capitolo precedente… 5) Da Sossi a Dalla Chiesa
Furti e rapine
Uno dei primi problemi per un’organizzazione armata, o anche solo un po’ armata, è quello dei soldi e dell’addestramento alle armi. L’attività degli ex PotOp che hanno seguito Negri è però fallimentare.
Il primo colpo, nell’ottobre del 73, è il furto di una Madonna in una chiesa di Alba. A compierlo sono Caterina, lavora in Rai come regista e un operaio dell’Alfa. I due consegnano il quadro a Egidio Monferdin, 26enne psichiatra che fa l’assistente in una scuola di Mestre e che è un po’ il capo in Veneto. Negri incarica Franco, figlio di un noto direttore d’orchestra, di trovare il modo di venderlo. Il ragazzo se lo tiene in casa, chissà se nascosto tra vecchi spartiti del padre. Una casa sicura, insospettabile. Ma, dopo più di un anno, finisce nelle mani della polizia, ancora invenduto.
Poco dopo ci riprovano con la cassa di un cinema a Milano. Fioroni, quello del pulmino di Feltrinelli, e Gianfranco Pancino, che si è appena laureato in medicina e diverrà un luminare dell’Istituto Pasteur a Parigi, si mettono in sala di copertura. Franco Tommei , che lavora in una casa editrice, aspetta in auto. Marco Bellavita e Arrigo Cavallina, insegnante e figlio del primo violino dell’Arena, debbono rapinare la cassa. Ma Pancino blocca tutto, gli è parso di vedere in sala dei poliziotti.
Alla fine del 73 entra nell’organizzazione anche il novarese Oreste Strano, viene dal Pcd’i, ma soprattutto viene da un campo di addestramento palestinese, dove ha passato qualche settimana. Non è chiaro come vi sia arrivato, però porta con se due mitra e un paio di pistole. Con lui si spera migliori la qualità militare del gruppo. Infatti organizza subito un addestramento in un vecchio forte del veronese. A insegnare a professori e intellettuali come si spara c’è anche un ragazzino di 19 anni, Roberto Serafini. Il padre maniaco di armi, gliene ha messa una in mano quando aveva 10 anni e lui ha imparato bene, si dice che centri una moneta da 30 metri. Ogni tanto lo vedono con una pallina da ping pong tra le dita, lui spiega che è per avere più sensibilità a sparare.
Strano introduce nel gruppo Carlo Casirati, un delinquente comune da poco evaso. Non è chiaro se si sia convertito alla rivoluzione, come dice, oppure abbia fiutato qualche buona possibilità. Con Casirati viene fatto un accordo: lui con qualche amico esegue i colpi, i “politici” forniscono informazioni e appoggio logistico e poi si fa a mezzo. Ma anche così le cose non migliorano
Il nuovo obiettivo sono le buste paga di un’azienda padovana. Casirati è ospitato a casa di Negri. La riunione preparatoria, a cui partecipano anche due compari di Casirati, uno è Cochis che poi entrerà nella banda Vallanzasca, si tiene in una villa di Venezia, che è dell’ignaro padre di un giovane compagno. I due “comuni” restano stupiti dal lusso della casa. Sembra tutto facile. L’auto rubata e le armi le hanno procurate due “politici”. I tre banditi sono già appostati quando il basista avverte che i soldi sono chiusi in cassaforte. Rapina annullata.
Gli insospettabili
Il figlio del direttore d’orchestra (divenuto poi importante filologo), quello con la villa di lusso, la regista tv e poi Carlo Saronio figlio di uno degli industriali più ricchi della Lombardia e addirittura il direttore amministrativo della Cattolica, Mauro Borromeo, e ancora altri, sono l’apparato logistico. Militanti, ma spesso semplici simpatizzanti, che debbono rimanere nell’ombra, perchè utilizzati proprio per la loro insospettabilità. Mettono a disposizione le loro case o le loro auto o le loro cassette in banca. Molti di loro, ancora presi dal fervore sessantottino e ammaliati dalle prediche di Negri, non si rendono conto del nuovo gioco nel quale sono coinvolti.
Alla fine di aprile, durante il sequestro Sossi, Tommei tiene una riunione ad un gruppo ristretto e spiega che bisogna dare una mano alle Br, compiendo qualche attentato contro polizia e carabinieri, come segno che i compagni brigatisti non sono soli. Fioroni ha portato sei sette candelotti di cheddite, che vengono distribuiti. Ad ognuno viene affidato un obiettivo: qualche piccolo botto nella notte.
Visto che i soldi mancano, si pensa di rubare direttamente le armi in casa di un collezionista. Il 21 giugno Serafini, Cavallina e un altro penetrano nell’abitazione, ma la moglie li vede e si mette a gridare. I tre sono armati, ma scappano. In strada li aspettano con le auto Fioroni e Silvana Marelli, che è la donna di Cavallina. Il marito spara dal balcone con un fugile a pallini e manda in frantumi il lunotto dell’auto. Serafini dirà che il fatto che la donna era incinta l’ha bloccato. Un altro fallimento.
Finalmente, in agosto, riesce un colpo. Il furto di una collezione di francobolli fatto da Casirati in una casa di Venezia. Non granchè.
Nasce Rosso

Toni Negri
In giugno intanto è nato Rosso. Il Gruppo Gramsci, fondato a Varese, ma presente anche a Milano dopo una scissione dal Movimento studentesco, decide di sciogliersi. Una parte entra in LC, la parte più grossa si unisce al gruppo di Negri, portando in dote il quindicinale “Rosso”. Così ora gli ex PotOp hanno anche un giornale e un nome. Loro continuano a mettere in giro la storia che non sono un’organizzazione, ma solo un giornale nel movimento. Ma non è vero, Rosso è un gruppo ben organizzato e strutturato, che diverrà rapidamente il punto di riferimento di buona parte dell’autonomia milanese e lombarda, veneta e bolognese.
Il grande capo è sempre Negri. Romano Madera, oggi psicofilosofo di qualche notorietà, si occupa del giornale. I capi politico-operativi sono Tommei e Pancino. I sottocapi: Pietro Mancini che si muove un po’ nell’ombra perchè è un dirigente della Fim-Cisl, Raffaele Ventura che viene dal 68 trentino, il romano Chicco Funaro .
Attorno a Rosso cominciano a crescere collettivi di quartiere, di scuola e di qualche fabbrica, che fanno attività politica, ma il cui tratto distintivo sarà, nel giro di un anno, la presenza al loro interno di nuclei armati, di tante armi che girano e di ragazzini che le maneggiano. E’ la nascista del terrorismo diffuso, del movimento armato. Tutta un’altra cosa rispetto alle Br, criticate perchè: <Si collocano fuori dal movimento …. rinunciando ad organizzare i livelli di violenza spontanea di massa>. Cioè a far sì che “cento fiori fioriscano”. Lo slogan di Mao, che gli autonomi amano ripetere.
Le Br amano la segretezza, loro fanno riunioni in cui si parla di lotta armata con decine di persone, che non si sa neppure se sono d’accordo. Il gruppo è del tutto permeabile, eppure sembra che la polizia non si accorga di nulla. Il giornale Rosso, non clandestino, ma in edicola, per anni inneggia e incita alla violenza, all’illegalità, all’uso delle armi. Difficile credere che ciò avvenga perchè la polizia è incapace o distratta.
L’autonomia operaia
Si chiama Autonomia operaia, ma paradossalmente la fabbrica perde di interesse, non è più il cuore dell’azione politica. L’operaismo viene aggiornato, Negri inventa l’operaio sociale: <Dopo che il proletariato si era fatto operaio, ora il processo è inverso: l’operaio si fa operaio terziario, operaio sociale, operaio proletario, proletario. […] Avevamo visto l’operaio-massa produrre la crisi. Ora vediamo la ristrutturazione che, lungi dal superare la crisi, ne distende e allunga l’ombra su tutta la società>.
Qui Negri mostra una capacità di lettura straordinaria dei cambiamenti in corso. Nel 74 del dominio del lavoro precario, della terziarizzazione, del declino della fabbrica vi sono segni appena percettibili, ma lui li coglie e parla già di fabbrica diffusa. Anche se ci vorranno ancora una ventina d’anni. Ma si sbaglia su un punto: la crisi è solo per i lavoratori, non per i padroni.
E’ un’analisi che viene anche comoda, visto il fallimento in fabbrica ora si punta sul proletariato giovanile, sui soggetti marginali, sul terziario, dove infatti gli autonomi andranno forte. La teoria dell’insubordinazione sociale trova il materiale umano giusto.
Un’analisi acuta e preveggente che partorisce però un topolino vecchio: l’inno alla rivolta, all’azione, al gesto. L’autonomia abbandona definitivamente Marx e scopre i filosofi francesi con le loro teorie del bisogno e dei desideri. <Non dalla disperazione, ma dal desiderio, dal godimento, dalla ricchezza traiamo ragione di odio per i padroni e di inflessibilità di lotta>, scrive Negri. Il comunismo è la felicità qui e subito. Niente rivendicazioni, le cose si prendono. Dalla lotta per il pane si era passati a quella per il pane e le rose, questa è l’ora del pane, delle rose e del Dom Perignon….. e del piombo.
La Brigata Ferretto
In Veneto, già nel 72, il livello illegale di Potere operaio aveva messo in piedi un gruppo armato, tra Mestre, Padova e Verona, che si firmava Brigata proletaria Ferretto, il nome di in partigiano morto. Modeste le azioni: una fallita rapina a un portavalori; il progetto di penetrare nella villa del col. Spiazzi abbandonato miseramente causa indirizzo mancante. Unica azione riuscita, l’incursione notturna alla Cisnal di Mestre. Vanno in cinque, Carlo Picchiura, studente a Padova, che è un po’ il capo; Susanna Ronconi, una bella ragazza appena 21enne, anche lei studentessa di Scienze politiche a Padova, figlia di un generale; Martino detto Sherif e altri due. E si portano via l’archivio.

Susanna Ronconi
Nell’aprile del 73 Semeria, scarcerato, arriva in Veneto col compito di collaborare con quelli della Ferretto. Alla fine dell’anno arrivano anche Pelli, Ognibene e Gallinari per mettere in piedi la colonna veneta. La Ferretto si scioglie e in 6 o 7 passano nelle Brigate rosse: i tre già citati e poi Nadia Mantovani studentessa, il friulano Francescutti, insegnante, un impiegato comunale e un ferroviere.
In Veneto le Brigate rosse, cosa che non accade da altre parti, hanno buoni rapporti di collaborazione con l’Autonomia organizzata di Negri, tanto che alcuni militanti, tra i quali Pietro Despali, per qualche tempo mantengono una sorta di doppia militanza.
Esecuzione nella sede del Msi
L’apprendistato di una nuova colonna si fa sulle auto. Nel febbraio del 74 vengono bruciate le auto e colpite le case di quattro dirigenti del Petrolchimico. Poi c’è sempre la Cisnal, che è un obiettivo prediletto. Il 4 marzo, Buonavita, Pelli, Ognibene e Casaletti entrano nella sede di Mestre, legano i tre impiegati con catene, tracciano scritte sui muri e rubano gli elenchi degli iscritti.
Il 17 giugno viene condotta un’analoga azione contro la sede del Msi di Padova. Obiettivo: impossessarsi di documenti nei quali si spera di trovare tracce di collusioni stragiste. Padova è la città di Freda e Fachini, organizzatori della strage di piazza Fontana.
Semeria aspetta in auto, Martino, detto Sherif, resta in strada a fare da palo, la Ronconi rimane sulle scale di copertura e con un borsone nel quale mettere le carte. Nella sede entrano i reggiani Ognibene e Pelli, 20 e 22 anni, i più giovani delle Br. Ma le cose non vanno come al solito.

Fabrizio Pelli
Dentro trovano solo due uomini, ma sono un ex carabiniere e un ex giocatore di rugby. I due reagiscono e stanno per sopraffare i brigatisti, che sparano e uccidono i due missini. Entrambi sono colpiti da due proiettili, quelli mortali sono alla nuca di Mazzola e alla tempia di Giralucci. I brigatisti sosterranno di aver sparato durante la colluttazione, ma si è trattato di un’esecuzione. E’ chiaro che i due hanno perso la testa, non c’era bisogno di uccidere e non era l’obiettivo della missione.
Pelli e Ognibene vengono allontanati da Padova, arrivano Micaletto, Alunni e Buonavita. Entrano nella colonna Michele Galati, studente a Scienze politiche, e il ventenne Marco Fasoli.
E ora che fare? I vertici delle Br non la prendono bene, si tratta di un grave errore politico. Per di più l’obiettivo è sbagliato. I nemici delle Br sono lo Stato e la Dc, colpire i fascisti è un’azione di retroguardia, da lasciare ai servizi d’ordine dei gruppi.
Qualcuno propone di tacere. Nessuno sà chi è stato e sui giornali c’è già chi ipotizza una faida tra fascisti. Ma l’esecutivo decide di rivendicare, precisando che l’omicidio non era nei programmi: <un nucleo armato delle Brigate Rosse ha occupato la sede del MSI. I due fascisti presenti, avendo violentemente reagito, sono stati giustiziati>. Il motivo della decisione è nelle parole di Curcio: <Bisognava far sapere che, se necessario, le Brigate rosse uccidono>. Un modo di sfruttare un incidente per lanciare un avvertimento. Ed anche un’esibizione del rigore che caratterizza le Br: si rivendicano anche gli sbagli.
Toni Negri critica la scelta e critica l’obiettivo, si deve colpire non il Msi, ma il Pci: <La socialdemocrazia è la forma specifica del terrorismo delle multinazionali…. e il Pci si colloca interamente nella prospettiva del terrorismo socialdemocratico>. Ma Curcio non è d’accordo: il Pci non è la destra.
I tentativi di unità, mai decollati in verità, si spengono qui. Le strade si separano soprattutto per volontà delle Br, che bollano Negri e i suoi adepti come piccolo borghesi anticomunisti.
Ora però la fama di terroristi gentiluomini è andata in frantumi.
Per mesi in Veneto succede poco altro. Solo in dicembre le Br si rifaranno vive con quattro attentati contro le case di due magistrati, del presidente della Regione e dell’amministratore del Gazzettino.
Ancora una strage
Il 4 agosto una bomba, che quelli di Ordine nuovo hanno nascosto sotto un sedile del treno Italicus che da Roma è diretto a Bologna, esplode provocando una carneficina.Vengono recuperati 12 corpi carbonizzati e ci sono 48 feriti. La strage sarebbe stata ancora più grave se l’esplosione fosse avvenuta sotto la galleria più lunga d’Italia, come era previsto.
A ferragosto doveva scattare il colpo di Stato organizzato da Edgardo Sogno. Ma tutto è stato bloccato. Ormai molte cose sono cambiate, Nixon è caduto, Angleton, l’anima nera della Cia, è stato fatto fuori, così come la sua longa manus in Italia, Umberto D’Amato. In realtà non del tutto, gli hanno cambiato solo ufficio e da dietro le quinte continuerà a muovere le sue pedine. Comunque golpi e stragi non servono più, si cambia, ora a tener viva la strategia della tensione c’è il terrorismo rosso.
E’ lo stesso capo del Sid che, arrestato, dice al giudice Tamburino: <D’ora in poi sentirete parlare solo dei rossi>.
Comitati comunisti
All’inizio del 74 anche il resto di Potere operaio si è sciolto. Anche se più che uno sciglimento è un tentativo di riciclaggio. Ora si chiamano Comitati comunisti per il potere operaio. A Roma, dove sono più forti, son diventati comitati di quartiere, riuscendo ad aggregare un po’ di nuove leve, soprattutto studenti. Hanno però un forte concorrente sulla piazza romana, il Collettivo di via dei Volsci, nato da una scissione dal Manifesto, il gruppo più numeroso dell’Autonomia. Dentro i comitati, accanto all’attività politica, si vanno subito formando piccoli nuclei che si preparano alla lotta armata, anche se di armi ne girano ancora poche.
Chi invece è già attivo è il solito Morucci che, con una decina di ex potoppini, che stanno nei Comitati comunisti, forma i Lapp (Lotta armata per il potere proletario). Con lui ci sono ancora la Faranda e Maccari. E Bruno Seghetti, 24 anni, faccia da ragazzino, lavora nel laboratorio di oreficeria del fratello; Renato Arreni, Eugenio Gastaldi.
I Lapp sono più efficienti di quelli di Rosso su al nord. In pochi mesi rubano un quadro di notevole valore, rapinano un’armeria e fanno un attentato all’autoparco della Ps. In febbraio Morucci viene arrestato al confine con un carico di armi. Ma torna subito libero.
Battaglia a San Basilio
Il 5 settembre la polizia decide di sgomberare alcune case occupate un anno prima nel quartiere di S.Basilio. L’occupazione era stata organizzata da Lotta Continua. Nessuno si aspetta che ne nasca una battaglia violentissima che dura tre giorni, alla fine della quale la polizia deve ripiegare. Accanto a molti dei Comitati da poco nati e a quelli di LC anche qualche centinaio di abitanti scende nelle strade. Sulle barricate spuntano anche un fucile da caccia e un paio di pistole. La polizia spara e uccide un ragazzo di 19 anni, Fabrizio Ceruso. Un altro ragazzo ucciso dalla polizia.
La rivolta di S,Basilio segna un punto di svolta. Il titolo di un foglio stampato da PotOp l’anno prima “Mai più senza fucile”, da slogan ad effetto comincia a divenire convinzione di molti giovani. Mentre i loro capi, con una visione politica che sembra sempre alterata da qualche sostanza, sentenziano che S.Basilio dimostra che il popolo è pronto alla lotta armata.
Il 68 è arrivato nelle carceri
Il vento del 68 è entrato persino nelle carceri, anche al seguito dei molti studenti arrestati, che vi hanno trascorso qualche settimana o qualche mese. Nei primi anni 70 proteste e rivolte esplodono in molti istituti di pena. A portare alla lotta i detenuti sono le dure condizioni di vita, spesso non degne di un paese civile, ma soprattutto le parole d’ordine portate dagli studenti, che riescono a spingere un mondo fortemente individualista ad azioni collettive. «Prima di quella contaminazione – ricorda Giorgio Panizzari – in carcere ognuno era contro l’altro. Non mancava chi vendeva i compagni fornendo informazioni alle guardie. Poi, la scintilla. In tanti finalmente capiscono che è possibile aggregarsi intorno a un’idea forte…. crediamo di avviare un processo rivoluzionario».
E’ Lotta Continua a dedicare particolare attenzione a quel pezzo di società dietro le sbarre. Nel 71 aveva creato una commissione carceri, che è diventata punto di riferimento di molti detenuti. E, sul suo giornale, pubblica la rubrica “I dannati della terra”.
Della commissione fanno parte anche un certo numero di ex detenuti. Ma presto si delinea una divaricazione tra un approccio riformista: si lotta per migliorare le condizioni delle galere. Ed uno rivoluzionario-utopista, che, in base ad una visione decisamente grossolana, considera i delinquenti dei proletari che si sono ribellati alle regole dei padroni ed il carcere la massima espressione dell’oppressione capitalistica. Da qui l’obiettivo: liberare tutti e abolire le carceri.
Alla fine del 73 LC rifiuta in modo netto la scelta della lotta armata, che invece comincia ad attirare frange del movimento, compreso qualche gruppo al suo interno, tra cui proprio quelli della commissione carceri. Così nella primavera del 74 la commissione viene sciolta e una parte dei suoi militanti se ne va e fonda i Nuclei armati proletari.
I Nap
Sofri, che era uscito dal carcere nel 70, dopo una breve detenzione, con una lista di nomi di detenuti che aveva politicizzato e coi quali continuare la lotta, cerca di trattenerli : <andrete allo sbaraglio, lo Stato giocherà con voi come il gatto col topo. Farete male alla vostra causa e vi perderete>. Tra loro ci sono anche due che erano in quella lista. Ma il fascino delle armi è troppo forte. Le Br hanno appena rapito Sossi.
Il giovane Schiavone risponde: <La galera o la accetti o ci vai contro. E se ci vai contro, ci vai contro fino alla fine. Non è riformabile....>. Una scelta obbligata, quasi un destino segnato, come traspare da un loro documento: <noi non abbiamo scelta: o ribellarsi e lottare o morire lentamente nei carceri, nei ghetti, nei manicomi dove ci costringe la società borghese>. Il seme gettato ha germogliato. In tanti all’interno dei penitenziari hanno fatto proprio il dirompente messaggio di LC. E’ nata una generazione di ex detenuti trasformati in quadri politici. Tornare indietro è impossibile. Ma il fatto è che Giuseppe Gentile Schiavone non è neppure un detenuto, ma un brillante studente di medicina. E molti altri sono giovani studenti.
Le parole di Sofri saranno profetiche, molti andranno incontro a un destino tragico.
I Nap nascono a Napoli e Firenze poi si allargano a Roma. Verrano chiamati le Br del Sud. Ma sono due cose abbastanza diverse. Nelle Br ci sono molti operai, nei Nap studenti ed ex detenuti. Le Br puntano alle fabbriche e al cuore dello Stato, i Nap alle carceri e agli emarginati. Le Br sono maniache dell’organizzazione, i Nap non avranno mai una vera organizzazione, i nuclei si muovono in maniera autonoma. Le Br hanno un progetto, seppur fuori dalla realtà, prendere il potere, ai Nap interessano poco i progetti, la loro è più un ribellione dai toni a volte disperati.
Figli della borghesia ed ex detenuti
A Napoli a fondare i Nap sono alcuni studenti. Giovanni Gentile Schiavone, che verrà definito l’ideologo del gruppo. Con lui c’è la sua fidanzata, Maria Pia Vianale. Ha 20 anni, figlia di due maestri, fa l’università e anche lei viene da LC, è bella, alta, fisico da indossatrice. Nicola Pellecchia, figlio di un avvocato, in tarda età diverrà il leader dei pescatori di Procida. Giuseppe Principe, studente di medicina e figlio di uno stimato professore di liceo. Alfredo Papale invece è figlio di un generale in pensione. Sono tutti usciti da LC. Domenico Delli Veneri studia ingegneria, il padre è un industriale beneventano. Alberto Buonoconto, un ragazzino di 19 anni. Tutti figli della media e buona borghesia.
Con loro ci sono gli extralegali, come li chiamano. Giuseppe Romeo, 20 anni, a 14 era già in riformatorio poi dentro e fuori dal carcere, dove conosce Sofri e Andrea Valcarenghi, il fondatore di Re Nudo. Quando esce entra in LC ed è uno dei più attivi nella commissione carceri. Un altro è Giorgio Panizzari, che però è ancora dentro, condannato per omicidio durante una rapina, anche se si è costituito per dimostrare la propria innocenza. E’ un leader carismatico. Pietro Sofia non è un ragazzino, è padre di sette figli, condannato a 17 anni, ed è da poco evaso.
A Firenze il leader è Luca Mantini, universitario, viene da una famiglia modesta e molto cattolica. Milita in LC e nel 72 viene arrestato durante degli scontri a Prato per un comizio del Msi. Sta dentro nove mesi e resta così colpito dall’universo umano delle carceri, che quando esce fonda, assieme ad altri ex detenuti, il collettivo Jackson (un detenuto appartenente alle Black Panters). Nei Nap lo segue anche la sorella Anna Maria 21enne.
Il suo compagno di cella era Pasquale Abatangelo, 24 anni, famiglia poverissima. A 16 anni il primo arresto, assieme al fratello e cugino. Poi scappato e riarrestato un altro paio di volte. Infine l’incontro con Mantini e con i Nap. Un altro che quelli di LC hanno politicizzato (questa volta è stato Guido Viale) è Claudio Carbone, un giovane falsario.
E poi c’è Fiorentino Conti, in carcere ha conosciuto Sofri e ha scoperto oltre al desiderio di ribellione, la politica. Si è messo a divorare libri e nel carcere di Perugia ha creato il gruppo delle Pantere rosse. Uscito, diventa il responsabile della commissione carceri di LC. Poi viola gli obblighi di firma ed entra in clandestinità e nei Nap. All’inizio i nappisti sono una quarantina.
Contro i lager dello Stato borghese
Cominciano con incursioni in alcune sedi del Msi di Napoli. Ma il 25 luglio 74 già sequestrano Antonino Gargiulo, uno studente figlio di un noto professionista, poche ore ed è liberato in cambio di 70 milioni. L’azione non è rivendicata.
Il 4 ottobre collocano di fronte a Poggioreale, Rebibbia e San Vittore, tre registratori con altoparlanti che incitano alla rivolta generale nelle carceri e che poi esplodono. <Compagni e compagne detenuti nel carcere, questo messaggio è rivolto a tutti voi dai Nuclei Armati Proletari che si sono costituiti in clandestinità all’esterno dei carceri per continuare la lotta dei detenuti contro i lager dello Stato borghese e la sua giustizia; …. per la nostra autoliberazione di classe, per il nostro contributo al processo rivoluzionario del proletariato, per il comunismo: rivolta generale nei carceri e lotta armata dei nuclei all’esterno>.
Gli obiettivi immediati dei Nap sono: abolizione dei manicomi giudiziari e dei riformatori minorili; amnistia generale e incondizionata, tranne che per i reati di mafia e per la «sbirraglia nera».
Il sogno spezzato di Luca Mantini

Luca Mantini
Il 29 ottobre la carriera di nappista di Luca Mantini è già finita. In cinque vanno per rapinare una banca a Firenze, hanno bisogno di soldi perchè c’è una buona occasione, un carico d’armi in arrivo. Fanno le cose in fretta e male, tanto che trovano la banca chiusa per sciopero. Ripiegano su un’altra. Ma passa una pattuglia di carabinieri e finisce con una sparatoria. Mantini e Romeo restano uccisi. Il sogno di ridare la libertà ai dannati della terra finisce in una pozza di sangue sull’asfalto, a 25 e 20 anni. Sofia e Abatangelo sono feriti e arrestati. Pellecchia riesce a fuggire.

In ricordo di Sergio Romeo
<Sono stati fucilati in un’imboscata premeditata> scrivono i Nap. E’ una narrazione priva di fondamento. Per di più l’obiettivo della rapina era improvvisato e se scegli la lotta armata, capita che anche il nemico spari. E’ una tragedia, ma così stanno le cose. Affermazioni di questo tipo accompagneranno ogni morto, ogni ferito, ogni arresto degli anni di piombo e tanti giovani se le bevono, dolce e aspra bevanda allucinogena.
Al funerale del fratello, Anna Maria, ex boy-scout e focolarina, giura che continuerà la lotta. Infatti diventa uno dei capi del nucleo che prende il nome di “29 ottobre” e che opera a Roma.
Abatangelo il 9 febbraio del 75 evade dal carcere, passando dalle fognature e poi in autobus. Ma è riarrestato due settimane dopo.
Il sequestro Moccia
I soldi continuano ad essere il primo problema. E così il 18 dicembre viene sequestrato un industriale del cemento napoletano, Giuseppe Moccia. Per prenderlo usano uno stratagemma visto in un film, cambiano la segnaletica stradale, così da portare l’auto in un budello chiuso. A guidare il commando è Delli Veneri, il figlio di industriali. La famiglia paga un miliardo, senza quasi batter ciglio, e dopo 4 giorni Moccia è libero.
Ora i Nap hanno soldi in abbondanza per comprare appartamenti, armi, attrezzature e mantenere i compagni in clandestinità, pochissimi al momento. Ma già insorgono i primi disaccordi. Una parte, soprattutto i napoletani, guarda alle Br e organizza una serie di azioni simili a quelle brigatiste, con obiettivi politici: assalti a sedi della Dc e dell’Ucid. Un’altra parte, capeggiata, da Conti vuole invece rimanere ancorata alla linea originaria, al mondo delle carceri.
g.g.
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