Capitolo precedente: 30) Ucciso Tartaglione. PL segue le Br. Eccidio delle Fcc

1979

Cresce il volume di fuoco nel vuoto politico

Il 78 si è chiuso con un numero di morti e feriti impressionante. Il 79 sarà peggio. Le azioni sono sempre più numerose e sanguinarie.

La lotta armata si sta espandendo e la consistenza delle formazioni combattenti sta crescendo. Le Br hanno ricevuto un duro colpo a Milano, ma il resto dell’organizzazione è intatto e ha rimesso piede in Veneto e tra poco si insedierà anche a Napoli.

Ma tutto ciò avviene in un vuoto politico ormai totale. Le Br in realtà non hanno mai elaborato obiettivi politici, se non quello di diffondere la lotta armata, sino alla guerra civile e alla sconfitta militare dello Stato.

Prima linea aveva pensato ad una lotta armata strettamente intrecciata alla conflittualità sociale e ai movimenti. L’obiettivo era la costruzione di spazi di contropotere dal basso, dentro al tessuto sociale. Ma ora ragiona e si muove come le Br, anche perchè i movimenti di lotta sono sempre più esangui.

Per tutta l’area armata di matrice “autonoma”, l’unico abbozzo di progetto politico ruota attorno a una parola magica: disarticolazione. In un documento delle Fcc c’è un tentativo di tradurre in termini più concreti il concetto: <Attaccare uomini non facilmente sostituibili mette in crisi l’apparato di controllo…. Attaccare chi garantisce l’effettualità del comando se avviene in modo costante e diffuso è l’inizio reale del contropotere>. In sostanza si vagheggia un crollo del sistema per estinzione, perchè non ha più uomini da rimpiazzare. Considerato che l’apparato di controllo, nelle loro analisi, arriva fino ai vigili urbani, non è un’impresa di piccole dimensioni.

Un bilancio fallimentare

Se sei un’organizzazione politica, anche se armata, ti dovresti porre il problema prosaico dei risultati, del rapporto tra quanto sangue spandi e ciò che conquisti. Ora le decine e decine di dirigenti azzoppati o anche uccisi non hanno migliorato in nulla le condizioni degli operai. I poliziotti e carabinieri e magistrati uccisi non hanno indebolito affatto lo Stato. Le guardie ammazzate non hanno liberato un solo prigioniero, nè fatto star meglio nessun carcerato. Non è alle viste neppure un barlume di disarticolazione.

Ma nessuno questo problema se lo pone. La lotta armata è ormai entrata in una dimensione esistenziale. Si spara per esistere; si spara perchè il “successo” militare ti inebria; si spara perchè per molti la vita ormai viaggia dentro un capsula con i vetri opachi che neanche si vede fuori.

Lo dimostra anche la moltiplicazione molecolare dei gruppi armati. Ora sono otto quelli di qualche consistenza, più microgruppi e cani sciolti. Spesso si aderisce all’uno o all’altro per via di amicizie, di comuni frequentazioni, di simpatie, la logica politica sfuma sullo sfondo. Tanto che poi si passa dall’uno all’altro con grande frequenza.

Il consenso, l’allargamento della propria base sociale, sono idee totalmente estranee alla lotta armata. Ma ora l’isolamento, anche nei confronti di quegli strati sociali dei quali ci si proclama avanguardia, è evidente, profondo, basta andare ad uno dei tanti funerali, lo tocchi con mano. Anche quella rete di simpatia e di fiancheggiamento alla quale si sono appoggiati, si sta sfilacciando.

Lo spiega bene Ferrandi, parlando del dopo Moro: <Disporre di una rete amica, cioè gente che non vuole compiti o ruoli e non parteciperebbe ad azioni, però è disposta a fornirti le case, i documenti, a tenerti le armi è fondamentale… Quando questo tipo di personaggi, che…. tengono in vita l’organizzazione, cominciano a sganciarsi, intuisci, anche se lo rimuovi a livello ideologico, che la gente fa macchina indietro.>.

Il progetto Metropoli

Solo Piperno e Scalzone mostrano di avere un minimo di consapevolezza di tutto ciò, seppure ancora rinchiusa in una farneticante prospettiva di rivoluzione armata. Con l’operazione Metropoli, che hanno messo in piedi, hanno l’obiettivo (non nuovo in realtà) di fornire alle armi un’analisi e una prospettiva politica. Se non di unificare, almeno di coordinare le varie organizzazioni, proponendosi come cervello teorico-politico o comunque esercitando su di esse una sorta di eterodirezione. E’ il vecchio discorso della cerniera tra brigatismo e lotta illegale (e anche armata) diffusa.

Scalzone e Piperno sono una coppia fissa fin dalle occupazioni dell’università a Roma nel ’68. In realtà i due sono abbastanza diversi. Il primo conduce sin da allora, trasferitosi a Milano, vita da sovversivo di professione, nelle assemblee, nelle strade e nelle piazze. Piperno è invece diventato professore universitario, fa il teorico, eleva peana alla potenza militare espressa in via Fani e intanto frequenta i salotti buoni e qualche ministro.

Soprattutto Scalzone ritiene che con Moro le armi abbiano ormai preso il sopravvento su ogni ragionamento politico. Pur non rinnegando la lotta armata, ritiene occorra invertire questa tendenza, abbassare il livello militare a vantaggio di una ripresa della lotta legale o semilegale. Propositi vagamente in contraddizione con una barca piena di armi pesanti appena arrivata dal Libano, ma tant’è.

Sarà comunque un fallimento. Non solo non raggiungerà nessuno di questi obiettivi, ma la sua stessa organizzazione, i Cocori, nel giro di qualche mese andrà in frantumi. Dividendosi in quattro spezzoni. Del Giudice, con qualche milanese, se ne va per conto proprio. Costa, Palmero e altri confluiscono in Prima linea. Balducchi e i veneti da un’altra parte. Con Scalzone e Metropoli restano un po’ di romani, Morelli, Corto Maltese e molte armi.

L’unico effetto prodotto dal progetto Metropoli è una piccola scissione nelle Br romane, che Piperno per altro neanche voleva.

La colonna romana si ingrossa

La colonna romana, dopo Moro e poi nel ’79, si ingrossa. Sono almeno una quindicina i nuovi arrivi, in sei vengono dalle disciolte Ucc. Appena scarcerata rientra anche Mara Nanni. Era stata arrestata il 12 marzo del 77, durante gli scontri dopo l’uccisione a Bologna di Lorusso, aveva sparato a due carabinieri. In tutto lo colonna conta su una settantina di militanti. A cui vanno aggiunti gli Mpro, che a fine 79 saranno una quindicina, considerato che mediamente cono composti da 4 o 5 persone, sono un’altra settantina di giovani utilizzabili, anche se non sono propriamente brigatisti.

Il capo ora è Gallinari, dopo che Moretti si è trasferito a Milano per tappare la falla di via Montenevoso. Ha 28 anni, è il più ortodosso tra gli ortodossi delle Br, chi lo conosce lo descrive come un uomo gentile, quasi mite, ma reso duro come l’acciaio da una fede incrollabile nella sua missione rivoluzionaria. Così lontano, anche nell’aspetto, quasi sempre in giacca e cravatta, dalla massa dei pistoleri delle altre formazioni, Ora ha fatto anche carriera, è entrato nell’esecutivo assieme a Fiore e la Brioschi per rimpiazzare Bonisoli e Azzolini.

Ma niente fidanzate

Le regole brigatiste che lui applica con assoluto rigore, sono molto dure per le nuove reclute. C’è ad esempio il problema delle fidanzate. Massimiliano Corsi si è tirato dietro Manuela, la sua ragazza, ma gli viene imposto di separarsi: <Fu un grosso trauma, ma lo nascondemmo per non mostrarci deboli>. Ad Avemaria Petricola, un’altra entrata per seguire il fidanzato Giulio Caciotti, uno che sta nelle Br fin dall’inizio, impongono di sposarsi. Brogi viene retrocesso da irregolare a contatto anche perchè ha una fidanzata non brigatista e lui si rifiuta di mollarla. Un altro, in procinto di entrare, quando gli dicono che deve lasciare la sua ragazza, saluta la compagnia. La regola riguarda anche gli amici. A David, incaricato di fare da deposito di armi, gli dicono che, per ragioni di sicurezza, deve troncare le sue vecchie amicizie. Lui si rifiuta e se ne va, seguito da altri due.

La rottura con Morucci e Faranda

I contrasti, sorti con Morucci e Faranda sulla sorte di Moro, non sono rientrati. Il dissenso dei due, sempre più vicini alle posizioni di Piperno e Scalzone, riguarda ormai l’intera strategia delle Br.

Secondo loro non si è di fronte a una crisi profonda del capitalismo e non c’è nessuna guerra civile alle porte, il sequestro Moro è stata una fuga in avanti, che ha isolato le Br rispetto al movimento rivoluzionario. Occorre tornare nei quartieri e nelle borgate a lottare, anche con le armi, ma senza uccidere, per i bisogni della gente: la casa, il carovita, il lavoro nero. Tutte cose che le Br ritengono secondarie, rispetto alla questione centrale: l’attacco allo Stato. E ancora bisogna cercare di unificare tutta l’area combattente, aprirsi a rapporti con gli altri, abbandonare il mito delle Br-partito, unica guida della rivoluzione.

Faranda e Morucci

Quello che pensano Morucci e Faranda equivale allo rottamazione della storia delle Br. Sono posizioni che però esprimono con molta cautela, perchè dentro un’organizzazione di questo tipo è meglio essere prudenti, è un attimo essere trattati da traditori. In ottobre hanno proposto di utilizzare la rivista Metropoli, visto che le Br da tempo stanno pensando a uno strumento di propaganda. Poi hanno proposto di accettare l’offerta di armi fatta dai Cocori, ce n’è bisogno, l’armamento brigatista è un po’ vecchio. Scalzone le regala in cambio di una collaborazione politica.

Ma la risposta è un no secco alle sue proposte. Quelli dell’esecutivo si convincono che Morucci sia manovrato da Piperno e Scalzone, cosa che sospettano da un po’.

I due cercano consensi dentro la colonna romana, ma con scarsi risultati, pare che siano d’accordo con loro Lojacono, Casimirri e l’Algranati, che però non si espongono. E forse Maccari, legato da sempre a Morucci, che infatti esce dalle Br, senza però una presa di posizione politica. A dicembre in direzione di colonna Morucci e Faranda restano soli e allora si dimettono. Vengono mandati in un paesino, isolati. Scrivete un documento che poi ne discutiamo, gli dicono. Ma è chiaro che è la premessa dell’espulsione.

Un documento lo preparano, ma scrivono che le Br sono in mano a una polizia stalinista e che il regime capitalista è un paradiso terrestre della democrazia rispetto a loro. Intanto Morucci raccoglie più armi che può e anche denaro. Piperno vorrebbe che restassero, per cercare ancora, attraverso loro, di condizionare le Br. Ma ormai non è più possibile.

In febbraio se ne vanno dal confino con otto valige di armi e 30 milioni, su una parete lasciano scritto: “no al fermo di polizia”. In una valigia c’è anche la Skorpion che ha ucciso Moro. Pace e Piperno procurano una casa dove nascondersi. Con loro escono altri cinque, tutti personaggi minori.

Morucci sostiene che le armi son quelle che lui aveva portato in dotazione alle Br e i soldi sono la quota del riscatto Costa che gli spetta. Ma la cosa fa ovviamente infuriare gli ex compagni, che cercano di fare terra bruciata attorno a loro, minacciando chiunque pensi di aiutarli. Diffondono anche i nomi, quelli veri, dei fuoriusciti. Chissà, se arrivano all’orecchio della polizia, potrebbero toglierli di mezzo loro. E c’è anche ci propone di ucciderli.
Buona parte delle armi verranno poi restituite.

Nel giro di poche settimane i due mettono in piedi un nuovo gruppo, il Movimento comunista rivoluzionario (Mcr), che raccoglie un discreto numero di ex Cocori, ex Ucc, aderiscono anche tre Mpro (i gruppi di quartiere fiancheggiatori delle Br). Morelli, per conto di Scalzone, dà una mano con 20 milioni. Nell’atto fondativo c’è il rifiuto dell’omicidio politico e un programma di azioni legate ai bisogni del proletariato, in primo luogo la casa. Sono previste al massimo delle gogne. Per iniziare vengono compiute 4 o 5 rapine.

Il gruppo non avrà però un grande futuro. In maggio Morucci e Faranda verranno arrestati nell’appartamento di Giuliana Conforto che li ospita, una collega di Piperno, che ha sempre giurato di non sapere chi fossero quei due.
La donna è figlia di una spia di Mosca. O meglio di un triplogiochista, visto che collabora col Sismi e lavora anche per gli americani. Si è sospettato che sia stato lui a far catturare i due, così dirà anche Cossiga. In realtà pare che a tradire Morucci sia stato un amico di infanzia.
Restano però punti oscuri. Ad esempio i passaporti intestati ai due con visto per il Mozambico, paese nell’orbita sovietica, che potrebbero essere arrivati tramite Conforto padre.

Arrestati e mandati in “soggiorno”

A gennaio erano già stati arrestati altri tre brigatisti romani: Marina Petrella e Luigi Novelli marito e moglie, e il fratello di lei, Stefano. La Digos in via Gradoli aveva trovato i nomi e i dati della patente di quattro persone, sottratti ai loro proprietari per usarli su documenti falsi. Coincidenza, lavoravano tutti in una scuola fuori Roma, dove la segretaria era Marina, nota per la sua militanza politica. Da lei si era risaliti al marito, trovato in possesso di volantini e altro materiale brigatista. Il fratello di lei, Stefano, 23 anni e studente di sociologia, l’avevano lasciato libero nella speranza che portasse ad altri brigatisti, ma dopo un mese di inutili pedinamenti, anche lui è stato arrestato.

Sorprendentemente vengono mandati in soggiorno obbligato in Abruzzo. Ci resteranno poco, torneranno a Roma e diventeranno capi e killer tra i più pericolosi.

Assalto a Radio citta futura

L’anno comincia a raffiche di mitra nelle gambe. Ma a spararle sono i fascisti dei Nar. In sei o sette, comandati da Giusva Fioravanti, fanno irruzione a Radio Citta Futura. Vi trovano solo cinque donne, che si mettono ad urlare e scappano giù per le scale. Danno fuoco e Giusva, con la solita freddezza, spara alcune raffiche, le colpisce tutte, alle gambe, una subisce ferite gravi all’utero.

Manifestazione dopo l’assalto dei Nar alla radio

Due mesi dopo arriva la vendetta. Un commando spara a Miro Renzaglia, un fascista abbastanza noto. Quattro colpi vanno a segno, riducendolo in fin di vita. Si salverà per miracolo, vivendo il resto dei suoi giorni con un proiettile in corpo. L’agguato è rivendicato da uno sconosciuto “Nucleo proletario antifascista Scialabba”, il giovane ucciso dai fascisti un anno prima.

L’ultimo “scalpo” delle Fcc

Anche i resti delle Fcc vogliono il loro scalpo carcerario. Sono gli ultimi colpi prima di sparire. Il carcere è ormai la questione dominante e tutti si accodano.

L’obiettivo scelto è Franco Lombardo, medico del carcere di Varese. Non si è macchiato di particolari colpe, semplicemente è il più comodo, visto che ad agire è il nucleo di Luino. Il 15 gennaio in tre, due sono marito e moglie, ventiduenni, fanno irruzione nel suo studio. Medico e pazienti vengono fatti stendere a terra. Uno spara, ma non alle gambe, lo ferisce al braccio e di striscio alla testa. Non è chiaro se sia un omicidio fallito o una mano tremante.

Sei colpi in faccia

Mentre anche dentro alle Br qualcuno ha tentato di fermare la spirale sanguinaria, paradossalmente dentro quella spirale si getta a capofitto chi era nato con altre idee. Sono i torinesi di Prima linea.

Le varie sedi dell’organizzazione si sono sempre mosse con una certa autonomia, ma negli ultimi tempi Torino se ne va per conto proprio. L’ingresso nel comando di Bignami e Azzaroni ha rafforzato la linea militarista del duo Laronga e Russo. Già a novembre hanno lanciato la campagna sulle carceri con il ferimento del solito medico, ma è venuto il momento di uccidere.

Da poco è uscito dal carcere Guido Manina che ha fatto il nome di una guardia, Giuseppe Lorusso, indicandolo come un picchiatore. Ecco il condannato a morte. Per sei volte l’agguato viene tentato e rinviato, perchè Lorusso non esce oppure esce coi bambini. Il 19 gennaio è la volta buona. Hanno tutti il giubbotto antiproiettile. Laronga è di copertura, Giai al volante, Bignami e Russo sparano dieci colpi con una 38 e una 357 magnum. Quando PL vuole uccidere usa sempre questo tipo di pistole con proiettili a punta cava. Sei proiettili gli distruggono la faccia. Laronga dirà che il risultato era stato piuttosto impressionante.

La campagna carceri dei torinesi non è condivisa dal comando nazionale (Segio, Solimano, Donat Cattin, Ronconi, Laronga), tanto meno l’uccisione di un semplice secondino. E’ giudicato solo un tentativo di inseguire le Br. Nella successiva riunione, Donat Cattin e Laronga vengono quasi alle mani, Solimano deve dividerli. I torinesi vengono accusati di settarismo. <La campagna carceri in una città dove il 73% della gente è legata alla grande madre Fiat è un errore>, accusa Donat Cattin. E poi di fronte al racconto di Laronga, sbotta: <Non è necessario uccidere in quel modo una persona>. Peccato che, di lì a pochi giorni, i milanesi non saranno da meno.

Le spese di PL

Maurice Bignami

Prima linea è cambiata nell’ultimo anno. Ha abbandonato lo spontaneismo e il movimentismo dei primi tempi. Ora i clandestini sono un certo numero, così come le basi e i prestanome. Uno come Fagiano, che continua far vita da fricchettone, in giro per bar e senza documenti, è stato congelato. Anche se non è un’organizzazione come quella brigatista, tenerla in piedi costa qualche centinaio di milioni l’anno (Bignami parla addirittura di 864 milioni in nove mesi). I clandestini hanno uno stipendio di 400mila lire al mese più le spese. Poi ci sono i soldi per le famiglie che hanno vittime o carcerati. E le case, le attrezzature, le armi, gli avvocati. E anche qualche spesa voluttuaria, in fondo uno degli obiettivi non è la riappropriazione della ricchezza? A Natale i membri del comando si sono regalati un orologio da un milione a testa e Bignami si è messo in casa una moquette da 36mila lire al mq.

Prima linea è rimasta ancorata alle sue sedi storiche: Milano, Torino, Bergamo, Firenze e Napoli. Molto difficile fare numeri, anche perchè la separazione tra PL e le Squadre è abbastanza labile e le squadre sono realtà aperte e fluttuanti. A Torino c’è stato un certo reclutamento, Milano invece ha perso qualche pezzo. Si può valutare che all’inizio del 79 a Torino ci siano una sessantina di militanti, così come a Milano, un numero inferiore a Firenze e Napoli, una ventina a Bergamo, più un certo numero in centri minori. In totale tra i 250 e i 300, più i fiancheggiatori.

Stipendi ricchi quelli di PL rispetto alla paga dei brigatisti, che è pari allo stipendio di un operaio, poco meno di 300 mila al mese, senza però affitto e bollette da pagare.

Colpire anche gli infermieri

Già il giorno dopo l’uccisione di Lorusso sono le Br a portare avanti la loro campagna di annientamento delle forze dell’ordine. Due killer tra i più attivi della colonna torinese, Acella e Panciarelli, vanno ad uccidere Francesco Sanna, un vicebrigadiere di polizia. Che però è solo ferito gravemente e si salva.

Il 23 gennaio rispuntano le Ucc, uscite di scena da diversi mesi. A Napoli un commando irrompe nello studio del medico Mauro Carmignoli e lo ferisce alle gambe con due colpi di pistola. I medici evidentemente son ormai considerati tra i principale oppressori del proletariato.

Non solo i medici, anche gli infermieri. I collettivi autonomi, ormai marginalizzati nelle fabbriche, sono invece cresciuti nei servizi pubblici, in particolare nel settore ospedaliero. Negli ultimi mesi ci sono state lotte dure a Milano, Roma e in altre città, con contorno di sabotaggi, minacce e qualche violenza. Il clima è piuttosto caldo al policlinico di Milano, dove è presente anche un nucleo brigatista.

Ma è Prima linea che decide di intervenire, ritenendo la situazione favorevole. La modalità è quella standard: azzoppare. La vittima scelta invece un po’ sorprende. E’ Battista Ferla, non è un dirigente, ma un capoinfermiere delegato sindacale Cisl. Lo accusano di essere <uno dei maggiori esecutori del progetto di ristrutturazione e di repressione…. delatore e diretto responsabile dei numerosi licenziamenti>. Il 24 gennaio lo aspettano sotto casa in tre, c’è anche il nipote del vescovo di Bergamo, lui cerca di scappare, ma lo inseguono e lo feriscono.

Per completare l’offensiva sanitaria, il giorno dopo un gruppo che si firma Compagni organizzati per il comunismo, ferisce a Napoli l’ennesimo medico.

… e i Centri antidroga

A Torino l’attività di PL in febbraio è intensa. I capi fanno un attentato dinamitardo ad una caserma dei carabinieri in costruzione. Ma la maggior parte delle azioni sono affidate alle squadre, che ora si chiamano “ronde”.

Il comandante Ivan (Giai) e D’Ursi portano un gruppo di giovani a fare esperienza, ma non sarà un successo. Irrompono in una ditta che lavora al nuovo carcere. Legano e imbavagliano sette persone. Poi appiccano il fuoco, un paio di impiegati restano ustionati. Quando fanno per andarsene, la porta è bloccata e così sono chiusi dentro. Debbono calarsi dalla finestra, uno ha paura e debbono spingerlo giù a forza. Scappano e si dimenticano quello che tiene a bada la custode.

Sempre Giai e D’Ursi e un altro entrano alla pubblicitaria Manzoni. Anche qui legano molte persone, poi affiggono un cartello che inneggia alla “guerra civile dispiegata” e lasciano un opuscolo con ordine di pubblicarlo su Repubblica.

Uno degli obiettivi della campagna contro il controllo sociale sono i Centri antidroga. La motivazione rappresenta una delle punte più alte della loro analisi visionaria del sociale: <sotto la parvenza democratica ed umanitaria del recupero dei drogati, sono in realtà centri di schedatura e di ricatto: metadone in cambio di informazioni>. Quali informazioni non è chiaro.

Comunque l’immancabile Giai guida le Ronde di Orbassano e val di Susa all’assalto di uno di questi centri. Legati i presenti, si dà fuoco. Uno dei medici è un militante di Lotta continua e sul giornale racconta come quei ragazzini neanche sapevano cosa facesse un centro come quello.

g.g.

Capitolo successivo: 32) Uccisi Guido Rossa e il giudice Alessandrini.