Capitolo precedente: 34) L’inchiesta 7 aprile. LA fine dei Pac. Assalto alla Dc

 

Le Fcc e l’infiltrato

Le Fcc sono ormai allo sbando. Quelli al Sud sono in galera, al Nord metà se ne sono andati e han fondato i Reparti comunisti d’attacco. Barbone e i suoi amici si son fatti un gruppetto loro, si firmano Guerriglia rossa. Ed ora anche tre della prima ora come Serafini, la Belloli e Zanetti han deciso di passare alle Br.

Un militante delle Fcc

I pochi rimasti, il 27 maggio, si trovano in un bar di Como, le riunioni si fanno in luoghi pubblici, è la regola base. Sono in sette, la loro idea è di rilanciare le Fcc ed unirsi ai Pac, e son lì per discuterne. Ma hanno anche un altro problema. Grosso. Uno dei varesini, uno che insegnava a sparare ai più giovani, da qualche tempo fa l’informatore dei carabinieri di Dalla Chiesa, che lo chiamano “il postino”, perchè di mestiere fa il portalettere.
E’ Rocco Ricciardi, quello che ha ancora una pallottola in corpo, regalo di una rapina. In marzo la sua casa è stata perquisita dai carabinieri, che vi hanno trovato una pistola. Ma il cap. Arlati, quello che ha scoperto via Montenevoso, ha detto che potrebbero anche non averla vista, a patto che…. E a Rocco è parsa una buona idea. Lui al bar non c’è, ma al posto suo arrivano i carabinieri. E tutti, Brusa, Colombo, Piroli, Bellerè, Carcano più altri due finiscono in manette. Ma nessuno sospetta di Rocco.

Le Br rifugio sicuro
La crisi di alcuni dei gruppi minori spinge molti a rivolgersi alle Br. Un approdo sicuro, una sorta di casa madre, con la loro organizzazione efficiente e le regole ferree. Anche i “Reparti” ci stanno pensando ed hanno avviato contatti. Certo che, per gente che viene da Rosso, le Br sono un bel salto, un altro mondo. Ma è chiaro, le armi ormai prevalgono su tutto, con buona pace delle ideologie, si va dove si può continuare a sparare.
Anche se poi scoprono che anche le Br hanno i loro problemi. Per qualche tempo Serafini e Belloli sono costretti a dormire sui treni, perchè di appartamenti disponibili non ce ne sono..

Prima linea, lotta dura contro i vigili
Dopo la morte di Caggegi e Azzaroni e la vendetta fallita, Prima linea frena la sua china omicidiaria. A Torino viene abbandonanata la campagna carceri. Si abbozza un ritorno a tematiche più sociali e viene ripresa la campagna contro il controllo sociale e la cosiddetta militarizzazione del territorio. In pratica contro tutte quelle categorie o istituzioni che hanno una funzione disciplinare. E la cui punta di diamante pare siano i vigili urbani, particolarmente invisi perchè dipendenti comunali, cioè nell’ottica piellina e di tutta l’area dell’Autonomia, la polizia del Pci.

Maria Teresa Conti

Il 30 aprile un commando di cui fanno parte Giai, D’Ursi, Sandalo e altri tre fa irruzione in una sede dei vigili, ne immobilizzano due e li fanno spogliare. Intanto arriva gente che viene ricnhiusa in uno stanzino. L’intenzione è di fotografarli nudi, ma hanno dimenticato la macchina fotografica.
La notte del 4 maggio una quindicina di militanti delle ronde fanno scoppiare bombe (preparate da Bignami e Zambianchi, che hanno preso lezioni dall’Eta) in sette sedi dei vigili.
Una settimana dopo sono le ronde milanesi a fare irruzione in una sede dei vigili, dove rubano armi e soldi. Giorni dopo a Torino viene incendiato l’autoparco dei vigili. Dalla liberazione degli oppressi e sfruttati si è passati alla liberazione dalle multe.

I capi invece si dedicano soprattutto alle rapine: banche, uffici postali e aziende. Ne vengono messe a segno un bel numero. In un’officina di Torino, dove vengono rapinate le buste paga, in quattro (c’è anche la 23enne Maria Teresa Conti) debbono neutralizzare 13 pesone.
A Milano bloccano l’auto del titolare di una ditta e siccome non vuol mollare le buste paga, gli sparano in una gamba.

… e gli aborti clandestini
PL ha sempre coltivato anche un filone giustizialista. E a Torino il 18 maggio si decide di punire Domenica Nigra, un’ostetrica nota per fare aborti clandestini. E’ un’azione in chiave femminista e dunque deve essere una donna a sparare. Due ragazze, una è Rosetta, sorella di Francesco D’Ursi, è la sua prima azione, l’altra è Maria Teresa Conti, accompagnate da Giai e Zambianchi, dopo aver immobilizzato il custode, prendono l’ostetrica, le mettono un cartello al collo con scritto “Faccio aborti a catena a 300mila lire l’uno”. Poi Giai dice a Rosetta di spararle a una gamba. Non ha mai sparato e le trema la mano, allora Giai gliela prende, la tiene ferma e lei preme il grilletto due volte.

I quattro trovano nell’ambulatorio 2,7 milioni, l’incasso di giornata, e documenti bancari che mostrano un giro di affari di 95 milioni dall’inizio dell’anno. La rivendicazione: <La pratica combattente dei comunisti contro questi avvoltoi, […] è il solo modo che i proletari conoscono per affermare i propri diritti e per punire chi ancora crede di potersi ingrassare alle loro spalle… è il solo modo per spezzare la catena della propria oppressione, per entrare nella storia da protagoniste e non solo da opache figure di fondo>.

PL gli arresti e la crisi
Pochi giorni prima PL ha subito però un duro colpo. L’11 maggio a Firenze sono stati arrestati otto militanti, tra cui il capo, Sergio D’Elia, personaggio di spicco anche a livello nazionale. Assieme a Rosso e Solimano è una delle menti politiche di PL. A loro il Pm Vigna è arrivato dopo alcuni mesi di indagini sul collettivo di architettura, che era stato la culla di molti piellini. Intercettazioni e pedinamenti, a dimostrazione che, se si indaga davvero, qualcosa si trova.

Sergio D’Elia passato nelle fila del partito Radicale

Pochi giorni dopo i carabinieri scoprono a Prato la base logistica di Prima linea e catturano Florinda Petrella. Il 9 luglio la Digos arresta in stazione, appena sceso da un treno, Solimano. La polizia parla di arresto casuale, ma è poco credibile. Solimano da qualche tempo stava a Torino ed era quasi sconociuto. E’ molto probabile che sia arrivata una soffiata.

Tra gli arrestati molti cominciano a parlare, rivelando per la prima volta la fragilità di molti militanti di PL, che una volta dietro le sbarre perdono rapidamente l’euforia pistolera e si pentono. La sede fiorentina non si riprenderà più. E il comando nazionale è allo sbando. Dopo aver perso Solimano, perde anche Segio, che si dimette in disaccordo con la scelta di mantenere l’organizzazione troppo aperta, cosa che aveva portato alla caduta di Firenze. Se si fa la lotta armata, bisogna accettarne le regole di sicurezza. Anche Donat Cattin si è dimesso, di fatto rimane nel suo ruolo, ma è ormai maturo il suo distacco definitivo.

Br, ora si spara anche in casa
Giugno è un mese relativamente tranquillo. L’unica azione di rilievo è opera delle Br a Torino. L’8 giugno ad essere colpito è Giovanni Farina, un sorvegliante del reparto presse della Fiat, nello stesso reparto lavora Giuliano Farina, ferito anche lui tre mesi prima. La modalità è nuova e più efferata. Perchè Peci e Betassa, l’operaio della Fiat così tranquillo e silenzioso che nessuno avrebbe mai detto fosse un brigatista, entrano in casa, dove ci sono anche la moglie e la figlia tredicenne. Peci spara otto colpi e lasciano l’uomo sul pavimento in una pozza di sangue.
Peci ha raccontato che, a volte, prima di entrare in azione ha vomitato. Ma le vittime non ne hanno tratto alcun giovamento.

La sconfitta del Pci
In giugno ci sono anche le elezioni, che segnano una dura sconfitta del Pci, dopo dieci anni di avanzate nel Paese e nelle urne, e la morte della strategia del compromesso storico.
Il Pci perde il 4%, non vincono Dc e Psi che restano invariati, parte dei voti in uscita dal Pci se li prende il Partito Radicale. Ma è comunque una sconfitta storica, che registra e segna l’inizio di una nuova epoca politica. Le ragioni sono molteplici e complesse, ma di certo tre anni di piombo e sangue non hanno aiutato i comunisti. Non a caso qualcuno ha lasciato che quella violenza crescesse impunemente e ora raccoglie i frutti.

Un cadavere abbandonato
Il primo luglio al parco Lambro viene trovato il cadavere di un ragazzo. E’ lì, in mezzo alle sterpaglie, da diversi giorni perchè il corpo è molto rovinato. Si chiamava Luigi Mascagni, era uno studente, è stato ucciso da un proiettile in pieno petto. Prima stava in Lotta Continua ora faceva parte di un gruppetto vicino a PL.
La sua morte è rimasta avvolta nel mistero per diverso tempo. Poi un pentito ha rivelato che sarebbe morto durante un trasporto di armi e, i suoi compagni, per non far scoprire la base dove stavano le armi, l’avrebbero portato nel parco. Un colpo che parte mentre si trasportano armi è molto strano. Ma questa è l’unica verità. Oltre al fatto certo che un ragazzo di 23 anni è stato abbandonato nel fango alla mercè degli animali.

Il colonnello Varisco
Da qualche mese le Br hanno deciso di uccidere il colonnello dei carabinieri Antonio Varisco, responsabile, secondo loro, della bunkerizzazione dei processi. Nel linguaggio brigatista significa impedire i “processi guerriglia”, cioè i proclami degli imputati e le minacce alla corte e le manifestazioni di protesta e solidarietà del pubblico. Varisco è il capo del “Nucleo traduzione e scorte del tribunale” a Roma. Per di più, secondo le Br, è un uomo di Dalla Chiesa. E dunque l’hanno individuato come l’uomo di raccordo tra magistratura e corpi speciali antiguerriglia.

Il colonnello Antonio Varisco

Ma Varisco non è uomo di Dalla Chiesa, è molto di più. E’ uomo dalle molte relazioni e dalle molte informazioni. Sa tutto delle indagini della magistratura romana, ha rapporti con uomini politici, ha contatti quasi quotidiani con Pecorelli, anche perchè la sua compagna è la segretaria del giornalista. Era tra i primi in via Gradoli, dove un brigatista l’ha anche fotografato. Ha dato una mano a Chicchiarelli a scrivere il falso comunicato del lago della Duchessa. Ha un rapporto molto stretto con Cefis, il potente capo dell’Eni. Ma tutte queste cose i brigatisti non le sanno.

Varisco è prudente, cambia sempre orari e itinerario. Ma le Br ha forza di pedinarlo si sono accorte che ogni tot giorni rifà lo stesso percorso. Per oltre un mese lo aspettano sul lungo Tevere, con una staffetta, Cecilia Massara, che in motorino lo segue e deve avvertire se passerà di lì.
E finalmente il 13 luglio Cecilia, dopo aver superato la Bmw del colonnello, passa con il fazzoletto al collo. E’ il segnale convenuto. Allora – racconta Savasta – lui e Piccioni, appena la Bmw passa, si accodano con la loro 128 e dietro loro si mette un’altra auto con a bordo l’Algranati e Perrotta, uno studente di lettere.

Piccioni che guida affianca l’auto di Varisco. Dal finestrino posteriore, dove è seduto Savasta, spunta il fucile a canne mozze calibro 12. Il primo colpo va a vuoto, Varisco cerca di accelerare, ma c’è traffico. Il secondo colpo lo centra. Il terzo non esplode. Le auto intanto si sono fermate. Il quarto colpo va a segno di nuovo. Il calibro 12 è devastante. L’Algranati lancia un fumogeno, ma ha preso quello sbagliato ed è invece un razzo illuminante. Le due auto si allontanano e vengono abbandonate non molto lontano, poi tutti prendono il bus.

Antonio Savasta

Per Varisco era l’ultimo giorno di lavoro, poi andava in pensione, anche se ha solo 52 anni.

Nel volantino le Br accusano Varisco di <predisposizione al ruolo di boia e torturatore…. ce lo ricordiamo quando comandava le cariche contro i compagni presenti ai processi di regime… e impegnarsi personalmente nel pestaggio in aula delle compagne Vianale e Salerno>. Si tratta di accuse inventate, tra l’altro non c’è stato nessun pestaggio in aula durante il processo ai Nap.
E’ anche per queste plateali imprecisioni che attorno a questo omicidio si sono imbastite le solite ipotesi di trame misteriose e di oscuri mandanti. Originate sia dal ruolo di Varisco, al centro di una rete di rapporti e di ruoli indubbiamente ricchi di retroscena sia dal fatto che uccidere uno che è già in pensione non ha molto senso.

In realtà si tratta di ipotesi prive di riscontri, basate sulla sopravvalutazione della capacità delle Br di avere informazioni. Delle molte facce di Varsico sapevano poco o niente ed anche sul pensionamento, dopo aver detto che non ne erano all’oscuro, Savasta ha aggiunto che comunque non ci credevano, per loro era un depistaggio. E nella loro visione alterata della realtà è del tutto plausibile. Quanto al volantino non c’è nulla di strano. Le Br li scrivono sempre così: una supposizione diventa certezza; un piccolo fatto viene dilatato sino a diventare una mostruosità; si attribuiscono colpe a singole persone basate solo su schematismi ideologici.

PL, il morto per caso
Prima linea è senza una strategia e una direzione politica. Di fatto non c’è più un comando nazionale, ogni sede va sempre più per suo conto. E mancano anche i soldi. E’ urgente rimpinguare le casse. Per questo viene organizzata una rapina alla Cassa di Druento, il 15 di ogni mese arrivano molti soldi per le buste paghe di un’azienda. Non è una rapina semplice, per questo vanno gli uomini più esperti di Torino. L’hanno chiamata “operazione Durango”, ispirandosi alla rivoluzione messicana e hanno deciso di dire qualche frase in spagnolo.

Donat Cattin entra in banca come un normale cliente. Sandalo e Biancorosso, vestito da alpino, debbono neutralizzare le due guardie giurate, una davanti alla banca e una dall’altra parte della strada, molte banche hanno rafforzato la sorveglianza. Non è cosa difficile, i due alzano subito le mani. Ma proprio davanti all’ingresso ci sono anche due vigili che fanno multe. Sandalo ordina anche a loro di entrare in banca. Poi entra anche Bignami, che urla al cassiere, chiamandolo per nome, di consegnare i “dineros”. Fuori è rimasto Giai.

Sandalo fa stendere a terra i quattro in divisa. Ma una delle guardie fa per alzarsi o forse fa solo un movimento inaspettato. Sandalo lo colpisce in testa col calcio, ma parte un colpo che centra la tempia di un vigile, che muore sul colpo senza neanche un gemito. Tanto che gli altri non si accorgono che è morto. Il caveau però è inaccessibile, perchè qualcuno ci si è chiuso dentro. Le cose vanno per le lunghe. Fuori si è radunata una folla di curiosi, Giai in mezzo la strada deve minacciarli col suo Sten, urlando di stare lontani. Alla fine se ne vanno con 70 milioni, meno del previsto e con un morto in più del previsto.

Civitate, il morto sbagliato
La discussione seguita alla vicenda Azzaroni-Caggegi, ha prodotto solo apparentemente un cambio di linea. Il desiderio di vendetta, soprattutto da parte di Bignami, non si è placato. Portare a termine una rappresaglia, dopo il fallimento del primo tentativo, rimane uno degli obiettivi centrali per i torinesi. In assenza di un vertice politico formale, Bignami ne discute con Solimano (prima dell’arresto) e Rosso, che approvano, ma propongono di farla coincidere con la ricorrenza dell’uccisione di Tognini. In modo che la vendetta abbia anche una motivazione politica. Vale a dire colpire uno di quei commercianti che collaborano con la polizia nel reprimere i bisogni del proletariato. La famosa militarizzazione del territorio, uno dei temi più cari ai piellini.

E’ stato Giai a indicare l’obiettivo giusto per farla pagare a qualcuno: il proprietario del bar dell’Angelo, dove sono stati uccisi la Azzaroni e Cageggi. E’ stato lui, ha raccontato, a chiamare la polizia quella mattina, è stato visto fare un numero breve e parlare sottovoce. Non è vero, è stato il tabaccaio di fronte. Non solo, ma l’uomo che hanno individuato, non era nemmeno nel bar quella mattina, dormiva nel retrobottega. Si chiama Carmine Civitate, ha fatto per anni il camionista, e con tutti i risparmi messi da parte, ha rilevato il bar. Ma quando ci fu la sparatoria, c’era ancora il vecchio proprietario, lui dava solo una mano in attesa di subentrare. Addirittura Giai racconta di aver saputo che la figlia del proprietario a scuola ha raccontato della telefonata del padre. E’ una cosa totalmente inventata, ma bastava accertare che la figlia di Civitate è troppo piccola e non va ancora a scuola.

Il corpo di Carmine Civitate

Non è la prima volta che PL agisce sulla base di informazioni sbagliate e non verificate. Per alcuni giorni due donne fanno i sopralluoghi per studiare orari e abitudini. Sono Maria Teresa Conti, che ora è la nuova compagna di Bignami e la bolognese Liviana Tosi, grande amica di Barbara.
Il 18 luglio entrano in azione in cinque, mentre Giai, Sandalo e Viscardi, che è venuto apposta da Milano, restano fuori, Donat Cattin, che evidentemente ha accantonato il suo dissenso, e Bignami entrano nel bar. Hanno grembiuli da lavoro uguali, molto gonfi, noterà una testimone. Sono i giubbotti antiproiettile. Ma Civitate non c’è. E’ andato a portare due caffè e una birra nella scuola li vicino. I due ordinano due amari e aspettano. Ed eccolo arrivare con il vassoio in mano. Entra tranquillo nel suo nuovo bar. Ma non fa in tempo ad appoggiare il vassoio, che Bignami (ha voluto essere lui ad eseguire la sentenza) gli spara sei colpi con la sua 38 special, al cuore e alla testa, l’ultimo quasi a bruciapelo. L’uomo stramazza per terra facendo volare tazzine e vassoio. Accompagnati dalle urla della moglie, i due escono di corsa. Donat Cattin spara alcuni colpi in aria, altrettanto fa Giai, per allontanare i curiosi.

Poche ore dopo la rivendicazione: <Abbiamo ucciso la spia e boia Villari>. Il giornalista che riceve la telefonata risponde: <Quello che avete ammazzato si chiama Civitate>. La replica: <Forse abbiamo sbagliato cognome, ma è lui>. Nel volantino che segue si inneggia al “terrore proletario“.

Il giorno dopo Donat Cattin parte per le vacanze. Gli altri, durante le vacanze in Toscana, mettono a segno un paio di rapine. Ad una partecipa Roberto Rosso, è la sua prima azione, e, racconta Sandalo: <Tremava come una foglia>. In vacanza c’è anche Giulia Borelli, da poco scarcerata, era stata arrestata il 12 maggio 77, assieme a Galmozzi, il suo compagno. Anche Rosso è stato dentro pochi mesi, assolto e scarcerato in gennaio, era stato trovato in possesso di un volantino di rivendicazione di PL. Già, li scriveva lui.

Le armi delle Ucc e la fuga di Comancho
In luglio in un casolare vicino Roma viene trovato un arsenale. Viene arrestata Ina Pecchia e altri due. La Pecchia parla e finiscono dentro un certo numero di ex Ucc. Guglielmi-Comancho e Torrisi, i due ex capi, pensano sia il momento giusto per chiudere definitivamente con la lotta armata e sparire.
Partono con una barca a vela e raggiungono la Costa Azzurra, ospiti di quelli dell’Hyperion. Poi Guglielmi raggiunge il Portogallo, poi Beirut, infine il Nicaragua, dove farà il medico per una ventina d’anni.

Br, il nucleo storico boccia Moretti
Non è solo Prima linea ad affrontare una crisi politica. Anche le Brigate rosse debbono fare i conti con un deficit di linea e prospettiva politica. Da un punto di vista militare, Milano a parte, sono ancora molto efficienti, ma ferimenti ed omicidi non producono alcun risultato e ciò che cresce è solo l’isolamento. E’ così che affiorano le prime divisioni. In luglio il nucleo storico (quando si dice nucleo storico si intende Curcio e Franceschini) nel carcere nell’Asinara e in quello di Palmi elabora un ponderoso documento, ben 120 pagine, con il quale detta la linea a quelli fuori e boccia il vertice brigatista. E il bocciato è Moretti, accusato di aver gestito in modo politicamente ottuso il sequestro Moro, di una conduzione troppo verticistica dell’organizzazione, di enfatizzare solo l’aspetto logistico-militare della lotta armata e di non saper cogliere gli elementi di ribellione “diffusa” presenti nei movimenti giovanili e nella società italiana. L’accusa in particolare è di aver snobbato il movimento del 77, in nome della purezza ideologica. E si conclude esortando a sconfiggere il militarismo, a liquidare il soggettivismo e a coagulare attorno alle Br tutta l’area della lotta armata.

Curcio e Franceschini

Non sono critiche nuove e in parte coincidono con quelle avanzate da Morucci e Faranda. Solo in parte, perchè i due fuoriusciti proponevano di andare ad un depotenziamento militare. Curcio e Franceschini invece accusano Moretti e compagni di scarsa attività e chiedono di intensificare le azioni armate passando dalla guerriglia alla guerra civile . A scanso di equivoci qualche settimana dopo Curcio e Franceschini scomunicano Morucci e i suoi, definiti una “masnada di signorini e provocatori”, “fastidiose zanzare” e “fanghiglia e rifiuti”, accusandoli di essere al servizio degli ex-dirigenti di Potere Operaio. L’attacco non è tanto alle loro critiche, ma al fatto di averle rese pubbliche e di essere usciti dall’organizzazione.
L’accusa di una certa passività rivolta all’esecutivo è originata anche dalla vana attesa che quelli fuori facciano qualcosa per liberarli. Il carcere, soprattutto all’Asinara, è duro e loro non lo reggono più.

La risposta di Moretti: vivete di sogni
L’esecutivo non condivide affatto il documentone. <Diceva un sacco di cose giuste – commenterà Moretti – indicava quasi tutto quello che bisogna fare per realizzare una rivoluzione. Ma era fuori della realtà. Si immaginava che fossimo in presenza di movimenti all’offensiva in procinto di passare ad una guerra civile rivoluzionaria. Un abbaglio. l’onda era passata, quel che restava del movimento era già alle corde, sulla difensiva, abbarbicato su posizioni di sopravvivenza>. Quelli in carcere <Non vedevano quali erano i rapporti di forza, stavano sulle nuvole. Non era possibile alcun passaggio alla guerra civile …. arriverà invece una sconfitta che mette in luce i limiti intrinseci e invalicabili della lotta armata>. E’ un giudizio di molti anni dopo, si può dubitare che nel 79 Moretti avesse questa letale lucidità.

L’operazione “Isotta”
Comunque sia l’esecutivo non elabora alcun controdocumento, fa solo sapere che . Per venire incontro alle istanze dei vecchi compagni decide però di attuare il piano di evasione dall’Asinara a cui Gallinari lavora da qualche mese.
La chiamano operazione Isotta, è complicata, difficile, enorme. Certo se riuscisse sarebbe un successo clamoroso. L’Asinara è un isola a qualche km dalla costa sarda, immersa in un mare fantastico, ma sopra c’è solo il carcere, per cui bisogna arrivarci con uno sbarco tipo marines, assaltare il carcere e ripartire. Un’impresa quasi impossibile.

Il carcere dell’Asinara

Casimirri e Arreni vengono mandati a Stintino a studiare la situazione. Intanto i genovesi affittano alcune case per il mese di agosto. A Roma vengono rubate otto auto con le quali trasferirsi in Sardegna. Il piano prevede di far avere ai brigatisti in carcere armi e soprattutto esplosivo, qualche cioccolata imbottita di plastico è già stata recapitata. All’ora X debbono scatenare una rivolta, facendo saltare le porte delle celle, alcuni muri e la porta dell’armeria. Anche militanti di altre organizzazioni erano già avvertiti.
Da Stintino una ventina di brigatisti avrebbero attraversato il braccio di mare con sei gommoni. Sbarcati dovevano neutralizzare la pattuglia di carabinieri che si muoveva su una jeep. Prima di imbarcarsi c’era però anche da mettere fuori combattimento un commissariato di polizia che dall’altro dominava la costa. Al ritorno avrebbero trovato una dozzina di auto per caricare una trentina di evasi e fuggire verso la Barbagia. Qui i compagni di Barbagia rossa (un’organizzazione armata locale) li avrebbero condotti a piedi attraverso sentieri usati dai pastori, là dove decine di sequestrati erano stati tenuti nascosti e introvabili per i carabinieri.

A inizio agosto comincia ad affluire in Sardegna il commando: Gallinari, Moretti, Algranati, Libera, Piccioni, Dura, Miglietta, Di Cera, Silvia (Cappelli) e Nanà (Francola) entrambe arrivate dalle Ucc. Poi sarebbero arrivati gli altri. Di giorno stanno in spiaggia mimetizzati tra i turisti. Di notte vanno a cercare i gommoni e altre auto. Vicino a Porto Torres c’è un campeggio con molti gommoni. Una notte vanno e li prendono, ma mentre stanno per partire, la guardia li vede e si mette a urlare. Debbono mollarli, sparare alla guardia vorrebbe dire far scattare l’allerta dei carabinieri e addio evasione. Rubano un paio d’auto, ma dopo qualche giorno la polizia le ha già ritrovate, non è come a Roma.

E’ già ferragosto e la realizzazione del piano è quasi a zero. Non c’è più tempo, perchè entro una settimana la zona inizia a svuotarsi e poi Moretti e Dura hanno un altro importante impegno. Moretti decide che si torna a casa. <Ci si riprova la prossima estate. Ora abbiamo le idee più chiare su come l’operazione andrebbe fatta. L’intero supporto logistico andava preparato nel continente: macchine, gommoni, armi, tutto>. Il fallimento viene comunicato a quelli in carcere, che la prendono malissimo <Erano furenti con noi, pensavano non ci fossimo impegnati abbastanza>. Il nucleo storico scrive una lettera d’accuse che l’esecutivo distrugge.

Il Papago e le armi palestinesi
L’impegno che aspetta Moretti è un importante carico d’armi. Dopo il sequestro Moro il capo delle Br, attraverso l’Hyperion, ha avviato contatti con i palestinesi. In marzo si è incontrato con Mulinaris. Le Brigate rosse hanno accresciuto il loro credito a livello internazionale e così a Parigi si sono tenuti due incontri con Abu Ayad, capo dei servizi segreti dell’Olp, che si sono conclusi con un accordo di reciproco aiuto. Fino a quel momento l’Olp, che aveva già fornito armi ai Cocori, si era sempre rifiutata di darle alle Br. Ora evidentemente, grazie anche a Hyperion le cose son cambiate.

L’accordo prevede che i palestinesi forniranno armi, appoggi logistici, addestramento nei loro campi. In cambio le Br terranno una quota delle armi ricevute a disposizione dell’Olp e compiranno azioni terroristiche contro obiettivi israeliani. Seghetti infatti verrà incaricato di studiare un attentato all’addetto militare a Roma.
L’accordo, dirà Moretti, è fatto con una frazione marxista dell’Olp, identificata nel Fplp di Habbash. Ma se il contatto parigino era con Ayad, significa che c’è l’ok anche di Arafat. Una prima fornitura di armi, ma non dell’Olp, era arrivata a inizio 79 via Francia. Moretti, Dura e Lo Bianco hanno portato in Italia Kalashnikov, pistole e lanciagranate Rpg, passando a piedi un valico tra la Francia e la Liguria.

Il Papago, oggi ribattezzato Felipre

Ma ora c’è un carico molto più grosso da andare a prendere in Libano. Massimo Gidoni, uno psichiatra, ma anche esperto skipper di Ancona, nonchè brigatista, ha acquistato, su incarico e con i soldi di Moretti, uno sloop di 12 metri, il Papago, pagandolo 60 milioni. La barca sarà poi rivenduta, guadagnandoci anche. E’ una barca a vela da signori e nel Mediterraneo zeppo di barche da diporto ad agosto, non darà nell’occhio. L’equipaggio è composto da Dura, che è esperto di mare, avendo fatto il marinaio di professione; Galletta un irregolare della colonna veneta, che qualcosa di barche sa e da Moretti.

Si salpa a fine agosto da Numana. Il viaggio, in codice “operazione Francis”, a parte un errore di rotta che li sta portando dritti in Israele, è tranquillo. Fanno tappa a Cipro e poi raggiungono un isoletta al largo di Tripoli, dove vengono raggiunti da una grossa barca, piena di palestinesi armati. La parola d’ordine è “Wolid”. Dopo di che vengono trasbordati e stivati sul Papago: un centinaio di vecchi mitra Sterling, una decina di Fal con trepiede, due mitragliatrici, bombe a mano, razzi controcarro americani, razzi francesi, lanciagranate, sei quintali di plastico e munizioni varie. Il tutto confezionato con gli involucri più disparati, giornali, tela da sacco, cartone. La parte che deve rimanere al Fplp è contrassegnata con una F blu. Finito il carico Moretti e compagni salutano coi pugni chiusi e i palestinesi agitando in aria i fucili.

Nel viaggio di ritorno il Papago incappa in una mezza tempesta e, causa il gran peso, rischia di affondare. Ma poi riesce ad arrivare indenne a Venezia, qui le armi sono trasbordate su una barca a motore che, attraverso i canali della laguna, raggiunge l’attracco dove sono prese in consegna da Guagliardo e caricate su un furgone. Le armi vengono poi distribuite alle varie colonne, una quota è destinata ad altre organizzazioni armate europee e la parte destinata ai palestinesi, cioè le armi pesanti, viene sepolta ai piedi del Montello e in una grotta dell’orgosolano.
Non si sa se i palestinesi abbiano mai utilizzato quelle armi, una parte verrà sequestrata dalla polizia su indicazione del pentito Savasta. Anche i progetti di attentati ad obiettivi israeliani non saranno portati a termine.

All’inizio dell’anno anche Corto Maltese aveva intrapreso un nuovo viaggio via mare in Libano, per un secondo carico di armi. I palestinesi erano però stati meno generosi, i Cocori le armi le avevano dovute pagaree, coi soldi delle solite rapine. In parte erano poi state rivendute ad altri gruppi.
Il ruolo di intermediazione svolto da Hyperion, il via libera inevitabile dei sovietici e forse anche di Arafat, confermano l’interesse che più di un servizio segreto ha ad alimentare il terrorismo italiano ed europeo.

Capitolo successivo: 36) PL uccide per fermare la deriva. Catturato Gallinari

g.g.