Capitolo precedente: 47) Trucidati Taliercio e Peci. Liberati Cirillo e Sandrucci

Uccisa l’ennesima guardia

Il “Nucleo comunista combattente” di Segio nell’arco di un anno, a parte la gambizzazione di un ricettatore che aveva fatto arrestare l’amico e compagno Pedro (Maurizio Pedrazzini), si è limitato a qualche rapina. Un giorno suonano all’appartamento di un gioielliere. Due restano con la famiglia e due lo prelevano e lo portano al negozio, dove svuotano la cassaforte: 200 milioni.

Massimo Carfora

Ora però hanno deciso di colpire una guardia carceraria. Da S.Vittore sono arrivate indicazioni su due o tre secondini del primo raggio, quello di massima sicurezza, che, a quanto dicono da dentro, si comportano da duri. Il prescelto è il brigadiere Francesco Rucci, che è nel mirino anche della Walter Alasia. I membri stabili del gruppo di Segio sono quattro. Oltre a lui, c’è Forastieri, l’ex operaio, ora evaso, capo di PL a Bergamo. Massimo Carfora, anche lui viene da Lotta continua, e ha fatto parte dei Cocori. E Rosario Schettini, il più giovane.

Il mattino del 18 settembre bloccano con un’auto la 128 su cui viaggia Rucci. In due scendono e sparano. Rucci riesce a buttarsi giù, ad aprire lo sportello di destra e scendere dall’auto, ma sul marciapiede c’è Carfora, lì ad aspettare nel punto dove era previsto l’auto sarebbe stata bloccata. Che spara e uccide Rucci, sul cui corpo anche gli altri sparano sette colpi.

Evade Cesare Battisti

I “cugini” dei Colp, in pratica quel che è rimasto di PL, preparano invece l’evasione di Cesare Battisti. La proposta è venuta da Pietro Mutti, uno degli ex capi dei Pac, confluito poi in PL e ora nei Colp. Battisti è rinchiuso nel carcere di Frosinone, non uno “speciale”, anzi un carcere non impenetrabile. Il piano è semplice: si suona, si entra e si prende Battisti e per attuarlo bastano cinque persone. Oltre a Mutti, uno esperto, autore di decine di rapine, ci sono altri due ex Pac, Luigi Bergamin, ex insegnante, una lunga carriera a cominciare da Rosso nel 74, e

Cesare Battisti

Claudio Lavazza. Poi ci sono due ex piellini, Luca Frassinetti e Sonia Benedetti, fiorentina, una delle tante ragazze dall’aspetto esile e innocuo e invece decisa e dura, una delle più irriducibili tra i superstiti di PL. Qualche tempo prima il gruppo di piellini che si era rifugiato a Bari aveva fatto una rapina ad una banca di Giovinazzo, del commando doveva far parte anche lei, assieme al suo compagno Marco Fagiano e ad altri, ma all’ultimo prese il suo posto la Borrelli e lei si mise a piangere.

E’ proprio lei a suonare e ad entrare con la scusa di dover depositare dei soldi per un detenuto. Appena entrata, estrae la pistola e neutralizza una guardia. Subito entrano altri tre che in dieci minuti bloccano otto guardie e tre donne in attesa di colloquio. Non resta che chiamare Battisti, che è in cortile che aspetta, e arriva subito. Ma anche il suo compagno di cella lo segue, è il figlio di un importante boss della camorra. C’è una sola auto per sette, ma ci entrano tutti. Poi prendono un furgone e infine il treno per Roma. Battisti verrà riarrestato molti anni dopo.

Decapitata la Walter Alsia

Visto il successo in termini di nuove adesioni del sequestro Sandrucci, la Walter Alasia decide di espandersi e manda alcuni elementi a Torino per provare a riorganizzare una colonna. Contemporaneamente prende contatti con il gruppo di Senzani . Ma sono progetti destinati a sfumare, perchè la colonna milanese ha le settimane contate.

I carabinieri di Dalla Chiesa, da qualche tempo, li stanno tenendo d’occhio. In luglio, Giuseppe Piccolo, un operaio della Sit Siemens, un militante storico dell’Alasia arrestato l’anno prima, ha cominciato a parlare. Nessuno lo sa, ma molti dei nomi che ha fatto sono sotto controllo.
Il primo a cadere è Alfieri. Proprio mentre va a Torino, pare su indicazione di alcuni ex piellini che stava contattando. Il 24 ottobre la sua auto viene intercettata e lui arrestato. Poco meno di due mesi dopo è la Digos ha mettere a segno un grosso colpo. Una pattuglia entra in un bar,

Pasqua Aurora Betti

ufficialmente per un controllo della criminalità comune.

A un tavolino ci sono una donna ed un uomo che fanno colazione con cappuccino e brioche. Gli agenti chiedono i documenti e quelli mettono mano alle pistole, ma questa volta i poliziotti non si fanno sorprendere come una volta. Hanno già le armi puntate alla testa dei due: <Se fate una mossa, vi uccidiamo>. I due sono Pasqua Aurora Betti e un personaggio minore, Flavio Amico che aveva ben due calibro 38 nella cintura, una davanti e una dietro.

La Walter Alasia è decapitata ed è solo l’inizio. La Betti, capo indiscusso, e Alfieri, il numero due, hanno chiuso la loro carriera di “combattenti”. Ma non quella di assassini, gli basteranno pochi giorni di carcere ad Alfieri per macchiarsi di uno dei delitti più feroci e abietti della storia del terrorismo, che pur ne ha contati tanti.

Mi affido ai miei carnefici

Giorgio Soldati è un 25enne della val di Susa entrato in PL negli ultimi tempi, quando questa si è sciolta è passato nei Colp, ma non è soddisfatto della scelta di abbandonare la lotta armata rivoluzionaria per dedicarsi solo a liberare i compagni in galera. Per questo da un paio di mesi ha preso contatto con le Br di Senzani. Il 13 novembre è alla stazione di Milano, assieme a un giovanissimo che sta reclutando. Sono entrambi armati. Un poliziotto, Eleno Viscardi, insospettito da qualcosa, chiede loro i documenti. Quello più giovane risponde sparandogli e uccidendolo. I due scappano, ma vengono bloccati da altri agenti.

Portati in questura vengono picchiati. Ci sono già stati episodi di percosse e torture, il primo a subirle fu Triaca, dopo l’uccisione di Moro poi anche Jannelli e Galati e il nappista Buonoconto. Ma ora stanno diventando quasi una regola. I due, malmenati dalla polizia, parlano. E così altri tre finiscono in manette. Soldati subito si pente del suo cedimento e ritratta, ma ormai è tardi. Lo mandano nel carcere di Cuneo in isolamento. Ma lui non vuole essere trattato da infame. Vuole scusarsi ed essere accettato tra i compagni.

Nelle carceri, ma anche fuori, c’è ormai un bruttissimo clima. I “pentiti” si moltiplicano e i brigatisti sanno bene che, quella che si sta diffondendo, è una malattia mortale per loro. Sono ossessionati dai sospetti, ma anche dalla paura che una parola sbagliata, una critica, siano interpretate come la spia di un prossimo tradimento. Questo acceca e intossica i loro cervelli e come i topi in gabbia, stanno per iniziare a divorarsi tra loro.

Giorgio Semeria (a destra) assieme a Renato Curcio

Forse tutto questo Soldati non lo sa e vuole a tutti i costi continuare ad essere trattato da compagno. Non accetta l’idea di essere escluso e dovere nascondersi. Spera che, ammettendo di aver sbagliato, possano perdonare la sua debolezza. A Cuneo i terroristi sono divisi in due sezioni, i brigatisti da una parte e i piellini dall’altra. Quelli di PL, coi quali aveva militato fino a pochi mesi prima, gli fanno sapere che le Br non lo perdoneranno e rischia di essere ucciso, mentre loro sono disposti a tollerarlo. Ma lui vuole andare con i brigatisti, a tutti i costi.

Rifiuta l’isolamento e scrive una lettera, drammatica e scioccante, ma utile forse a capire meglio cosa passi, ancora alla fine dell’81, nella testa di tanti giovani. <Sono stato torturato, ho parlato, ma ho cessato subito ogni forma di collaborazione (…) confermo di avere con lo Stato un rapporto di guerra…. Da quando ho combinato questo disastro mi sento una merda, uno che non è riuscito a far prevalere la propria identità politica, la propria coscienza di classe davanti al nemico …. È la giustizia proletaria che deve giudicarmi>.

Soldati viene trasferito con i brigatisti e il 10 dicembre, nel refettorio, viene circondato da sette “compagni” e strangolato. Prima di offrirsi inerme, come vittima sacrificale, alla giustizia proletaria, guarda negli occhi i suoi boia e dice solo: <Fate presto, non fatemi male>. Tra i sette ci sono Semeria, Alfieri e Salvatore Ricciardi. I primi due vengono da un ambiente cattolico. Semeria dopo il carcere farà il catechista. Non aveva mai sparato a nessuno, l’unico delitto che ha compiuto è stato uccidere un “compagno”.

Le Brigate rosse rivendicano l’omicidio con un comunicato intitolato “Epitaffio di un coccodrillo infame“.
Si scoprirà che il giudice Landi aveva ordinato di riportare Soldati in isolamento, ma l’ordine non è stato eseguito. Le guardie si accorsero anche che lo spioncino della porta del refettorio era stato ostruito, perchè non si vedesse quanto accadeva all’interno, ma non intervennero.

Nascono le Br-Partito Guerriglia

Ai primi di dicembre viene formalizzata la seconda scissione delle Br. Il gruppo di Senzani riunisce a Roma la direzione strategica e sancisce la nascita delle Br-Partito guerriglia. Il ponderoso documento fondativo, che ricalca le “13 tesi” già diffuse a luglio, non contiene sostanziali novità. Al centro c’è la questione attorno alla quale si avviluppa il dibattito brigatista da anni e cioè il fatto che il proletariato sta da un’altra parte. Ma anche questa volta non si andrà al di là dei buoni propositi, sintetizzati nello slogan “dialettizzarsi costantemente con i movimenti di massa“.

La strategia è quella di attuare campagne tese a soddisfare bisogni immediati del proletariato, sul modello della campagna Cirillo. Avendo ben presente che non c’è solo la fabbrica e dunque “si parte dalla classe operaia, ma non si rimane inchiodati alla classe operaia”. E che non è con la strategia dell’annientamento selettivo che si conquistano le masse.

La risoluzione strategica contiene poi una sequela di accuse all’esecutivo in carica: “soggettivismo, militarismo, organizzativismo e centralismo burocratico”. Critiche anche al fabbrichismo dell’Alasia che “confonde i centri strategici di elaborazione della strategia del capitale, con la gerarchia di fabbrica”. Critiche sicuramente giuste, anche se non nuove, ma parole sostanzialmente vuote, perchè la prassi sarà ben diversa. Quanto al militarismo, Senzani non sarà secondo a nessuno e si scatenerà con i suoi progetti di attacchi missilistici e carneficine dinamitarde. E si farà ampia pratica di annientamento, vale a dire omicidi. Non si colpiranno dirigenti di fabbrica, ma assessori e umili guardie giurate, che non sembra facciano parte dei centri strategici del capitale. E il centralismo burocratico sarà sostituito dal centralismo personale di Senzani, le cui pretese di comando irriteranno i napoletani, che lo estrometteranno dal vertice della colonna.

Per non dire dell’analisi della fase politica. Molto più lucida quella della Br, che d’ora in poi si chiameranno Br-Pcc (Partito comunista combattente), che ritengono ci si trovi in una fase di crisi e arretramento dei movimenti e di offensiva del nemico di classe. Mentre Senzani vede una crescita e un’avanzata dei movimenti di massa, sino a sostenere che è ormai matura la transizione al comunismo.

Le Br-Pg sono composte dalla colonna napoletana, dal Fronte carceri e da una parte della colonna romana, una quindicina quasi tutta gente nuova, un piccolo nucleo in Sardegna, mentre il tentativo di ricreare qualcosa a Torino per ora non dà frutti. L’esecutivo delle Br-Pg è composto da Senzani, Bolognesi, Chiocchi, Stefano Petrella e Anna Maria Cotone.

Piuttosto larga è invece l’adesione dei brigatisti in carcere, compresi Curcio e Franceschini. <Io come Renato e quasi tutto il gruppo storico scegliemmo il PG, perchè ritenevo che si dovesse fare il tentativo di realizzare un rapporto con le masse, aprirsi verso l’esterno>. Moretti invece resta neutrale.

I progetti di Senzani

Senzani, sempre in preda ad iperattivismo, è un vulcano di progetti. Il primo a cui lavorano da circa un mese è il sequestro di Cesare Romiti, amministratore delegato della Fiat. Il piano prevede di catturarlo a Roma, trasferirlo a Torino e tenerlo prigioniero per sei/sette mesi almeno. Ma la cosa è complicata, Petrella, Di Rocco, Buzzati fanno appostamenti, ma Romiti si sposta tra Roma e Torino, non ha orari, a Roma pare abbia una seconda casa e forse un alloggio anche negli uffici della Fiat. In un mese lo hanno avvistato una sola volta. A inizio dicembre decidono di rinunciare.

Già in settembre, dopo aver studiato a lungo un piano per una maxievasione dal supercarcere di Palmi, avevano alla fine rinunciato. Pensavano di usare tre elicotteri, rubati alle guardie forestali, ma si sono accorti che son piccoli e di evasi ce ne stavano troppo pochi.

Giovanni Senzani

Ora si lavora al progetto di attacco a colpi di bazooka alla sede della Dc, all’Eur, durante il Consiglio nazionale del partito, il 18 dicembre. In un primo momento si era pensato di attaccare il ministero di Giustizia, Senzani aveva anche pensato di lanciare bombe con una catapulta. Da Parigi arriva l’amico Baudet per insegnare come si usa l’arma di fabbricazione sovietica, fornita dai palestinesi nel 78. Ma scoprono che manca un pezzo, allora ripiegano su missili aria-aria francesi Matra. Il piano prevede che vengano lanciati contro le finestre del palazzo dal tettuccio di un furgone, comandati da un timer. Ma anche questa volta va male. Il furgone non si trova, Senzani chiede a Di Rocco e a Buzzati di usare le loro auto, ma i due si tirano indietro. Ormai è tardi, si decide di rinviare al Consiglio nazionale del 16 gennaio. Nel frattempo Susanna Berardi riesce ad entrare nella sede Dc ed anche a disegnare una pianta. Di ritorno da Parigi, Senzani sostiene che, in alternativa ai missili si potrebbe usare un’auto con un centinaio di kili di esplosivo. Baudet gli ha raccontato che lo hanno fatto in Libano e ha funzionato benissimo.

Ma altri progetti sono in cantiere. Uno è quello di uccidere l’operaio torinese che avrebbe fatto arrestare Guagliardo e la Ponti. Un altro è quello di uccidere il magistrato Adalberto Capriotti, usando proprio un auto imbottita di esplosivo, da far saltare quando lui esce di casa. Mettendo in conto la morte anche di passanti e forse di bambini, visto che difronte a casa del giudice c’è una scuola elementare.

Il 17 dicembre però accade una cosa che sconvolge un po’ i piani. Un clamoroso sequestro messo a segno dalle Br-Pcc.

Attacco alla Nato

La decisione era stata presa a metà ottobre dall’esecutivo, riunito a Milano in casa di Anna, una studentessa che fa da prestanome. Barbara Balzerani spiegò che l’obiettivo da colpire questa volta era la Nato, sequestrando un generale americano. Era una novità per le Br che, al contrario della Raf tedesca (più o meno manovrata dal Kgb), non avevano mai mostrato molto interesse per la lotta antimperialista.
In questa decisione c’è lo zampino di Mosca? I brigatisti hanno sempre negato e non c’è nessun dato per poterlo affermare.

I motivi di questa scelta sono almeno tre. Il primo è quello di inserirsi nella grande mobilitazione che è in corso in Italia contro l’installazione dei missili nucleari americani a Comiso, in Sicilia, decisa dal governo in agosto. Il secondo è la riproposizione del vecchio obiettivo, liberare i prigionieri e riconquistare così l’appoggio del nucleo storico, che si è schierato in buona parte con Senzani. L’idea è che gli Stati Uniti faranno pressioni perchè si tratti, in fondo a loro dei prigionieri Br importa poco. Il terzo è riallacciare rapporti internazionali, in particolare con l’Olp, completamenti perduti dopo che Senzani si è impadronito dei contatti con l’Hyperion. Catturare un generale Usa è una buona credenziale.
Acido il commento di Moretti: <A me pare il tentativo di trovare su una scena internazionale quello che non riescono più ad esprimere qui>.

Nelle Br-Pcc ci sono solo due colonne attive: la romana e la veneta. Lo Bianco e Vanzi sono stati mandati a Milano e la Balzerani a Genova, ma per ora senza risultati. La scelta comunque è obbligata, è in Veneto che ci sono tre grosse basi americane. Dunque tocca di nuovo a Savasta.

Che ovviamente accetta l’incarico, non è previsto che uno dica no, però mette le mani avanti: <Io con Taliercio ho fatto la mia parte. Se dovessimo trovarci nella stessa situazione, vi dico subito che stavolta toccherà a qualcun altro>. Giustiziare un prigioniero non è cosa che si supera facilmente.

La colonna veneta però non è gran cosa. Con la scissione della “2 Agosto” se ne sono andati una decina di militanti e ne son rimasti una ventina scarsa, più un po’ di fiancheggiatori. Molti sono entrati da poco e non c’è nessun radicamento, ad esempio non hanno nemmeno un uomo dentro il Petrolchimico, sono sparpagliati in cinque o sei città.
Per questo da Roma hanno mandato la Libera e Capuano, presenza non gradita a Savasta, perchè i due stanno assieme, ma a lungo la Libera era stata la sua donna, e dalla Toscana Giovanni Ciucci, 32 anni, impiegato delle ferrovie e delegato sindacale, una lunga militanza in Lotta Continua.

Il sequestro Dozier

Il sequestro viene organizzato in modo un po’ approssimativo e rischierà anche di fallire. Non sanno come riconoscere un generale, ci arrivano comprando in un negozio di giocattoli un libro per colorare i soldatini, così scoprono come son fatti i gradi di un generale. Individuata la vittima decidono di usare il metodo Taliercio, prenderlo in casa. Perchè fuori gira con la scorta di un carabiniere.

E’ Di Lenardo, spacciandosi per impiegato comunale, a studiare il condominio dove abita il gen. James Lee Dozier a Verona, sul lungo Adige. La situazione è favorevole, il generale non prende precauzioni, la porta di casa non ha l’occhio magico e lui quando apre non mette la catenella.

Il 17 dicembre è tutto pronto. Il generale rientra a casa alle 18. I brigatisti suonano ad un ufficio che ha sede lì e questi aprono il portone. Savasta e Vanzi, venuto da Milano, sono vestiti da idraulici. Salgono le scale, mentre Di Lenardo, ex operaio di 22 anni, e Capuano, l’ex studente figlio di un poliziotto, prendono l’ascensore e si fermano al piano superiore. Fuori in strada ci sono la Libera e Faggiani con due mitra Sterling. I sei si tengono in contatto con dei walkie-tolkie. Ruggero Volinia, operaio di 23 anni, è alla guida di un furgone.

Cesare Di Lenardo

Savasta suona e Dozier apre. <Siamo idraulici, c’è una perdita d’acqua nel piano di sotto, dovremmo controllare>. Il generale li fa entrare, in casa c’è anche la moglie. <Dove avete la caldaia?>. Caldaia, what’s? Allora va a prendere un dizionario per capire cos’è sta caldaia. Appena si gira, Savasta butta a terra la moglie, non è difficile, è piccola e magra. Vanzi salta addosso al generale, lo colpisce con un pugno e punta la pistola. E’ atletico ed è anche cintura nera di karatè, ma il 51enne generale americano ha combattuto in un corpo speciale in Vietnam e reagisce sferrando una serie di pugni e testate, Vanzi cade a terra, Dozier gli è sopra. Ma Savasta grida: <fermo o uccido tua moglie > puntandole la pistola alla tempia. Dozier si arrende. Aprono la porta e fanno entrare gli altri due. Il generale e la moglie vengono ammanettati e imbavagliati con nastro adesivo.

Breve controllo col walkie-tolkie, fuori e tutto tranquillo. Allora Di Lenardo scende, aiutato da Volinia porta la solita cassa in ascensore, poi in casa. Vi rinchiudono il generale e legano la moglie a una sedia. Savasta e Di Lenardo la portano giù e la caricano sul furgone, che parte con Volinia alla guida e la Libera e Di Lenardo dietro. Savasta e Faggiani con un vespino fanno da staffetta. In un sottopasso trasbordano la cassa su una Ritmo, senza sedili posteriori, comprata a Mestre, neanche rubata, i soldi non mancano. E ripartono. Questa volta a fare da staffetta è Alberta Biliato, con la sua 500, come già aveva fatto per Taliercio.

Vanzi e Capuano son rimasti nell’appartamento. Per impedire alla donna di dare l’allarme fino a che la cassa non sia al sicuro. Accendono la radio a volume alto e intanto prelevano tutti i documenti che trovano. E già che ci sono prendono anche gioielli e oro, come souvenir, diranno. Ma Di Lenardo commenterà: <Ai tempi di Curcio questo non sarebbe successo>. Infatti le prime Br rispedirono a Macchiarini, una busta con il suo orologio, che aveva perso durante il sequestro.

Dopo non molto arriva il via libera. Dozier non è ancora nella sua prigione, ma è già fuori Verona. Perchè la prigione, come fu già per Taliercio è in un altra città: a Padova. Capuano e Vanzi portano tutto ciò che hanno raccolto a Milano, in treno.

Alla fine tutto è andato liscio, anche se poteva finire male, ma non solo per la reazione di Dozier. Michele Galati, uno degli ex capi della colonna, ora in carcere, da qualche mese ha iniziato a collaborare con Dalla Chiesa. E in ottobre ha avvertito: stanno per sequestrare un ufficiale Nato. Dalla Chiesa gli ha detto di aver avvertito chi di dovere, ma, a quanto pare, senza risultati.

La prigionia del generale

La prigione è al primo piano di un grande condominio, in via Pindemonte. L’appartamento è di un medico, ma vi abita la figlia di 22 anni, Emanuela Frascella, che è andata a vivere da sola. Non è mai stata una militante particolarmente attiva, è poco conosciuta, ma ora si è persa in questa avventura.

Nella camera da letto c’è la solita tenda da campeggio. Dozier viene legato, piede sinistro e mano destra, con una catenella al palo della tenda. Le finestre sono chiuse e nella tenda c’è sempre una lampadina accesa, per confondergli il giorno e la notte. Ma prima di mettergli la solita cuffia con musica, Savasta gli chiede conferma dell’identità. Non si sa mai. Ma quello dice un nome diverso da Dozier e Savasta si spaventa: abbiamo sbagliato americano. Un altro lo tranquillizza, è la pronuncia yankee.

Alle 23 arriva la rivendicazione con una telefonata all’Ansa. Il vicecomandante di stato maggiore delle forze Sud della Nato è in mano alle Brigate rosse. E’ una notizia bomba. Non era mai successo, neanche nei teatri di guerriglie ben più importanti, che un ufficiale così alto in grado fosse catturato.

Il sequestro diviene un caso internazionale. Il presidente Reagan va su tutte le furie e se la prende con l’Italia, che non ha protetto un suo generale: <è assurdo che in un paese alleato quattro straccioni vagabondi possano impunemente rapire nientemeno che un generale dell’esercito statunitense>. Il timore è che dietro ai quattro straccioni possa esserci l’Urss.

Il generale Dozier

In Italia arrivano uomini della Cia e del Fbi. Il governo è sotto pressione. Questa volta occorre fare davvero di tutto per liberare l’ostaggio. Non può finire con un altro cadavere, soprattutto non con un cadavere americano.
Scatta la solita sceneggiatura: posti di blocco, centinaia di perquisizioni, migliaia di uomini mobilitati. Ma tutto questo, lo sanno, serve a poco. In Veneto vengono mandati gli investigatori migliori, il capo dell’Ucigos Francisci e il suo vice Improta, uno che si è fatto una certa fama.

I brigatisti delegano alle “brigate di campo”, cioè ai detenuti, di avanzare richieste. Ma le loro aspettative sono subito deluse, da Washington fanno sapere che non ci sarà nessuna trattativa.

Con il comunicato n. 3 arriva il proclama delle Br: <Attraverso di te (Dozier) processiamo la struttura di occupazione militare, la NATO, e la politica imperialista dell’ America nei confronti del proletariato italiano…. che ha costruito un ceto politico-militare completamente subordinato agli interessi delle multinazionali USA. La storia di questi governi è la storia del terrorismo di Stato, costruito dalla CIA e …. dell’ asservimento a Reagan con i missili di Comiso, …. di un ceto politico che nonostante la delegittimazione politica e sociale, rimane in piedi solo grazie al terrore dei corpi speciali addestrati dagli americani….>.

Lo zampino bulgaro

Non è chiaro quali siano questi corpi speciali, che in realtà non ci sono. Il riferimento nasce da una rivelazione che il comunicato contiene e cioè l’arrivo in Italia di Michael Ledeen, presentato come istruttore di teste di cuoio. Il nome è giusto, ma ha un ruolo diverso e più importante. Non è un militare, è un intellettuale, consigliere speciale per i problemi europei del Segretario di Stato, Haig. E’ uno dei massimi esperti di disinformazione e manipolazione. E’ l’uomo che ha congegnato il cosiddetto “Billygate” e fatto perdere le elezioni a Carter. Era a Roma già durante il sequestro Moro. E’ l’uomo incaricato di gestire politicamente il sequestro.

Ma da chi hanno avuto l’informazione i brigatisti? Dalla Bulgaria. Uno degli scopi del sequestro era di allacciare rapporti internazionali. Un brigatista, Loris Scricciolo, ha un cugino che, oltre ad essere un sindalista della Uil, traffica con i servizi bulgari. E’ da lui che è arrivata l’informazione. Ed è tramite lui che le Br chiedono di incontrare l’addetto all’ambasciata di Roma. L’incontro di Novelli con il bulgaro viene rinviato più volte. Finalmente si fa, il bulgaro si complimenta, promette soldi e informazioni e incita le Br a continuare così. Ma la cosa non avrà sviluppi (almeno noti) perchè tutto precipita.

In quanti “combattono” ancora?

A fine 81 sono operative per le Br-Pcc la colonna veneta e quella romana; più qualche elemento a Genova, Milano e Toscana. Il Partito Guerriglia, è presente a Napoli e con un piccolo nucleo a Roma; più un embrione di colonna a Torino e qualcosa nelle Marche. La Walter Alasia è presente solo a Milano.
Fuori dalle Br ci sono i Colp, il gruppetto Segio e un certo numero di cani sciolti e microsigle dalla vita effimera e breve.
In tutto poco meno di cento clandestini e tra i 300 e 400 irregolari.

Bilancio

Nel 1981 c’è un netto calo di uccisi e feriti. I morti sono 11 (furono 39 nel 78 e 31 nel 79): tre poliziotti e tre guardie, un pentito e il fratello di un pentito; un dirigente, un medico e un autista. I feriti sono otto (35 nel 78 e 46 nel 79): tre politici, un avvocato, un dirigente, un professore, una brigatista e un piellino.

g.g.

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