranno più niente di lui per 10 anni.
Senza la bella idea del questore, sarebbero stati presi due dei capi delle Br. La polizia grazie alla 500 abbandonata, risale a Moretti, fino a quel momento pressochè sconosciuto.

La talpa Pisetta

Appena arrestato, Pisetta racconta tutto quel che sa e sa molto delle Br. Tre giorni dopo è già libero. E’ lui la talpa e si è presentato al covo proprio per farsi prendere e allontanare da sè i sospetti. Tra l’altro è una vecchia conoscenza della polizia.

Pisetta abitava a Trento, dove sbarcava male il lunario con piccoli lavoretti. Nel 68 si mise a bazzicare l’università e le manifestazioni. Nella primavera del 69 compie due attentati, roba da poco, due bombe carta. Ma è anche maldestro, gli cade una foto della sorella. E’ scoperto e deve scappare. Lotta Continua lo nasconde, poi comincia a spostarsi di città in città, sempre accolto da compagni che di fatto lo mantengono anche. Nel marzo del 70 si fa arrestare. Condannato, dopo due mesi è già fuori. Ovvio il sospetto che lì sia stato reclutato. Il gen. Bozzo, braccio destro di Dalla Chiesa, ha ammesso che Pisetta era un infiltrato. Allo stesso tempo è emerso che era una fonte del Sid con criptonimo Fox.

Qualche mese dopo Pisetta verrà prelevato da uomini del Sid, nascosto da qualche parte e gli verrà fatto scrivere un memoriale nel quale accusa un po’ tutti, cercando di attribuire la strage di Peteano a LC. Un pacchiano falso (almeno in buona parte), che lui stesso smentirà con un contromemoriale.

Comunque sia, Pisetta parla e grazie anche ai documenti trovati in via Boiardo, vengono scoperte altre quattro basi, di cui una a Torino e sequestrate molte armi. Vengono trovati i negativi delle foto scattate a Macchiarini, lì le mani che tengono le pistole (che nella foto diffusa erano state tagliate) si vedono intere, compresa una cicatrice, grazie alla quale viene riconosciuto Giacomo Cattaneo alias Lupo, che viene arrestato. I negativi li aveva Moretti e li doveva distruggere, invece erano ancora lì. <O siete una manica di imbecilli o Moretti è una spia>, manda a dire Lupo, che da quel momento con le Br ha chiuso.

Vengono arrestati anche Levati e Farioli, uno della Sit-Siemens che in garage ha una piccola officina per modificare le armi. E una decina di militanti delle brigate di quartiere. Non resteranno in carcere molto, ma la rete logistica delle Br è praticamente smantellata e la polizia conosce ora i nomi di quasi tutti i brigatisti. Ma stranamente le indagini si fermano. Non verrà arrestato più nessuno. Franceschini commenterà: <Pisetta sapeva dove abitavo io e dove abitava Renato. Potevano prenderci tutti e distruggere le Br, ma non lo fecero>.
Anzi, dopo qualche mese, tutti, compreso Semeria, verranno scarcerati. Nonostante la brillante indagine e Pisetta, le Br sono intatte.

La riorganizzazione

I ricercati sono riusciti ad allontanarsi da Milano e a rifugiarsi in una cascina nel lodigiano, procurata da Bertolazzi.
E’ chiaro che qualcosa deve cambiare. Finora le Br si sono mosse in una situazione di semilegalità, con un livello di segretezza relativo e un’organizzazione approssimativa. Dopo il duro colpo deve iniziare una nuova fase. Innanzitutto viene deciso di mettere in piedi una colonna anche a Torino, dove vanno Curcio, Cagol, Buonavita, Pelli e Ferrari. Non si può fare la rivoluzione solo a Milano.

I quadri dirigenti debbono entrare in clandestinità, abbandonare cioè famiglia, lavoro e cambiare identità. I brigatisti si distingueranno in regolari (clandestini o legali), operativi a tempo pieno e stipendiati. (La paga è quella di un operaio, ma a un certo punto ci sarà una vertenza sindacale, perchè Bassi e Bertolazzi chiederanno un aumento, ottenendolo dietro minaccia di sciopero). E in irregolari, coloro che continuano ad avere una vita “normale”.
La compartimentazione deve diventare rigida, ogni brigatista deve sapere il meno possibile dei compagni. Non si deve comunicare via telefono, ma solo di persona, incontrandosi in luoghi, date e orari prefissati.

L’organizzazione nazionale e di ogni colonna viene suddivisa in fronti. Quello di massa, composto prevalentemente da irregolari, che debbono svolgere funzioni di propaganda, raccolta informazioni e arruolamento e sono divisi in brigate di fabbrica e di quartiere, più avanti anche di servizi (ferrovia, ospedali, ecc). Ogni brigata conosce un solo regolare con il quale si incontra circa una volta la settimana. Una brigata è composta al massimo da cinque persone, mediamente tre o quattro.
Quello logistico, tutti regolari, che provvede all’esistenza dell’organizzazione, cioè: armi, documenti, appartamenti, attrezzature, assistenza legale, addestramento, cassa. Quello della controrivoluzione, che si occupa dell’attacco allo Stato: polizia, magistratura, politici, ecc. Ogni fronte è comandato da due o tre regolari.

Viene nominato un comitato esecutivo, composto da 4 persone: Curcio, Franceschini, Moretti e Cagol. Più avanti ci sarà anche una direzione strategica, composta da rappresentanti di tutte le colonne e i fronti, che decide la linea politica ed elegge il Comitato.
Le colonne sono autonome, ma per le azioni più importanti, debbono avere l’ok dell’esecutivo. Resta ferma la regola iniziale: tutti, capi e gregari, regolari e irregolari, debbono sporcarsi le mani con le azioni armate. Non c’è distinzione tra politici e militari.

Curcio e Franceschini continuano a parlare di pesci che nuotano nell’acqua del movimento, ma la clandestinizzazione è una china alla quale non si sfugge. La clandestinità isola e i brigatisti sui luoghi di lavoro e nei quartieri debbono mimetizzarsi, fingersi moderati e bravi ragazzi anche nell’aspetto e inevitabilmente perdere contatto con le masse.

La riorganizzazione comporta che per tutto il resto del 72 non ci sono azioni. Le Br sembrano sconfitte e sparite. In realtà sono attive soprattutto all’interno delle banche, dove mettono a segno diverse rapine.
Perchè per migliorare organizzazione e sicurezza occorrono molte basi, non più affittate, ma acquistate, occorrono attrezzature e armi e più compagni in clandestinità e quindi più stipendi. Dunque occorrono molti soldi: <In quei mesi – racconta Franceschini – in dieci giravamo mezza Italia rapinando banche. E coi soldi comprammo un sacco di case>.

g.g.
(1) Quello che conserva il nome di Movimento studentesco è in realtà uno dei tanti gruppi extraparlamentari, il cui leader più noto è Mario Capanna, forse il gruppo più grosso a Milano

continua…     4) Calabresi e la prima “gambizzazione”