Capitolo precedente: 38) La mattanza: da Gori a Bachelet ai compagni deboli

Più forti che mai?

L’uccisione di Bachelet è un duro colpo per lo Stato e impressiona l’opinione pubblica. A distanza di quasi due anni dall’omicidio Moro, le Brigate rosse hanno ucciso un altro uomo al vertice delle istituzioni. E nelle altre città continuano a uccidere impunemente e, come loro, uccidono quelli di Prima linea. L’impressione è che il terrorismo, seppur numericamente ridotto (hanno cessato di esistere almeno sei gruppi armati) sia più forte che mai, in grado di colpire dove e quando vuole. Gli arresti, che pur ci son stati, non lo hanno scalfito

E’ un’impressione forse giusta, ma è proprio il mese di febbraio a segnare un’inversione di tendenza letale per le formazioni combattenti. Finora la guerra che loro hanno dichiarato è stata a senso unico, da adesso in poi non lo sarà più.

Cominciano gli arresti

Solo due giorni dopo l’omicidio Bachelet, a Parma, due giovani e una ragazza, appena usciti da una casa con due pesanti borsoni, vengono circondati dalla polizia, che sorveglia l’edificio da alcuni giorni. I due sono Maurizio Costa e Piergiorgio Palmero, detto il sergente. E i borsoni sono pieni di armi. Il primo, già leader dei Cocori, è nel comando di PL, il secondo è autore di una decina almeno tra rapine e ferimenti, è quello che ha lasciato un proiettile per Dalla Chiesa, dopo la mattanza alla Scuola per manager di Torino. La ragazza, Lucia, viene da PL di Firenze.

Due settimane prima erano stati arrestati alla stazione di Sant’Ilario, paese del reggiano, Scotoni e Masala, anche loro con una borsa di armi. Il primo è uno dei fondatori di PL a Torino, il secondo è passato a PL in fuga dai Pac, dopo l’ondata di arresti dell’anno prima. E’ forse da questo arresto che si è risaliti alla base di Parma.
Pochi giorni dopo al valico di frontiera con la Svizzera, era stato arrestato Gabriele Grimaldi, l’assassino di Torreggiani che tentava la fuga. Ora dei Pac resta libero solo Mutti e il giovane Fatone.

Il 15 febbraio la polizia arresta a Cagliari cinque giovani riuniti in un bar. Tre sono di Barbagia rossa, gli altri due sono Savasta e la sua compagna Emilia Libera, da qualche settimana in Sardegna per impiantarvi una colonna delle Br. Ma mentre la polizia controlla i documenti, Savasta estrae una pistola e spara, anche gli agenti sparano, la Libera viene ferita lievemente, ma i due riescono a fuggire. Il giorno dopo arriva da Roma Iannelli, che li riporta a casa.

A parte la figuraccia con Savasta, in pochi giorni una raffica di arresti ed è solo l’inizio.

L’infiltrato nelle Br torinesi

Ci sono occhi discreti che da circa un anno sorvegliano le Brigate rosse a Torino. Sono quelli degli uomini di Dalla Chiesa. I brigatisti non se ne sono accorti, anche se i segnali ci sono stati. Nel marzo dell’anno prima sono stati arrestati il capocolonna Raffaele Fiore e Vincenzo Acella. I carabinieri dissero che fu per caso.

Patrizio Peci

Ma è difficile crederlo, in realtà avevano delle buone informazioni. A dicembre un’importante base è caduta e altri tre brigatisti son finiti in manette, tra loro uno dei capi, Angela Vai e Antonio Delfino operaio alla Fiat. Il sospetto che ci sia un infiltrato che passa le informazioni ai carabinieri si rafforza. Peci lo confermerà: era un operaio infiltrato dal Pci, d’accordo con Dalla Chiesa. Non si è mai saputo chi fosse e neppure se esistesse davvero. Il generale ha fornito una conferma generica: avevamo qualche infiltrato.

Ma qualcosa di vero ci deve essere, perchè i carabinieri sanno troppo. Anche Micaletto e Peci sono pedinati dalla fine di novembre. Sanno dove Peci, il nuovo capo colonna, abita con la sua compagna, un’infermiera. Il 26 novembre i due, che si sono accorti di essere seguiti, spariscono. Lasciano la luce accesa in casa ed escono da una porta secondaria. Poi però Peci viene riagganciato, anche se non si sa come. Perchè il 19 febbraio ha appuntamento con Micaletto in piazza Vittorio e ad aspettarli ci sono i carabinieri, che arrestano lui e poi anche Micaletto. Il numero due delle Br è stato catturato, ora del nucleo storico resta libero solo l’imprendibile Moretti.

Catturati Micaletto e Peci

Rocco Micaletto

Entrambi si dichiarano prigionieri politici. Ma mentre Micaletto affronta impassibile il carcere e rimarrà un irriducibile per tutta la vita, Peci va in crisi. Non vuole passare il resto della vita dietro le sbarre. In più ha sempre sopportato a fatica la vita del brigatista, con tutte quelle regole, quei divieti. Lui è un tifoso della Juventus e, pur stando a Torino, non è mai potuto andare allo stadio, perchè è vietato. Si passano le giornate chiusi in un appartamento, da cui si esce solo per pedinare o sparare a qualcuno. Appartamenti spesso squallidi, che rivelano i segni di una vita desolata, triste e spoglia, di persone sempre i fuga, che dormono su materassi senza lenzuola.

… e Peci inizia a parlare
Peci è stanco di quella vita e ne vorrebbe iniziare una diversa. Ha anche capito che la sconfitta è ormai inevitabile e vicina. E così crolla. In carcere a Cuneo piange, i vicini di cella lo sentono, lo chiamano, ma non risponde. Così racconta Chicco Galmozzi, uno dei fondatori di PL, che è nella cella accanto.

A Cuneo c’è un maresciallo che è un vero esperto nel “confortare” e nel convincere i detenuti in crisi, si chiama Incandela e lavora per Dalla Chiesa. Lo avvicina, gli parla, gli fa capire che errore sia stato mettersi a sparare, gli spiega che stanno per fare una legge che darà sconti di pena ai pentiti. <Posso farti parlare con uno molto in alto>. Per Peci non è una scelta facile, nessuno ha mai tradito le Br. Ma alla fine accetta. All’inizio di marzo comincia a parlare con Dalla Chiesa e con i suoi ufficiali e riempie decine di quaderni di scuola. Non sono verbali, perchè gli incontri sono segreti, ufficialmente è solo un confidente. La massa di informazioni è enorme. Peci fa i nomi, con relativi ruoli e reati, di tutti i militanti di Torino e non solo.

Le Brigate rosse sosterranno che le cose sono andate diversamente. E cioè che Peci sarebbe stato arrestato già in dicembre e si sarebbe offerto di collaborare in cambio di sconti di pena e soldi. Dalla Chiesa incontrò Cossiga per concordare cosa promettere. Poi sarebbe stato rilasciato, per tornare nelle Br da infiltrato. E infine riarrestato in febbraio.

La versione non è inverosimile, ci sta con il modus operandi di Dalla Chiesa, ma è priva di qualunque riscontro. Per di più chi garantiva a Dalla Chiesa che Peci non avrebbe cambiato idea e sarebbe scappato? E poi, essendo lui il capo, sapeva già tutto della colonna torinese, cosa poteva scoprire di più in due mesi? Forse portare all’arresto di Micaletto? Ma a quanto si sa anche lui era già controllato. Infine la testimonianza di Galmozzi, certo non amico di Dalla Chiesa, sembra confermare il pentitmento in carcere. La certezza assoluta su come sono andate le cose comunque non ce l’abbiamo. (Torneremo sull’argomento quando parleremo del sequestro di Roberto Peci)

Peci parla e intanto le Br, Prima linea e anche i fascisti continuano a uccidere.

Giustiziato Valerio Verbano

Il 22 febbraio tre giovani suonano il campanello della famiglia Verbano in un palazzone popolare dell’estrema periferia romana. Cercano Valerio, dicono di essere suoi amici. Ma Valerio, 19 anni e militante dell’Autonomia. non c’è. I tre, calatosi il passamontagna, entrano in casa, legano la madre e il padre e li chiudono in camera da letto. Frugano, cercano qualcosa, poi si mettono ad aspettare, uno di loro ha un’impermeabile bianco.

Poco dopo Valerio torna da scuola, appena entra gli sono addosso. I genitori sentono il rumore di una colluttazione, poi la voce del figlio che grida: <mamma, mamma, aiuto!>. Poi un botto secco. Lo hanno ucciso con un colpo alla schiena. I tre scappano, ma lungo le scale perdono la pistola, una 7,65 cromata.

Valerio Verbano

Qualche tempo dopo la pistola sparirà dal tribunale, la solita provvidenziale distrazione. Così, non è possibile fare una comparazione con i proiettili che hanno ucciso Fausto e Iaio (i due giovani del Leoncavallo uccisi dai fascisti l’anno prima). Molti sono gli elementi che legano i due delitti: il calibro dell’arma, il silenziatore, l’impermeabile bianco, il numero degli assassini e il fatto che anche Valerio stava conducendo un’inchiesta sui Nar. Il dossier che aveva messo assieme era stato sequestrato dalla polizia durante una perquisizione, mesi prima. Proprio in quel dossier sta quasi certamente la condanna a morte di Valerio.

Chi ha fatto sparire la pistola e chi ha informato i Nar che quel ragazzo di borgata aveva scoperto troppe cose? E’ noto che i Nar, e soprattutto coloro che sono legati agli stragisti di Ordine nuovo, che ora si nasconde dietro al sigla “Costruiamo l’azione”, e alla banda della Magliana, godono di protezioni nella polizia e nella magistratura. Lo sa bene anche il giudice Mario Amato che indaga sui Nar e su Ordine nuovo. Infatti ha scoperto che il suo superiore, il procuratore capo, passa informazioni sulle sue indagini ai fascisti. Denuncia la cosa al Csm, ma non gli servirà, a maggio verrà ucciso da Gilberto Cavallini, uno dei Nar. Alcuni pentiti indicheranno Carminati come uno dei tre assassini di Verbano. Cavallini verrà poi condannato per la strage di Bologna.

Il 12 marzo arriva puntuale la vendetta. Angelo Mancia, un missino della Balduina viene ucciso dalla “Volante rossa” appena uscito di casa per andare al lavoro. Due giorni prima era già stato ammazzato un altro per vendetta. Ma i “Compagni Armati per il Comunismo” avevano sbagliato persona, uccidendo un cuoco al posto di un fascista, i due erano vicini di casa. Le due sigle sono usate solo per l’occasione.

Ancora gambe e una maxirapina
Il 29 febbraio la colonna genovese ferisce Roberto Della Rocca, capo del personale della Fincantieri. Soliti colpi alle gambe, ma con proiettili tagliati in punta, così da fare maggiori danni. La vittima infatti dovrà subire diverse operazioni. A sparare è Lorenzo Carpi, lo studente che fece da autista agli assassini di Rossa.

La colonna romana intanto porta a termine una clamorosa rapina. Roba da film, anche se si rivela più facile del previsto. L’obiettivo è audace: la banca interna al ministero dei Trasporti, per di più il giorno di paga degli stipendi, il 25 febbraio, quindi con tanta gente agli sportelli. Sanno che il giorno di paga i soldi arrivano con un furgone blindato. I brigatisti si sono procurati dei pass per entrare al ministero. In quattro restano fuori di copertura armati di mitra. Da Genova è venuto anche Panciarelli a dare una mano. Seghetti, Piccioni, Arreni, Vanzi e Perrotta entrano. Due si mettono in fila con i dipendenti, uno è vestito da ferroviere, due aspettano nella toilette e un altro si tiene defilato.
Quando entrano i due portavalori con il sacco, i due escono dalla fila e puntano le pistole nella pancia delle guardie. Con perfetto sincronismo arrivano gli altri due e li colpiscono alla testa col calcio delle pistole. Prendono il sacco con dentro 495 milioni e, di fronte a decine di persone, hanno anche la calma di sfilare le pistole ai portavalori e portarsele via. Poi raggiungono la toilette, scavalcano la finestra e saltano sopra un’auto che avevano parcheggiato proprio sotto. Si allontanano a piedi e vengono raccolti da un’altra auto.

Uccidi il tuo magistrato

Marzo sarà un brutto mese per i magistrati, di nuovo obiettivo privilegiato del terrorismo. Anche se i vari omicidi non sono frutto di un’unico piano. A Salerno, il 16 marzo viene ucciso il procuratore Nicola Giacumbi. In due gli sparano alla schiena, mentre sta aprendo il portone di casa, quattordici colpi, sotto gli occhi della moglie. L’omicidio viene rivendicato dalle “Brigate rosse colonna Pelli”. Gli autori sono otto giovani del luogo, soprattutto studenti, tra loro c’è anche Imma, 23 anni, figlia di un noto oculista. Hanno preso contatti con Seghetti e Nicolotti, che sono appena arrivati a Napoli per impiantarvi una colonna. E hanno deciso di uccidere un magistrato, scelto un po’ a caso, si diceva in giro che Giacumbi era di destra, pensando fosse un buon biglietto da visita per essere accolti nella nascente colonna napoletana.

Dopo qualche mese, grazie ad alcuni che collaborano, vengono tutti arrestati. Tra quelli che hanno parlato c’è anche Imma che, due anni dopo, in carcere verrà massacrata a colpi di zoccolo, di punteruolo e con un pezzo di vetro, da tre brigatiste (le sorelle Vai e Mariarosaria Roppoli). Ma non morirà.

…. che lo Stato non protegge

Prima Palma poi Tartaglione, il magistrato che dirige il sistema carcerario sa di essere una specie di condannato a morte. Lo sa anche Girolamo Minervini, appena nominato direttore degli istituti di pena, ma ha rifiutato la scorta: <Non voglio mettere a rischio la vita di altri>. Quando a tavola ha annunciato la nomina, il figlio è sbottato: <Ti uccideranno>. Lui avrebbe risposto: <Se accadrà stai vicino alla mamma. In guerra un generale non può rifiutare di andare in un posto dove si muore>. Ma in uno Stato serio non potrebbe rifiutarsi di proteggersi. Tanto più quando la polizia ha trovato in una base una scheda su di lui un anno prima, che significa che è già sotto osservazione.

Minervini, da tempo è impegnato a studiare una riforma delle carceri. Aspetta sereno, così pare, la sua morte, ma non ha previsto che arrivi solo 24 ore dopo la sua nomina.
Ha orari regolari e per recarsi al lavoro prende l’autobus. Più facile di così. Il 18 marzo due fermate dopo quella del magistrato, ci sono tre brigatisti in attesa. Di Cera, armato di mitra, aspetta alla fermata successiva, quella dove scenderanno i killer, pronto a proteggerne la loro fuga. Più avanti c’è Viero Di Matteo, un infermiere, con l’auto.

L’autobus dove è stato ucciso Minervini

Minervini sale sul bus, a controllarlo c’è Cecilia Massara col motorino, che supera l’autobus e passa davanti ai tre che aspettano due fermati più avanti. E’ il segnale convenuto: il magistrato è sul bus.
Quando l’autobus arriva, i tre salgono. Padula va vicino all’autista, Piccioni alle spalle di Minervini e Perrotta poco dietro. Qualche minuto per essere vicini alla fermata successiva, poi gli spari, le urla delle decine di passeggeri. Padula intima all’autista di fermarsi. Piccioni spara ancora in aria per farsi largo. I tre scendono, è fatta. Solo uno di tutti i passeggeri renderà testimonianza.

Padula ha 26 anni e sta nella brigata di Torre Spaccata, potrebbe essere considerato quasi un anziano visto che è entrato nelle Br nel 77, anche lui proveniente da “Viva il Comunismo”

Il volantino di rivendicazione accusa Minervini di celare dietro il suo riformismo <il progetto di annientamento ed isolamento delle avanguardie comuniste, con la creazione di carceri speciali e bracci speciali>. La rivendicazione contiene informazioni molto precise sulla sua carriera e sul suo ruolo. Nulla di strano, a scriverla è stato Senzani, che lo conosce bene. Anche Minervini, assieme a Tartaglione, era a quel convegno di Lisbona, dove c’era anche il professore brigatista, che ora ha fatto rapida carriera ed è già ai vertici delle Br.

E a Milano Guido Galli

Galli è un magistrato molto autorevole, tra i più preparati e capaci. E’ un punto di riferimento nel Palazzo di giustizia di Milano. Come Alessandrini è un magistrato democratico e progressista, come si diceva allora. Che vuol dire indipendente dai centri di potere (politici, economici, militari e massonici) che controllano buona parte della magistratura.

E’ proprio un gruppo di magistrati di questo tipo, ad esempio Calogero a Padova e Caselli a Torino, a condurre le principali inchieste sul terrorismo. Galli a dicembre ha chiuso l’istruttoria sulle Fcc, mandando alla sbarra Alunni e altri sedici. Il processo comincerà a giorni. L’inchiesta è la prima ad avere aperto uno squarcio sulla realtà della lotta armata extra-Br, fino a quel momento quasi ignota. “Una pietra tombale per le Fcc” ha titolato il Corriere e senza l’ausilio di alcun pentito. E’ dunque molto pericoloso, non solo è capace, ma è anche un riformista in grado di rendere la macchina della giustizia più efficiente e politicamente apprezzabile.

Guido Galli

E’ lo stesso ragionamento che ha portato Prima Linea ad uccidere Alessandrini e dunque anche Galli deve fare la stessa fine. Il processo che si sta per aprire è l’occasione perfetta.
Alunni dal carcere aveva fatto arrivare a PL la richiesta di organizzare la loro evasione. Loro avevano risposto di no, ma avevano fatto sapere che stavano preparando qualcosa di grosso.

Ma non ci sono solo loro a voler uccidere Galli. C’è anche una vecchia conoscenza, Marco Barbone, con il piccolo gruppo armato che ha messo in piedi da poco più di un anno.

Guerriglia Rossa.

A seguito della crisi di Rosso, delle Fcc, delle Ucc, dei Pac, della spaccatura dei Cocori ed anche di uno sfilacciamento dell’area dell’Autonomia, soprattutto a Milano agiscono anche cani sciolti e microgruppi armati, nati a volte dalla frequentazione di uno stesso luogo o da rapporti di amicizia. In quest’area a inizio 79 è comparsa la sigla di Guerriglia Rossa. A creare il nuovo gruppo è stato Marco Barbone. A fine 78 aveva lasciato le Fcc, perchè non voleva passare in clandestinità, e assieme ai due amici Laus e Morandini, tutti e tre figli della buona borghesia milanese, ha raccolto sotto la nuova sigla quattro o cinque di questi ragazzi, tutti giovanissimi dai 17 ai 20 anni. Ma il gruppo è aperto, per cui c’è gente che va e viene.

Barbone decide che si dedicheranno al settore dell’informazione. Non è chiaro perchè. Forse per ragioni familiari? Sia suo padre sia quello di Morandini lavorano nell’editoria.

Il gruppetto entra in azione nel maggio del 79 con ritmi stakanovisti. Nell’arco di un mese e mezzo mettono a segno: un’ irruzione nel garage del Corriere, dove ammanettano il custode e incendiano 7 furgoni; un attentato con esplosivo all’agenzia pubblicitaria Manzoni; l’assalto ad un furgoncino dell’Unità, (fanno scendere l’autista e danno fuoco con i giornali dentro); quattro rapine, a due banche, un ufficio postale e un laboratorio di analisi. L’ultima, ad una banca di Crema è per procurarsi i soldi, 5 milioni, per comprare una quota delle armi che Corto Maltese sta andando a prendere in Libano, il bottino è abbondante, 18 milioni.

Marco Barbone

Dopo l’estate entra in Guerriglia rossa anche Pasini Gatti, vecchio militante di Rosso che è passato attraverso quasi tutte le formazioni armate, assieme ad altri due. Tutti e tre hanno lasciato i Reparti comunisti d’attacco. Pasini Gatti si è portato via un bel po’ di armi, ma un giorno suonano alla sua porta, lui apre e si trova davanti tre pistole spianate. Sono Pierangelo Franzetti, Pietroguido Felice e Maria Teresa Zoni che rivogliono le armi e lui le restituisce.

Intanto riprendono con le rapine, altre 4 o 5 tra dicembre e gennaio. Ma l’idea ora è quella di confluire nelle Br, che è la scelta o l’aspirazione di molti, anche se si proviene da matrici politiche molto lontane da quella brigatista. Tanto che una rapina viene firmata Mpro, per lanciare un segnale alle Br.

L’editoria come obiettivo viene momentaneamente accantonato, Guerriglia rossa mira all’azione eclatante per affermarsi e conquistare l’attenzione delle Br, non più solo incendi e rapine, ma colpire un uomo. E un magistrato è l’uomo giusto.

Chi arriva prima ad uccidere Galli?

Anche loro da un paio di mesi controllano Guido Galli, hanno anche piazzato un furgone sotto casa del magistrato per spiarlo meglio. Un giorno che Barbone è alla fermata del bus che Galli ogni tanto prende, si accorge che dietro di lui c’è Segio. I due si guardano e se ne vanno senza dirsi una parola. Da quel momento è quasi una gara a chi arriva prima ad ammazzare il giudice. Attorno al 15 marzo Barbone e altri cinque vanno sotto casa per ucciderlo, ma Galli non esce.

Tre giorni dopo, sotto la stessa casa ci vanno quelli di PL. Ma neppure quel giorno il giudice si fa vedere. E’ il 18 marzo, al Tg dell’una danno la notizia che le Br hanno ucciso Minervini. Segio e Bignami pensano che sarebbe un bel colpo ucciderne due nello stesso giorno. Allora attuano il piano B, che prevede di colpire all’università, dove Galli insegna crimonologia. Nel pomeriggio si trasferiscono alla Statale, dove parcheggiano le biciclette per la fuga. Ma Galli non c’è, è fuori Milano. Per di più, mentre lo aspettano, un ragazzo ruba anche due biciclette. Tutto rinviato al giorno dopo.

Di bici ne avevano comprate sette e quattro le ha in consegna Fiammetta Bertani, la consulente aziendale. Così la incaricano di portarne due all’università e poi di aspettare in un punto concordato con un’auto, in caso ce ne sia bisogno. Nel pomeriggio del 19 arrivano alla Statale in quattro, anzi in cinque, perchè questa volta hanno incaricato uno di starsene su una panchina a sorvegliare le bici. Albesano si ferma nell’atrio, per coprire la fuga. Segio, Bignami e Viscardi, che è diventato uno degli uomini militarmente di punta, si piazzano davanti all’aula dove insegna Galli. Che arriva puntuale per la lezione. Viscardi deve controllare le scale, Bignami gli studenti, Segio va incontro al giudice, lo chiama, quello si gira e lui gli spara tre colpi con una Smith & Wesson 38 special. Uno in pancia, uno al cuore e uno in testa. Morto sul colpo. Viscardi, come è ormai abitudine di PL, accende un fumogeneo e grida alla bomba. Fuggi fuggi generale.

Il corpo di Guido Galli nel corridoio dell’università

Questa volta le bici son li, le prendono e se ne vanno. Passano davanti all’auto di Fiammetta e proseguono, è il segnale che anche lei se ne può andare.
I testimoni diranno che nel commando c’era una donna. Ma è Viscardi che porta i capelli lunghi fin sulle spalle ed ha una vocetta sottile.

Nel volantino accusano Galli di appartenere <alla frazione riformista e garantista della magistratura impegnato nel rendere efficiente l’ufficio istruzione contro le organizzazioni comuniste>. In particolare lo accusano di aver fornito una nuova interpretazione giuridica della banda armata (che poi verrà seguita in molti altri processi) letale per le organizzazioni armate, in quanto porta a condanne pesanti anche solo per aver ospitato un combattente. Il volantino si conclude con un appello all’unità: <Annientiamo le gerarchie della magistratura anello fondamentale della ricostruzione del potere del capitale sul proletariato>

Questa volta, a differenza di quando fu ucciso Alessandrini, non si apre in PL un dibattito critico. Anche perchè ormai non si dibatte più. Solo Baglioni, uno dei fondatori di Prima linea e leader del comitato autonomo della Marelli, decide di uscire.
In maggio Sandalo fornirà informazioni che portano all’arresto di Fiammetta, che il giorno dopo, racconterà tutto. Uccidere Vaccher non è servito a niente.

Di fronte a questa strage di magistrati, il ferimento di un docente e consigliere Dc a Genova, quasi non fa notizia. A sparare al prof Giancarlo Moretti, il 24 marzo, mentre entra all’università, sono due giovanissimi, anzi a sparare è solo la ragazza. I testimoni li descrivono come sedicenni. Rivendicano le Brigate rosse.

g.g.

Capitolo successivo: 40) La strage di via Fracchia. L’inizio della fine di PL