Cap precedente 44) Catturato Moretti. Senzani vuol prendersi le Br
Il terremoto e Cirillo
Il 23 novembre dell’80 il terremoto ha devastato l’Irpinia, facendo quasi 3000 morti. Anche Napoli è stata colpita, con alcune decine di vittime, centinaia di case danneggiate, soprattutto nel centro storico, e migliaia di senzatetto.
La nuova linea delle Br, elaborata dai capi storici in carcere, accolta da Moretti, ma fatta propria soprattutto da Senzani e dai napoletani, dice che bisogna dialettizzarsi con le masse. Quasi una banalità, che dovrebbe fare altrimenti una forza rivoluzionaria? Invece è una novità. Dialettizzarsi significa che le Br, con le loro azioni, debbono produrre vantaggi concreti, anche modesti, per le masse. Insomma conquistare qualcosa. Invece di sparare al cuore dello Stato, il cosiddetto militarismo della gestione Moretti, che ha finito per isolare le Br rispetto alle masse. Niente equivoci però, la critica al militarismo non significa meno sangue (anche se Moretti negli ultimi mesi lo ha pensato). La nuova stagione sarà infatti altrettanto e forse più sanguinaria.
Già il sequestro D’Urso si è mosso in questa ottica. Ora il dopoterremoto offre un’occasione d’intervento perfetto. Tanta gente ha perso la casa, i disoccupati sono aumentati, è su questo terreno che le Br decidono di intervenire, naturalmente coi loro metodi: ancora una volta con un sequestro.
L’obiettivo è stato scelto da oltre un mese. E’ Ciro Cirillo, 60 anni, assessore regionale Dc ai lavori pubblici e vicepresidente del Comitato per la ricostruzione, cioè uno di coloro che gestiranno l’enorme flusso di denaro che sta per arrivare a Napoli. Tra l’altro Cirillo è uno con le mani in pasta nell’edilizia da tempo, già coinvolto in vari scandali. Ma soprattutto è il braccio destro di Antonio Gava, il boss democristiano più potente a Napoli. Don Antonio è una specie di re di Napoli, e dunque Cirillo è il vicere.
Il sequestro.
I napoletani sono ormai pronti, ma il Comitato esecutivo chiede di aspettare, perchè anche al Nord si sta preparando un sequestro e vorrebbero farli in contemporanea. Ma Senzani non ha nessuna intenzione di prendere ordini dall’Esecutivo e decide di procedere. E’ il primo passo di una nuova scissione.
Il 27 aprile 1981 alle 21,45 Cirillo rientra a casa, a Torre del Greco, sulla sua Alfetta blindata. Ha un poliziotto di scorta e un’autista, forse anch’esso armato, pensano i brigatisti. L’autista apre la serranda del garage col telecomando, l’auto entra, il brigadiere Luigi Carbone scende, in quell’attimo due uomini si infilano nel garage, sono Vittorio Bolognesi e Giovanni Planzio, e aprono subito il fuoco sul poliziotto, che non fa in tempo ad impugnare l’arma. Ma seppur ferito si lancia su Bolognesi e gli afferra la pistola allora Planzio spara ancora diversi colpi e l’uomo scivola a terra, seduto, appoggiato al muro, morto.

L’auto di Cirillo
Intanto anche Emilio Manna è entrato e spara sull’autista, Mario Cancello, che muore ancora seduto in auto. Poi entrano altri due, sono Vincenzo Olivieri, un impiegato delle poste, e Senzani. Il professore resta un po’ in disparte, non è un guerriero. Bolognesi tira fuori Cirillo dall’auto, è impietrito e non oppone resistenza, ma lo colpisce ugualmente in testa col calcio della pistola. Poi lo caricano su un furgone rubato e parcheggiato fuori. Al volante c’è Vincenzo Stoccoro, un ventisettenne che chiamano “lo sdentato”. Ma nell’auto c’è una quarta persona, non era prevista e quasi non se ne accorgevano, è il segretario di Cirillo. Planzio apre lo sportello, non sa chi è, ma gli spara comunque alcuni colpi nelle gambe.
La moglie e i vicini si affacciano alle finestre, cercano di chiamare il 113, ma i telefoni non vanno. Antonio Chiocchi ha provveduto a tagliare i fili della centralina.
Cirillo viene portato in un appartamento di Cercola, un comune poco fuori Napoli, alle pendici del Vesuvio. Incatenato su una branda, in una specie di ripostiglio e <martellato a ciclo continuo da un altoparlante che diffonde l’Internazionale>. E’ l’abitazione di due insospettabili. Lei, Rosaria Perna, è un medico, al piano di sotto ha l’ambulatorio. Lui, Pasquale Aprea, è un impiegato statale in aspettativa. Saranno loro i due carcerieri. Hanno anche una potente radio ricetrasmittente per intercettare la polizia. Chiocchi va e viene per interrogarlo.
“Contro la deportazione dei proletari”

Ciro Cirillo fotografato nelle prigione brigatista
<Contro la deportazione dei proletari, requisire le case sfitte dei padroni>. E’ lo slogan del primo comunicato che chiarisce subito qual è l’obiettivo del sequestro. Migliaia di abitanti del centro storico erano stati trasferiti in una roulottopoli alla fiera e in scuole delle periferia. Le Br si son messe in teste che questa scelta nasconda un fine politico: frantumare e disperdere il proletariato dei vicoli, che, per la sua cultura extralegale, Senzani & c. hanno eletto a soggetto antagonista e potenzialmente rivoluzionario.
Alla requisizione delle case sfitte affiancano la richiesta di un’indennità per i disoccupati.
Lo Stato annuncia subito la linea dura, come per Moro. Ma è una finta, la Dc ha già deciso che Cirillo va salvato ad ogni costo, compresa una trattativa con le Br, e senza nessuno scrupolo. La prima mossa infatti è quella di coinvolgere l’altro potere, quello che controlla Napoli: la camorra.
Non passano neanche 24 ore che due uomini del Sisde si presentano al carcere di Ascoli, sotto falso nome, per parlare con Cutolo. E torneranno altre tre volte per convincerlo ad intervenire sulle Br. Cutolo ascolta in silenzio, prende tempo, vuole che siano i capi della Dc a chiedere il suo aiuto.
Cutolo e la Nco
Cutolo è il più potente boss della camorra, anche se da ormai vent’anni sta in carcere. ‘O Professore però è un boss diverso dagli altri. Forse anche lui ha subito l’influenza del ’68. Ha infatti cercato di fornire alla camorra, alle sue regole e alle sue logiche un supporto ideologico oltre che un nuovo assetto organizzativo.
Mentre la mafia in Sicilia si comporta come uno Stato, la camorra è sempre stata anarchica, non ha mai neppure cercato di dare ai vari clan un’organizzazione unitaria, un coordinamento con regole comuni. Cutolo invece sta provando a costruire un’organizzazione criminale verticale e gerarchizzata intorno alla sua persona. L’ha chiamata Nuova camorra organizzata (Nco), che assomiglia a una sigla dell’estrema sinistra.
La missione della Nco, secondo l’annuncio di Cutolo, è il riscatto sociale dei deboli e del

Raffaele Cutolo
sottoproletariato. La violenza e le attività illegali sono il mezzo col quale togliere ai ricchi per dare ai poveri. Ovviamente tra il messaggio e la realtà criminale c’è un bel salto, però il verbo cutoliano, diffuso anche con mezzi nuovi (poesie, slogan, piccoli comizi registrati su audiocassette) funziona. La Nco ha attirato molti giovani, emarginati e piccoli delinquenti, che adorano Cutolo, ed anche altri clan che forse vedono in lui il futuro della camorra.
La Nco ha circa duemila affiliati e controlla intere zone di Napoli e della provincia. Anche se ora gli altri clan si sono uniti nella “Nuova Famiglia”, ed è iniziata una guerra che farà centinaia di morti.
Insomma la Nco, almeno a parole, sta già facendo, con ben altre adesioni, quel che si propone Senzani. Un’affinità che il capo brigatista spera possa tradursi in una vera e propria alleanza. E dunque si capisce la scelta di Cutolo da parte della Dc: è l’uomo giusto.
La trattativa
Cutolo però prende tempo. E allora al Sisde subentrano i vertici del Sismi, compreso l’uomo degli americani, Francesco Pazienza. In pratica i vertici della P2. Evidentemente sono più convincenti, perchè il boss accetta di prendere contatti con le Br. Da questo momento la regia dell’affare Cirillo si sposta nel carcere di Ascoli. Capi dei servizi e democristiani anche di alto livello vanno in visita da Cutolo. Ma anche latitanti di rango vengono portati, con tanto di lasciapassare del Sismi, dal loro capo per ricevere ordini. Latitanti che, svolto il loro compito, vengono poi lasciati liberi di risparire. Detenuti della camorra vengono trasferiti nei carceri di Palmi e Nuoro dove stanno i capi delle Br e detenuti vicini alle Br vengono portati ad Ascoli, che diventa una specie di hotel con porte girevoli. Del resto la detenzione di Cutolo ad Ascoli già da molto tempo assomiglia al soggiorno in un hotel, visto che il boss gode di incredibili privilegi, libertà e favori. E a lui ha dedicato una canzone anche De Andrè.
Piccoli in persona, segretario nazionale Dc, incontra il braccio destro di Cutolo, latitante. Ma perchè la Dc sembra aver perso la testa, disposta a tutto pur di liberare Cirillo? Un politico assolutamente modesto, nel cui ruolo di gestione del dopoterremoto poteva tranquillamente essere sostituito da qualcun altro. Il motivo è uno solo, Cirillo è a conoscenza di tutti i segreti relativi a tangenti, corruzione, malaffari, collusioni con la camorra del suo capo. E il suo capo è un pezzo molto grosso della Dc. Se quello parla e racconta tutto, la carriera di Gava è finita, e Gava non si lascia buttare a fondo senza trascinarsi dietro qualcun altro. E dunque è interesse di tutta la Dc salvare Cirillo.
E poi i tempi, rispetto a quando in ballo c’era Moro, son cambiati. Non c’è più di mezzo il Pci, siamo in un’altra stagione politica.

Baciamano ad Antonio Gava
L’allarme della Dc diventa concreto quando il 12 maggio le Br diffondono una lettera di Cirillo, nella quale l’assessore dice che i brigatisti hanno ragione, le loro richieste sono giuste. E infatti tre giorni dopo in Consiglio comunale i democristiani chiedono la requisizione di 900 case sfitte.
Lo stesso giorno il Mattino pubblica una lettera di Pasquale D’Amico, un luogotenente di Cutolo, che invita i brigatisti a liberare Cirillo, altrimenti faranno i conti con la camorra. Cutolo smentisce subito questa minaccia. Ma l’ordine l’ha dato lui. L’uomo è molto furbo ed ha cominciato a giocare su più tavoli: avverte le Br che si sono infilate in un gioco pericoloso, ma allo stesso tempo non ha fretta di far liberare Cirillo, deve prima alzare il prezzo del suo intervento.
Intanto i suoi uomini hanno fatto sapere ai brigatisti in carcere che: <la Dc è disposta a trattare a tutti i livelli attraverso il canale di Cutolo>.
Sia i brigatisti in carcere sia i capi della colonna napoletana respingono i primi contatti: non si tratta con la Dc. Ma Senzani capisce che con Cutolo si deve parlare e trattare. Nelle carceri la vita di molti brigatisti è in pericolo ed anche a Napoli l’aria si potrebbe fare molto pesante. La camorra uccide e mettersi in guerra con lei non è come sparare alla gente che al mattino esce di casa. Tra l’altro Cercola è proprio nel territorio della Nco. E poi i contatti con Cutolo potrebbero avere interessanti sviluppi. Ma non c’è fretta, sarà una trattativa lunga.
Una nuova scissione
Alcune settimane dopo il sequestro l’esecutivo convoca una direzione strategica per discutere delle divergenze con Senzani e i napoletani, ma questi non si presentano, sancendo di fatto una nuova scissione. Il veneto Francescutti, il toscano Umberto Catabiani e i romani Pancelli e Capuano entrano a far parte della Direzione. Senzani e i napoletani sono ormai fuori.
Intanto si spara un po’
Intanto, come già durante il sequestro Moro, si portano a termine altre azioni, perchè nei piani delle Br la “campagna Cirillo” non è solo il sequestro. E poi servono per aumentare la pressione sullo Stato.
Il 15 maggio a Napoli in due bloccano nell’androne di casa Rosario Giovine, un consigliere comunale Dc, gli mettono un cartello al collo, su cui è scritto con un pennarello rosso “lavorare meno, lavorare tutti” e “no alla deportazione dei terremotati”. Senzani lo fotografa e Bolognesi gli spara sei colpi nelle gambe. In strada c’è l’auto che aspetta Giovine, ma Planzio e una ragazza di 20 anni, Marina Sarnelli, puntano le pistole alla testa dell’autista e si fanno consegnare l’auto, con la quale i quattro se ne vanno.
Giovine è stato scelto perchè gestisce le liste dei disoccupati, come le può gestire un democristiano a Napoli, in modo clienterale. Il ferimento nell’idea dei brigatisti è il modo per “conquistare” i disoccupati. Anche se il loro linguaggio risulta un po’ ostico, nella rivendicazione dicono: <abbiamo invalidato il porco democristiano Giovine, responsabile della stratificazione dei proletari disoccupati>. Stratificazione?
PL non c’è più, ma uccide ancora
Lo stesso giorno quel che resta di Prima linea, che ha ormai deciso di occuparsi solo dei compagni latitanti e di quelli in carcere e sta per assumere la sigla Colp, uccide una guardia.
Oggi come prima le rapine sono indispensabili. In cinque, capeggiati dalla Borrelli, vanno a rapinare una banca di Mongrando, vicino a Biella. Nel gruppo c’è Pietro Mutti che, dopo la fine dei Pac, è passato in PL. C’è anche Franco Fiorina, 35enne biellese, uno dalla pistola facile, anche lui ex Pac, latitante da parecchio. Gli altri due, Frassinetti e Avilio, sono nuovi.
La dinamica non è chiara, di solito non si spara alle guardie a meno che reagiscano, sta di fatto che Rinaldo Antonino viene ucciso fuori della banca con tre colpi a bruciapelo e finito con un colpo alla nuca. Sembra un’esecuzione più che la risposta ad un’eventuale resistenza. I cinque poi entrano in banca e se ne vanno con venti milioni.
Ancora la Montedison nel mirino
La campagna di primavera, decisa quando ancora Moretti guidava le Br, prevedeva il sequestro a Napoli di Cirillo e uno al Nord nel mondo delle fabbriche. Dovevano essere contemporanei, ma Senzani ha anticipato i tempi, anche per dimostrare che ora è lui a dettare la linea. Ora il comitato esecutivo deve rispondere portando a termine il sequestro al Nord, anche per difendere il proprio ruolo.
Da un paio di mesi è già stato deciso l’obiettivo: di nuovo il Petrolchimico di Marghera. L’anno prima era stato assassinato Sergio Gori, il vicedirettore della Montedison (vedi cap 38).
I motivi della scelta sono due: il Petrolchimico è una delle poche fabbriche ancora calde, al momento con centinaia di dipendenti in cassa integrazione e gli operai in stato di agitazione, dove è attivo uno storico comitato di lotta legato all’Autonomia organizzata. Il secondo è che al nord la colonna veneta è l’unica ancora in grado di gestire un sequestro. Ha già dato prova di una certa efficienza con due omicidi. E’ nata da non molto e, dopo l’arresto nel dicembre ’80 di Galati, è ora composta da gente nuova e sconosciuta. Il capo, da qualche mese, è il romano Savasta, al suo fianco Francescutti e Di Lenardo.
Il sequestro Taliercio
L’uomo da sequestrare è Giuseppe Taliercio, il direttore della Montedison. Nonostante un anno prima abbiano ucciso il suo vice, non ha adottato nessun tipo di precauzione ed è anche per questo che è stato scelto. Taliercio, 54 anni, è di umili origini, i suoi l’hanno fatto studiare ed è diventato ingegnere. Entrato in Montedison negli anni 50, ha salito tutti i gradini della carriera fino al vertice del colosso chimico con oltre 40mila dipendenti. In realtà da un paio di settimane Taliercio si è dimesso e aspetta solo il sostituto per andarsene. Le Br forse non lo sanno, comunque sarebbe cambiato poco..
Antonio Savasta ha informato Claudio Cerica, leader dei Collettivi autonomi (Cpv) dopo che gli altri due capi, Despali e Zambon, sono finiti in carcere. Con i Cpv (che ora hanno cambiato nome in Movimento comunista organizzato) i rapporti sono sempre stati buoni. Infatti è arrivata l’approvazione del sequestro, così come lo ha approvato l’Assemblea autonoma del Petrolchimico. Se avessero detto no il sequestro sarebbe stato fatto lo stesso, ma meglio così.

Giuseppe Taliercio
Le Br sanno che Taliercio torna sempre a casa per pranzo. Ed è alle 13, del 20 maggio, che Marina Bono, la stessa che ebbe il compito di avvistare l’uscita di casa di Gori e che ha sparato al commissario Albanese, lo aspetta davanti a casa. Appena lo vede entrare nel portone, corre nei vicini giardinetti, dove aspettano in quattro. Savasta, Lo Bianco, venuto da Genova, Pietro Vanzi da Roma (nella colonna veneta sono giovani e poco esperti) e Gianni Francescutti, vestito da finanziere. La divisa gliel’ha cucita Alberta Biliato, una militante di Treviso che fa l’impiegata.
I quattro suonano il campanello della famiglia Taliercio e salgono le scale. Intanto Roberto Vezzà, arriva davanti al portone con un furgone, rubato giorni prima e riverniciato nel garage di Olivero, il venditore di souvenir. Vezzà ha 25 anni e fa il rappresentante di commercio, sarà l’autista.
Davanti alla casa, assieme alla giovanissima Bono, si apposta anche Ermanno Faggiani , 23enne venuto dalla campagna e dall’Autonomia, che ora lavora in un ditta che fa manutenzione alla Montedison. Entrambi sono armati di mitra sterling e bombe a mano.
Arrivati all’appartamento, Francescutti mostra un mandato di perquisizione falso. Li fanno entrare, Per qualche minuto i quattro recitano la parte poi estraggono le armi, legano la moglie e i due figli in cucina, dove stavano mangiando, portano Taliercio in salotto, lo mettono in un baule, che avevano lasciato sulle scale. Lo portano giù e lo caricano nel furgone, che parte, preceduto da Alberta, la sartina, che fa da staffetta con la sua 500.
Savasta e Vanzi restano nell’appartamento per oltre un’ora, per essere sicuri che i familiari non avvertano nessuno prima che l’ostaggio sia arrivato a destinazione. Nell’attesa si cucinano una pasta e mangiano, del resto è ora di pranzo.
La prigione dove Taliercio viene protato è a Tarcento. Nella mansarda di Claudio Roberti, un operaio trentenne, c’è la solita tendina, la branda, una catenella lunga da legare al polso del prigioniero, un bagno chimico, tutto insonorizzato con cura. Assieme a Claudio c’è Maria Giovanna Massa, giovane ex infermiera. Era in Lotta continua a Torino, poi passata alle Br, trasferita a Genova dopo le confessioni di Peci, poi in Veneto, dopo via Fracchia.
Botte al prigioniero
Sui giornali del giorno dopo il sequestro è una notizia minore, perchè lo stesso 20 maggio Forlani, capo del governo, ha reso pubbliche le liste della P2, dopo che qualche settimana prima erano state scoperte nella villa di Gelli.
Il comunicato che rivendica il sequestro accusa Taliercio di essere il responsabile dei tagli al personale, della cassa integrazione e soprattutto delle decine di operai morti per le malattie provocate dalle sostanze chimiche e dagli impianti vecchi.
Taliercio viene interrogato da Francescutti, il professorino. Ma il direttore della Montedison è un uomo tutto di un pezzo, non collabora, contesta le domande, polemizza. Dopo alcuni giorni subentrerà Savasta, ma a un certo punto Taliercio si rifiuterà di rispondere e allora viene picchiato violentemente. Le prime Br chiesero quasi scusa per aver dato un pugno a Macchiarini, dirigente della Sit Siemens, reso necessario dalla sua reazione.
Dalle Br nessuna richiesta

I segretari di Cgil, Cisl e Uil alla testa di un corteo di lavoratori del Petrolchimico
Passano diversi giorni, ma dalle Br, diversamente che per D’Urso e Cirillo, non arriva nessuna richiesta. E questa è la causa di una prima spaccatura. Francescutti, Faggiani e la Bono, cioè coloro che mantengono legami con l’Autonomia, compresa quella interna alla fabbrica, vorrebbero che venissero avanzate richieste in linea con le accuse rivolte a Taliercio. Ma la risposta dell’esecutivo, composto da Balzerani, Novelli, il fabbro del Prenestino, e Savasta, è no. Sono richieste che può fare un sindacato, non un partito rivoluzionario e combattente. E poi, quella di trattare per ottenere qualcosa in favore del proletariato è la linea di Senzani, non delle Br vere.
Tutto ciò che le Br venete mettono in campo sono volantinaggi e uno striscione sul cavalcavia proprio davanti alla sede delle confederazioni sindacali. Tutto il sequestro sarà gestito in un sostanziale immobilismo, rivelando tutta la pochezza del vertice brigatista. E naturalmente Senzani li attaccherà per questo. D’altra parte anche dalla Montedison non viene alcuna offerta per la libertà del loro direttore.
L’appoggio dell’Autonomia veneta
I Cpv di Toni Negri non si limitano ad aver dato il loro assenso, colpiscono con attentati alcuni membri del Consiglio di fabbrica, parlando nei loro volantini, a proposito del sequestro in corso, di <un’indicazione per tutti gli operai della concretezza della discriminante della lotta armata>.
Gli unici operai che fanno sentire la loro voce sono però quelli che scendono in piazza con i sindacati, alcune migliaia, per chiedere la liberazione di Taliercio.
g.g.
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