3) Colpiscine uno per educarne 100

Il commissario

Alle 9 di mattino del 17 maggio ’72, a Milano, un uomo sui 30 anni esce dal portone di casa, attraversa la strada e si avvicina alla sua 500 rossa. Sta per infilare la chiave nella portiera, quando un’altro uomo, alto, ben vestito, distinto, così diranno i testimoni, gli si avvicina alle spalle e, da un paio di metri, gli spara alla schiena con una 38 special. Poi, mentre quello si accascia, gli spara un colpo alla nuca. Il killer si allontana con calma, senza correre e sale su un auto con un complice al volante.
L’uomo a terra, in una pozza di sangue è il commissario Luigi Calabresi. Il poliziotto più noto d’Italia.

Da due anni l’estrema sinistra lo accusa di essere l’assassino di Pinelli e uno degli artefici dei depistaggi sulle stragi fasciste. Soprattutto Lotta Continua ha scatenato contro di lui una campagna durissima. Sui muri di Milano erano comparse le scritte “Calabresi assassino”, “Calabresi sarai suicidato anche tu”, da tempo però si sono sbiadite.

Lui aveva sempre detto che era appena uscito dalla stanza prima che Pinelli precipitasse. Ma resta il fatto che un uomo è volato da una finestra della questura e nessuno ha mai spiegato perchè e come. E lo Stato ha fatto di tutto per rendere credibili le accuse alla polizia. Questore e poliziotti hanno fornito versioni contraddittorie e poco credibili poi, quando finalmente ci fu un processo, le hanno cambiate. Il magistrato che doveva indagare non ha neppure fatto un sopralluogo in Questura, archiviando subito come suicidio.
Calabresi era diventato l’uomo simbolo della strategia della tensione. Decisamente troppo per un semplice commissario. Le trame hanno registi ben più in alto. In realtà era divenuto un capro espiatorio. E ora è riverso nel suo sangue.

Il commissario Luigi Calabresi

Uno strano omcidio, nessuno lo rivendica. Non sono state le Brigate rosse, che in due anni non hanno ancora sparato un colpo. Nè quelli di PotOp, che per ora parlano e basta. I primi sospetti ovviamente cadono su Lotta Continua. Il fondo del giornale, scritto da Adriano Sofri, è un capolavoro di ambiguità. Sotto il titolo “Ucciso Calabresi, il responsabile dell’assassinio di Pinelli”, si legge: <L’omicidio politico non è l’arma decisiva per l’emancipazione delle masse dal dominio capitalista, così come l’azione armata clandestina non è certo la forma decisiva della lotta di classe nella fase che noi attraversiamo. Ma queste considerazioni non possono indurci a deplorare l’uccisione di Calabresi, un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia>.

Se non è una rivendicazione poco ci manca. Sofri non dice: siamo stati noi. Ma dice: sono stati dei compagni ed hanno fatto bene. Eppure pochi, per non dire nessuno, crede che sia stata LC. Le Br e i Gap, che sono l’avanguardia armata, non sono mai andati oltre qualche piccolo attentato e un sequestro dimostrativo di 30 minuti. Questa invece è roba da killer professionisti.

Solo dopo 16 anni Leonardo Marino, un ex operaio Fiat ed ex militante di LC, racconterà ai carabinieri che era lui l’autista, Bompressi il killer e Pietrostefani il mandante, con l’approvazione di Sofri. E’ stata Lotta Continua.
Nonostante le sentenze, resta uno degli episodi meno chiari nella storia del terrorimo rosso. E non tanto per qualche contraddizione nella testimonianza di Marino, soprattutto riguardo a Sofri. Quanto per una logica e una spiegazione che mancano.

E’ vero, LC incita alla violenza e la pratica, propugna l’illegalità di massa, usa un linguaggio granguignolesco. Nei suoi documenti e sul giornale si parla di lotta armata, come forma estrema di lotta sociale. Ma non ha mai teorizzato la creazione di una vera e propria organizzazione militare. E poi all’interno ci sono posizioni diverse e un dibattito aperto, evidenti nell’oscillare dei giudizi sulle azioni delle Br.

Adriano Sofri

Eppure arriva a decidere e attuare un’azione clamorosa e di una gravità non paragonabile con il livello delle azioni di coloro che hanno scelto la lotta armata. In più l’omicidio non viene rivendicato, neppure con una sigla di comodo. Un omicidio politico senza un proclama politico che lo spieghi e giustifichi, non ha alcun senso.
Infine, dopo il delitto Calabresi, che presuppone un livello organizzativo e di coscienza politico-terroristica elevato, LC non compirà più alcuna azione militare. Anzi, nel giro di un anno, la sua struttura segreta viene di fatto sciolta. Si dice che a Torino tutte le armi vengono gettate nel Po.

L’impressione è che l’omicidio Calabresi non sia stato una scelta politica di tutta l’organizzazione, ma di qualche suo capo, una fuga in avanti, un tentativo forse di forzare LC sul terreno militare o forse solo un clamoroso errore. Non si spiega altrimenti il fatto che sarà la prima e unica azione armata compiuta. Già in ottobre il Comitato nazionale farà autocritica rispetto alla linea estremista che era andata prevalendo. Poi il rifiuto di ogni ipotesi di lotta armata diverrà netto.

Tipi diversi.

Alla fine del 72 all’interno di PotOp affiorano i segni di una spaccatura. I proclami insurrezionali han partorito due bombette, che i giornali hanno snobbato. Morucci è deluso e pensa di entrare nelle Br. Combina un incontro a Milano, ma non passa l’esame.
Si presenta a bordo di una Mini Cooper gialla con tetto nero e una ragazza bionda. Molto elegante: giacca blu con bottoni d’oro, camicia di seta, cravatta, occhiali Ray-Ban. <Sembrava un fascistello sanbabilino> dirà Franceschini che, insieme a Moretti, arriva su una Fiat 850 con un enorme portabagagli sul tetto. Impressione speculare quella di Morucci: <Erano tipi tristissimi e anonimi. Loro vennero con un 850 grigio topo. Franceschini cinereo in faccia e nei vestiti. Moretti con uno spigato grigio e marrone, assurdo>. Eccola tutta la differenza tra PotOp e Br.
Inevitabile la bocciatura: <Non avevamo molta stima dei romani – ricorda Franceschini – Nessuno di noi lo era. C’era disprezzo per questa città senza fabbriche, inutile. E non ci fidavamo di tipi così>.

 1973

 

Dopo mesi di silenzio le Br tornano in azione. Il 15 gennaio, a Milano, Franceschini, Marra e un altro, armati di mitra e pistole, irrompono nella sede degli imprenditori cristiani (Ucid), legano il segretario, scrivono slogan sui muri e se ne vanno con gli elenchi degli iscritti.

La polizia spara e uccide

La polizia invece spara e uccide di nuovo. A Milano è indetta un’assemblea alla Bocconi, ma il rettore ha fatto bloccare gli accessi dalla polizia. Il servizio d’ordine del Movimento studentesco cerca di sfondare, ma gli agenti sparano. Un operaio è colpito alla schiena. Un altro proiettile perfora la testa di Roberto Franceschi, studente di 21 anni, che muore pochi giorni dopo. Il questore sostiene che è stato un sasso.

Sequestro di Bruno Labate

In febbraio entra in azione per la prima volta la colonna torinese delle Br. In realtà già a novembre aveva firmato l’incendio di nove auto di aderenti alla Cisnal. Alla Fiat la tensione è alta, da mesi si lotta per il contratto. I fascisti hanno aggredito i picchetti davanti alla fabbrica e l’azienda licenzia quattro operai che hanno reagito oltre a denunciarne 600. Dopo scioperi e atti di violenza verso i capi, il sindacato firma un accordo con l’azienda, che riassume i licenziati. Secondo le Br, ma anche LC, è una resa in cambio della pace sociale. Altre sei auto di sindacalisti “gialli” vanno a fuoco.
Lo scontro in azienda riprende, le frange più radicali egemonizzano le forme di lotta dura. Parte un’altra ondata di licenziamenti.

Alfredo Buonavita

Le Br dentro la Fiat sono poco cosa, 4 o 5 militanti, ma il terreno è fertile per seminarvi, a modo loro. Il 12 febbraio in cinque sequestrano Bruno Labate, sindacalista della Cisnal. Poco tempo prima era uscita la notizia che la Fiat aveva fatto tremila assunzioni utilizzando il sindacato fascista come canale di reclutamento.

Lo aspettano sotto casa. Buonavita e Ferrari, sotto la minaccia di una pistola lo bloccano e lo caricano su un furgone. In appoggio ci sono Pelli, Curcio e la Cagol. Legato e incappucciato, viene portato in una stanza semibuia e interrogato per 5 ore da Curcio. Labate, molto impaurito, racconta un po’ di cose e conferma gli accordi sottobanco tra Cisnal e Fiat. Attorno alle 15, rasato a zero e con un cartello al collo, viene incatenato a un palo davanti alla Fiat. I brigatisti, a viso scoperto, distribuiscono volantini agli operai. Nessuno aiuta Labate. Verrà liberato dalla polizia dopo più di mezz’ora. Nessuno fornirà indicazioni utili sui terroristi. Nei volantini si parla di un Labate in mutande, ma l’idea di togliergli i pantaloni è stata abbandonata.

Questa volta Lotta continua condanna <il carattere irresponsabile ed esibizionista dell’azione>. PotOp invece approva ed esulta, anche se ci tiene a precisare che le Br non sono la guida nè l’unica espressione di lotta armata, ci sono anche loro.

Fazzoletti rossi alla Fiat

Alla Fiat, oltre che tra sindacati e padronato, è in corso anche una lotta per l’egemonia sui settori più radicali degli operai. A fine marzo il contratto non è ancora firmato, nonostante 200 ore di sciopero. Le forme di lotta sono sempre più dure, scioperi selvaggi, cortei interni che cacciano fuori i crumiri, attacchi ai capireparto. Centinaia di operai sospesi. Fino a quando il 29 marzo vengono bloccati tutti e 12 i cancelli di Mirafiori e occupata la fabbrica.  Come nel ’20.
Sono soprattutto i giovani, con i fazzoletti rossi attorno alla testa a mo’ di indiani, ad aver trascinato migliaia di operai. Così come trascinata è la Flm, che però riesce a mantenere un certo controllo sulla situazione.

All’interno dell’estrema sinistra la Fiat è roba di Lotta Continua. I suoi operai sono ancora alla testa delle lotte, ma da questa occupazione, nata quasi spontaneamente, giungono i segnali che qualcosa sta cambiando, molti di questi giovani non fanno più riferimento a LC nè agli altri gruppi. Sono autonomi e, più che la rivendicazione da conquistare, è l’insubordinazione in fabbrica che li attira.
Toni Negri esulta: ecco l’autonomia operaia vera <senza ideologie progressiste né fiducia nel socialismo, senza alcuna affezione per il sistema democratico, ma anche senza rispetto per i miti della rivoluzione proletaria>. Si lancia in inni alla violenza e semina a piene mani i suoi semi avvelenati. Mentre le Br hanno aperto il loro ufficio arruolamento dentro quei capannoni.

Alla fine però, dopo tre giorni di occupazione, il contratto viene firmato, gli operai lo approvano, nonostante le solite grida di contratto bidone. E’ stata anche conquistata la settimana di 5 giorni e il sabato libero. E’ una vittoria degli operai  e del sindacato. Alle Br del sabato libero ovviamente non frega niente.

Lavoro illegale

“Lavoro illegale”, il nucleo armato di Potere operaio, decide di rapinare una banca nel comasco. Il 6 marzo vanno in due e pensano di usare una delle bombe rubate da Morucci in Svizzera. Una bomba per una rapina, non è troppo? Sì, soprattutto se sei inesperto. Domenico Zinga la lancia contro la vetrina, ma la bomba rimbalza e gli esplode su un piede, tranciandolo di netto.

Più efficiente è il nucleo armato romano, capeggiato da Morucci. Alla Fatme, una fabbrica di elettronica, è in corso una vertenza sindacale. All’interno c’è un piccolo nucleo di PotOp e c’è un caporeparto, un sardo di nome Uras, inviso agli operai, dicono sia un fascista e che tocchi il culo alle operaie. Non si sa se sia vero. Ma è il soggetto giusto per un’azione esemplare.

Adriana Faranda

Lo pedinano per alcuni giorni. Lui non fa caso a una ragazza, alta, bella. Si chiama Adriana Faranda, studia lettere, è di ottima famiglia, scuola dalle suore e scuola di danza, il padre è avvocato dello Stato. Si è sposata a 20 anni, incinta, con Emilio Rosati, uno dei capi di PotOp a Roma, un matrimonio infelice, ora la bimba ha due anni. E’ lei a pedinarlo, insieme al “generale” e a Germano Maccari, che non ha nemmeno 20 anni. Un ragazzo di periferia, famiglia comunista, nel suo liceo era un leaderino. In PotOp è uno del servizio d’ordine.  E’ un tipo schivo, silenzioso, ma deciso e freddo, destinato a un importante ruolo.

E è lui che la mattina del 16 aprile spara 5 colpi alle gambe del capo-reparto. Solo uno va a segno, ma gli spezza la tibia.  Sul giornale di PotOp si legge: <Uras, capo dei fascisti della Fatme, è stato colpito alle gambe, davanti alla porta di casa, da un ignoto, benemerito sconosciuto. Sarà così che si tagliano le gambe al fascismo?>. Un’altra quasi rivendicazione, ma la polizia sembra non accorgersene.
E’ la prima volta che le pistole sparano davvero. Morucci e compagni hanno inventato la “gambizzazione”. Un rito cattivo e una nuova parola che nel giro di qualche anno diverrà di uso comune. Una primogenitura, racconterà la Faranda: <vantata con orgoglio, quasi un fiore all’occhiello> per PotOp.

Le bombe fasciste

Pochi giorni prima Nico Azzi, fascista di Ordine nuovo è stato arrestato su un treno, in Liguria. Ha un buco in una gamba perchè, mentre cercava di innescare una bomba nella toilette, gli è esploso il detonatore. Doveva essere un’altra strage. Ancora una volta da attribuire alla sinistra. Era pronta una telefonata di rivendicazione a nome della 22 Ottobre.

Vanno a segno invece le bombe a mano che i fascisti, il 12 aprile, lanciano a Milano contro la polizia, durante degli scontri di piazza. Un agente resta ucciso.

Un’altra bomba viene lanciata, il 17 maggio, da uno strano personaggio contro la gente che esce dalla questura di Milano, al termine della commemorazione del commissario Calabresi. L’obiettivo, mancato, era il ministro Rumor. Muoiono quattro persone, 46 restano ferite. L’attentatore è Gianfranco Bertoli, dice di essere anarchico, ha anche la A tatuata sul braccio, ma è un informatore del Sid, è stato addestrato dal Mossad e a mandarlo lì è stato Ordine nuovo.

Il rogo di Primavalle

Il disperato tentativo di salvarsi nella casa in fiamme

La battaglia coi fascisti è ormai pratica quotidiana, fatta di agguati, vendette, spedizioni punitive. Tre militanti di PotOp a Roma decidono di dare una lezione al segretario del Msi di Primavalle. Mario Mattei è un netturbino, abita in una casa popolare con moglie e sei figli. L’idea è di dargli fuoco alla porta di casa, ma sarà una tragedia. La benzina filtra sotto la porta e va a fuoco l’appartamento. In cinque riescono a salvarsi, alcuni calandosi dal balcone. Ma due figli, di 22 e 8 anni, muoiono bruciati.
I tre non appartengono neppure al nucleo armato e pare che i capi di PotOp non ne sapessero niente. Morucci racconta di averli fatti confessare pistola in pugno. Ma poi li fanno scappare in Svizzera. Solo due però, il terzo lo ha già preso la polizia.

L’Autonomia

I segnali della comparsa di un nuovo soggetto politico non vengono solo dalla Fiat. In altre fabbriche e anche nel pubblico impiego stanno nascendo, ai bordi dei gruppi extraparlamentari, forme fluide di organizzazione. E’ la cosidetta autonomia operaia, anche se in realtà gli operai sono pochi e gli studenti di più. Così si inventa una nuova categoria sociale: il proletariato giovanile.

Il movimento del 68 e le organizzazioni che ne sono nate hanno avuto una storia impetuosa. Coinvolto migliaia di giovani. Sono state un’esperienza umana e culturale straordinaria. Hanno penetrato e influenzato ogni settore e strato della società. I gruppi extraparlamentari hanno dimostrato una grossa capacità organizzativa, hanno messo in piedi ben tre quotidiani, impresa non da poco.
Ma ora le cose stanno cambiando. Il ciclo di lotte nelle fabbriche si sta chiudendo. I gruppi extraparlamentari  sono in crisi. Il Pci sta per proporre il compromesso storico, un segnale per tanti che la strada per un cambiamento radicale si è ormai chiusa. Della rivoluzione sognata non resta neppure il sogno. Il Manifesto ha tentato anche la via parlamentare, portando a casa un miserevole 0,7%. Invece il Pci e il sindacato sono più forti che mai.

E così c’è chi ha cominciato a pensare che, invece che alla rivoluzione, è più facile dedicarsi alla rivolta. E le rivolte, si sa, hanno meno idee e più violenza.  A marzo a Bologna si è tenuto un convegno con 400 delegati delle varie esperienze autonome. L’impianto ideologico è quello di Potere operaio, ma senza il partito che PotOp vorrebbe essere.
Chiedi e ti sarà tolto, prendi e ti sarà dato, è lo slogan perfetto. Non ci sono ideali, attese di futuri radiosi e progetti di società socialiste,  ma il rifiuto del lavoro, il sabotaggio, la riappropriazione della ricchezza e la violenza. La violenza diviene il cuore, la sostanza, la misura e il metodo della lotta politica. Il Pci e i sindacati sono i nemici.
Il fascino dell’azione e della mitologia guerriera, soprattutto sui più giovani, può essere irresitibile. Non è la prima volta.

PotOp si spacca e si scioglie

A fine maggio, al congresso di PotOp, si scontrano Negri e Piperno. Il primo propone di sciogliersi e cavalcare l’autonomia, di cui in effetti lui è il vero padre ideologico: <… nulla più del sabotaggio rivela l’autovalorizzazione operaia… nulla più di questa sua attività di sabotatore, assenteista, deviante, criminale…  nessuna pietà per il nemico…. Basta con l’ipocrisia borghese e riformista contro la violenza…. il nostro sabotaggio organizza l’assalto proletario al cielo>.  Toni dannunziani in salsa anarcoide. O più prosaicamente un inno allo squadrismo. Del resto anche Mussolini aveva scritto l’elogio della teppa.

Franco Piperno

Il secondo invece, assieme a Scalzone, non si è liberato di Lenin, vuol mantenere in vita Potere Operaio, crede ancora nel ruolo del  partito, per la presa del potere, che sta arrivando. Il 74, a causa della crisi, sarà l’anno giusto.
Difficile dire in chi dei due il tasso di ebbrezza ideologica sia più alto. Sicuramente Negri ha fiutato il muoversi di un’onda nuova, schiumosa e minacciosa, che negli anni successivi si propagherà.
Su tutto il resto sono d’accordo, soprattutto sulla violenza, anche armata, come tratto fondante. Poche settimane prima il loro giornale aveva pubblicato un’intervista alle Br, con il commento: «Noi crediamo che i compagni delle BR si muovono con piena lealtà all’interno del processo di costruzione della forza organizzata dell’Autonomia operaia».
Lotta continua aveva accusato il documento di «velleitarismo» e di «confusione ideologica».

Alla fine si spaccano. Negri se ne va, ma non c’è nessuno scioglimento. Il nucleo attorno a lui resta compatto e ben organizzato. <Costruire un’organizzazione informale, ma ferrea, capace di una produttività mafiosa>, ha detto. Semplicemente si nasconde, per quasi un anno. Non hanno neppure un nome, l’obiettivo è prendere la guida dei nuovi barbari, gli autonomi.
Il nuovo gruppo, presente soprattutto a Milano, Padova e Mestre, si muove su tre livelli: uno pubblico, che prende il nome di Autonomia organizzata; uno di violenza e illegalità di massa, più o meno camuffato, che esploderà negli anni successivi; ed uno ristretto e armato, più indirizzato però ad azioni di autofinanziamento e a piccoli attentati che non ad azioni militari. A quelle pensano le Br, nel suo schema c’è una divisione di compiti.

Scrive Negri: <Al terrorismo dei padroni occorre opporre il terrore rosso. La violenza armata ha due facce, tutte e due vanno perseguite…. la violenza di massa… e l’attacco armato alle istituzioni del capitale….. come terrore rosso, come capacità di colpire gli obiettivi singoli>.
A loro la direzione politica e il movimento di massa, alle Br l’attacco armato. Ma le Br non ci pensano neanche di farsi dettare la linea dai professorini. Nei confronti dei quali hanno una sorta di diffidenza antropologica.

Nonostante questo, gli incontri tra Negri, Curcio e Franceschini saranno numerosi. Le prime esercitazioni  sui Colli Euganei del nucleo negriano vengono fatte con armi fornite dalle Br. Dal 73 fino a circa la meta del 74 la collaboraz tra il gruppo di Negri e le Br è intensa: scambi di armi, brigatisti rifugiati in Svizzera ospiti di quelli di PotOp; una mano per trovare Pisetta. Ma si resta separati, nonostante Negri prema per un rapporto più organico e azioni coordinate.
La collaborazione porta anche alla pubblicazione di una rivista, “Controinformazione”, diretta da Antonio Bellavita, interno alle Br, alla quale collabora attivamente anche Negri.
Il Sid sa tutto di questi incontri, che si protraggono nel 74, ma le veline che ne riferiscono rimarranno nei cassetti.

Piperno e Scalzone tengono in vita PotOp ancora per qualche mese, pubblicando un foglio semiclandestino con un bel titolo: “Mai più senza fucile”. Poi anche loro si scioglieranno in quel magma confuso  che comincia a muoversi nel 74. Ma impiegheranno più tempo a ritrovare una qualche forma organizzata a livello nazionale.

Un altro sequestro

Nel cartello la strana stella disegnata da Moretti

Intanto le Br tornano in scena il 28 giugno a Milano. Un altro sequestro. Tocca all’ing. Mincuzzi, dirigente dell’AlfaRomeo. Il suo nome era negli elenchi presi all’Ucid. Tornati utili, infatti lo vanno a prendere sotto casa. Alle 20,30, appena arriva con l’auto, Moretti e Bertolazzi gli puntano un’arma e gli intimano di scendere. Lui si rifiuta, Moretti lo colpisce con un pugno. Poi il solito copione, furgone, cappuccio, giro per Milano e interrogatorio sull’organizzazione del lavoro. Mincuzzi parlerà di «modi gentili … e di… una discussione abbastanza pacata in cui i rapitori  permettevano di controbattere> e definirà  <un raffinato intellettuale> chi lo interrogava, cioè Moretti. I brigatisti, nel loro volantino, lo definiscono invece «gerarca in camicia bianca…. >. Dopo un paio d’ore lo rilasciano, vicino all’Alfa, col solito cartello al collo.

La scelta di Mincuzzi, oltre che rientrare nella campagna contro i dirigenti d’azienda, mira a conquistare consensi dentro l’Alfa, dove le Br non sono mai riuscite ad avere una presenza. Il momento sembra quello giusto, l’Assemblea autonoma che ha guidato molte lotte nella fabbrica, si è staccata da Lotta Continua e si avvia a diventare un punto di forza della nascente Autonomia operaia. Le Br cercano di spingere le sue frange più estreme verso la lotta armata.
LC condanna duramente il sequestro e, come l’Unità, parla di provocazione funzionale alla strategia della tensione. Per Avanguardia Operaia le Br sono al servizio dei padroni. Potere operaio invece plaude.

Il Mossad offre aiuto

Il giorno dopo il Corriere pubblica la foto di Mincuzzi col cartello al collo, recapitata dalle Br. Ma, sorpresa, la stella non è la solita a cinque punte, ma è la stella di David. A disegnarla è stato Moretti. Lui dice di essersi sbagliato. Come è possibile? In tre anni l’hanno disegnata decine di volte. E’ un altro degli strani errori di Moretti, prima la 500, poi i negativi ora la stella.
Racconterà Franceschini: <Alcuni anni dopo, un ufficiale dei carabinieri, mi disse: Moretti voleva mandare un messaggio agli israeliani… comando io>.

Vero o no, una risposta arriva. In dicembre le Br sono contattate dal Mossad. Semeria e la Cagol incontrano due emissari. La proposta è semplice: vi vogliamo aiutare, armi, denaro, informazioni, in cambio non vogliamo niente, solo che esistiate. Per dimostrare che facciamo sul serio, vi offriamo i nomi di due operai Fiat che stanno per infiltrarsi. L’informazione si rivela esatta. E vi diciamo anche dove sta nascosto Pisetta, a Friburgo, anche questa informazione è esatta. E addirittura: ecco le chiavi del carcere di Monza, dove è rinchiuso Curcio. Non c’è mai stato modo di provare se aprivano davvero.

Lo scopo di Israele è quello di destabilizzare l’Italia, punirla per le sue politiche filopalestinesi e mettere i bastoni fra le ruote dell’avanzta del Pci. Si stanno dando molto da fare. Pochi mesi prima c’era stata la strage davanti alla Questura. Bertoli, il finto anarchico che aveva lanciato la bomba, era stato addestrato e protetto da loro.

Le Br rifiutano e pare che finisca lì. <Noi eravamo giovani e molto moralistispiega Franceschini – una cosa del genere era incettabile,  era la mia morte. Non avevamo il senso della politica…. tant’è che alcuni compagni venuti dopo di noi ci hanno anche criticato come degli ingenui>. A recapitare il messaggio del Mossad è Aldo Bonomi, un fiancheggiatore (oggi stimato sociologo ndr). Non è la prima volta che ha a che fare col Mossad. Era stato lui, assieme a un medico, un certo Rolando Bevilacqua, che poi si scoprì essere un agente israeliano, ad aiutare Bertoli ad andare in Israele. Ed è infatti un medico che i brigatisti avrebbero dovuto contattare se avessero accettato.

E’ evidente che le Br sono ben monitorate dal Mossad, e, come ovvio, anche da altri servizi segreti. Così bene che conoscono chi si sta infiltrando. Dunque non è credibile che l’unico servizio che ignora tutto delle Br, sia proprio quello italiano. Ancor più assurdo sapendo che ai vertici del Sid c’è un uomo degli israeliani, il gen Maletti. Del resto come può il Mossad avere le chiavi di un carcere, senza la collaborazione degli italiani?

Intanto le Br decidono di utilizzare gli omaggi del Mossad. Vanno a Friburgo a controllare, Pisetta è lì. Allora partono Buonavita e Ognibene, due ritenuti decisi, per ucciderlo. Ma, arrivati sul posto, Pisetta è sparito. I due restano una settimana a far la guardia al villino, una volta rischiano anche di uccidere uno che gli assomiglia. Ma di Pisetta più nessuna traccia. Il Mossad evidentemente ha fatto il doppio gioco, informando anche il Sid.

Amerio, la prima prigione del popolo

Il 10 dicembre il capo del personale della Fiat, Ettore Amerio, mentre sta andando a prendere la sua auto, si trova davanti ad una pistola spianata. Ci sono due persone con lui, ma scappano. Buonavita, vestito da operaio della Sip, lo afferra per un braccio, Amerio gli morde la mano. Interviene Ferrari e lo caricano su un furgone della Sip. Nella colluttazione Amerio perde scarpe, occhiali e borsa. Attorno ci sono altri brigatisti: Marra e Bertolazzi, Micaletto e Curcio. Su un auto poco distante c’è Savino, che deve bloccare il traffico. Amerio è legato e messo in un sacco, il furgone parte, lo guida la Cagol. Dopo poco il sequestrato viene trasbordato su un’auto guidata da Semeria e portato in un garage. Questa volta non sarà un sequestro lampo, un mordi e fuggi.

Ettore Amerio, dirigente Fiat, prigioniero delle Br

Il garage è piccolo, le pareti sono foderate di polistirolo. C’è una branda e un tavolino. Non c’è riscaldamento e ad Amerio vengono dati un maglione e mutandoni di lana. Anche lui sarà interrogato, da Curcio. Mentre Ferrari si occuperà del cibo, ma solo pasti freddi, e delle pulizie. Anche nelle Br c’è una divisione di classe del lavoro. Amerio rimarrà nel garage per 8 giorni.

Un sequestro lungo è impegnativo e non solo per l’aspetto militare e organizzativo. Bisogna anche saperlo gestire politicamente e sul piano della comunicazione.
Il primo volantino dimostra che le Br hanno le idee chiare. All’annuncio che Amerio è detenuto in un carcere del popolo, seguono le condizioni del rilascio. La Fiat deve abbandonare le sue manovre antioperaie; il rapito deve collaborare, la stampa deve informare in modo corretto e completo.
Con questa azione le Br cercano di inserirsi nella vertenza in corso alla Fiat, che minaccia la cassa integrazione per migliaia di operai. Ai brigatisti, come è noto, non interessano tanto gli obiettivi sindacali, quanto i metodi di lotta. Vogliono dimostrare che la lotta armata paga di più.

C’è anche un altro obiettivo, più squisitamente politico: la base del Pci. Due mesi prima Berlinguer ha lanciato il compromesso storico. E questo può aiutare il popolo comunista ad aprire gli occhi e fare la scelta giusta. «Compromesso storico o potere proletario armato: questa è la scelta che i compagni devono oggi fare, perché le vie di mezzo sono state bruciate>.

Il sequestro è accompagnato da un’intensa proganda: volantini vengono distributi davanti a molte fabbriche a Torino, Genova, Milano, Porto Marghera e anche in Emilia. Davanti ad alcune fabbriche vengono collocate delle auto con altoparlanti che diffodono slogan e Bandiera rossa.
Gli obiettivi sono centrati tutti e tre. Amerio collabora, anche se non racconta granchè; la stampa dà ampio spazio e fa da grancassa; Agnelli ritira la minaccia di cassa integrazione. Il 18 dicembre il dirigente Fiat viene lasciato su una panchina, con gli occhiali oscurati. Gli dicono di contare sino a 200 prima di toglierseli.

Il sequestro è stato un indubbio successo. Per di più le forze dell’ordine si sono dimostrate impotenti. Il mito dell’imprendibilità delle Br è cresciuto. Solo l’aut aut sul compromesso storico cade nel vuoto, la base del Pci non raccoglie.
Unico insuccesso è l’arresto di Savino e della moglie, sorpresi a fare scritte sui muri della Fiat. Savino risulta iscritto al Pci. Un anno dopo è già fuori ed entra in clandestinità.

I sindacati parlano di un atto di delinquenza comune e il Pci ancora di sedicenti brigate rosse. Ma sa bene che non sono provocatori camuffati da rossi. Infatti contatta Morlacchi, che ha due fratelli che lavorano all’Unità, e propone a lui e Franceschini di uscire dalle Br, chè la magistratura chiuderà un occhio. Ultima offerta, dopo di che il partito li combatterà con tutti i mezzi. I due rifiutano.

Lotta Continua continua nelle sue oscillazioni. Non condanna il sequestro e rifiuta la  solidarietà ad Amerio: <Non c’è tra gli operai chi ci piange sopra, se non i suoi colleghi di sfruttamento>. Critica <l’avventurismo piccolo borghese delle Br>, ma difende la legittimità della violenza proletaria.  Più o meno un colpo al cerchio e uno alla botte. Il fatto è che LC ha un problema. Alcuni suoi militanti premono per fare come le Br e nelle fabbriche sta perdendo consensi. Un gruppo di Sesto S.Giovanni ha preso contatti coi brigatisti, qualcuno ha chiesto di entrare, tra questi un giovane operaio, Walter Alasia. Altri compagni stanno per uscire da LC e fondare i Nuclei armati proletari.

La campagna di sequestri, gli interrogatori centrati sulle condizioni del lavoro in fabbrica, le azioni condotte senza sangue e violenza inutile hanno prodotto un’immagine delle Br di giustizieri coraggiosi e un po’ romantici, alla Robin Hood. Le Br si sono conquistate una certa simpatia tra gli operai delle fabbriche più calde. Arriva qualche nuovo militante, numericamente poca roba, ma ci sono adesioni significative. Ad esempio quella di Angelo Basone, operaio alle presse della Fiat, delegato Fiom e nel direttivo della sez. Mirafiori del Pci, da cui verrà espulso, uno molto stimato dai compagni.

Il biennio 72-73 della lotta armata si chiude con sei morti e due feriti

g.g.

continua…..  5) Da Sossi a Dalla Chiesa