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Girotto, l’infiltrato

Silvano Girotto, detto frate mitra
In primavera, sulle pagine di alcuni settimanali erano comparsi ampi servizi su un frate. Indubbiamente un personaggio. Silvanno Girotto, questo il suo nome, aveva avuto una giovinezza burrascosa, condannato per rapina poi arruolato nella Legione straniera, ma nel 63 si era fatto frate. Anche lui di Borgomanero, come alcuni brigatisti. Nel 69 era partito missionario per la Bolivia, ma qui era diventato “frate mitra”, cioè un guerrigliero. Nel 73 era rientrato in Italia. Dalla Chiesa ha pensato subito: è il mio uomo, il personaggio giusto da infiltrare nelle Brigate rosse. Nel maggio 74 entra in contatto col cap. Pignero, dopo di che Girotto va dal suo compaesano Levati e poi da Lazagna, dicendo che vuole entrare nelle Br.
Un guerrigliero che ha combattuto anche coi tupamaros è allettante. E così il 28 luglio Curcio gli dà appuntamento alla stazione di Pinerolo. Poi assieme a Casaletti se ne vanno in un rifugio in Val Pellice, sotto l’occhio vigile dei carabinieri. Curcio è per accettarlo, ma Moretti e Franceschini sono perplessi: è contro le regole, nelle Br entrano solo compagni cresciuti nelle situazioni di lotta. Un mese dopo nuovo incontro, sempre a Pinerolo, questa volta con Curcio c’è Moretti. E naturalmente i carabinieri. Il frate è convincente, anche Moretti dà l’ok. La maggior parte dei brigatisti non ha grande pratica di armi, Girotto si offre come istruttore, un ruolo che gli avrebbe consentito di incontrare quasi tutti i brigatisti.
Il 7 settembre, in una casa di Parma, si trovano Curcio, Franceschini e Moretti, il vertice delle Br. Si deve decidere la data della Direzione strategica, che deve eleggere il nuovo Esecutivo. Franceschini chiede a Moretti di non farne più parte. Dallo scontro avuto sulla sorte di Sossi, Moretti è uscito perdente ed è giusto che si faccia da parte. Lui accetta.
Curcio li informa che il giorno seguente incontrerà Girotto per l’ok finale. Moretti riparte per Milano. Franceschini e Curcio, che stanno esaminando le carte sottratte a Sogno, decidono di andare assieme all’incontro con frate Mitra, così da continuare poi l’esame dei documenti, che si stanno rivelando molto interessanti. La sera stessa partono per Torino.
Il giorno dopo incontrano Girotto alla stazione di Pinerolo. Pochi minuti, perchè ci sono facce strane in giro, Curcio si insospettisce e i due si allontanano in fretta. Ma la loro auto, a un passaggio a livello, viene bloccata dai carabinieri e i due fondatori e capi delle Br sono catturati. Colpo grosso per Dalla Chiesa, un duro colpo per le Br.
Curcio e poi anche Franceschini si dichiarano prigionieri politici. Inaugurando così un rito, ma anche una scelta politica precisa: quella di non difendersi, ma di ammettere subito l’appartenenza alle Br, proclamandosi prigionieri di guerra.
Sui tempi dell’operazione sono stati sollevati dubbi. Si poteva aspettare che Girotto entrasse nelle Br e così arrestare piu gente prima di “bruciarlo”. Ma pare che Dalla Chiesa abbia ceduto alle pressioni del governo, che vuole offrire all’opinione pubblica dei risultati, dopo la smacco di Sossi.

Curcio al volante, Franceschini bloccato dai carabinieri
Una cattura che però poteva essere evitata. Due giorni prima, a casa di Levati, che era una specie di ufficio di contatto con le Br, era arrivata una strana telefonata. Un uomo, presentatosi come maresciallo dei carabinieri, aveva avvertito che l’incontro di domenica con Girotto era una trappola. Levati il giorno dopo parte per Milano alla ricerca di Moretti, ma non lo trova. Sparge la voce che ha bisogno di parlargli al più presto. Ma riesce a parlargli solo sabato pomeriggio. Moretti, assieme a Casaletti, ritorna a Parma, ma Curcio e Franceschini sono già partiti. Non sanno dove abiti a Torino Curcio, allora la mattina dopo partono per Pinerolo, ma non riescono a intercettare i due e arrivano alla stazione quando l’arresto è già avvenuto.
I sospetti su Moretti
E’ un altro episodio che alimenta i sospetti su Moretti. E’ soprattutto Franceschini a sollevare dubbi sul fatto che il compagno-rivale non sia riuscito ad avvertirli. Non era facile, ma qualcosa poteva inventarsi, ad esempio far scattare un qualche allarme davanti alla stazione invece di arrivarci in ritardo. Il sospetto di Franceschini è che a Moretti non dispiaccia poi tanto se i due escono di scena, perchè sarebbe divenuto lui il capo delle Br.
Ad alimentare l’ostilità di Franceschini verso Moretti pare ci sia anche una questione molto personale, un flirt tra quest’ultimo e la Cagol, che aveva fatto infuriare Franceschini, anch’esso innamorato della moglie di Curcio, ma che mai si sarebbe permesso… da bravo compagno. Ma forse sono solo dicerie.
Il 22 settembre si tiene la Direzione strategica e Moretti non si dimette, come promesso, e di fatto diviene il capo delle Br. L’unico altro leader rimasto è la Cagol, che entra nell’esecutivo assieme a Semeria, ma non sarà per molto.
I sospetti su Moretti troveranno alimento da un’altra stranezza. Tutti gli incontri con frate Mitra sono stati fotografati, lo confermerà anche Dalla Chiesa, ma non si troverà nessuna foto dove compaia Moretti, sparite. Sembra che, nell’ombra, ci sia qualcuno che lo protegge. E’ solo un sospetto, non c’è nessuna prova, ma certo è strano che Moretti esca sempre indenne, prima da via Boiardo ora dalla vicenda Girotto. E sarà così ancora per molto. Se è stato fotografato, non è difficile scoprire la sua identità. Invece sarà indicato come soggetto ignoto. Il primo mandato di cattura arriverà solo dopo altri quattro anni.
Chi protegge le Br?
Ma chi è stato a telefonare a Levati? Non si è mai saputo. Un numero ristretto di persone sapeva dell’operazione. Di certo qualcuno in alto a cui fa comodo che le Br esistano. Forse un comandante dell’Arma ostile a Dalla Chiesa. Il gen Palumbo ad esempio, uomo capace di tutto, basti pensare che fu l’ispiratore del sequestro e della violenza a Franca Rame da parte dei fascisti. Oppure, ancora una volta, i servizi israeliani che vegliano sulle Br. Oppure è stato il buon D’Amato, che pure lui veglia sulle Br.
Non è una fantasia: il Pm Muschetta al processo di Torino dirà infatti che le Br avevano un informatore all’Ufficio Affari Riservati. Ad averlo rivelato è lo stesso Girotto che, al processo, affermerà che Curcio aveva saputo da fonte sicura del ministero degli Interni che i carabinieri, durante il sequestro Sossi, avevano avuto l’ordine di uccidere tutti, compreso il magistrato. Il riferimento è al piano preparato da Miceli.
Ultimo dettaglio: le carte di Sogno, dove comparivano tutti i nomi dei golpisti, che erano nell’auto di Curcio, spariscono e non salteranno mai più fuori. E non saranno le sole carte che i carabinieri faranno sparire.
Robbiano di Mediglia

Roberto Ognibene
Di lì a pochi giorni, in una base nel torinese viene trovata la convocazione di una riunione di condominio inviata a un condomino di uno stabile a Robbiano di Mediglia. I carabinieri entrano nell’appartamento e scoprono uno dei più importanti covi delle Br. Oltre ad armi, c’è un vero e proprio archivio. Questa volta, al contrario di via Boiardo, si installano nell’appartamento e aspettano.
Dopo tre giorni, il 14 ottobre, un giovane entra e viene arrestato, è Pietro Bassi. Verso sera ne arriva un altro ed anche lui è arrestato, è Pietro Bertolazzi. Entrambi sono armati. Alle 3 del mattino arriva Roberto Ognibene, che però si accorge dei carabinieri e fugge per le scale. Il maresciallo Maritano, 55 anni, che era voluto rimanere anche oltre il suo turno, lo insegue, il brigatista spara, il carabiniere risponde al fuoco. Entrambi cadono, uno accanto all’altro. Il maresciallo muore poco dopo, Ognibene se la cava. E’ la prima vittima tra le forze dell’ordine e il terzo morto che Ognibene lascia dietro di sè. Ma è anche un altro grosso colpo del nucleo di Dalla Chiesa, che oltre agli arresti, grazie ai documenti trovati ora sa quasi tutto di come è strutturata l’organizzazione brigatista.
Fioccano gli arresti
Il 5 novembre una pattuglia della polizia nota una coppia con fare sospetto davanti a un ufficio postale di Pavia. Chiede i documenti, ma uno dei due estrae una pistola, è Alfredo Buonavita. Due poliziotti lo bloccano, mentre il terzo tiene sotto tiro il secondo uomo, che resta immobile, è Prospero Gallinari.
Il 28 novembre viene arrestato anche Valerio De Ponti, operaio 21enne. In una base è stato trovato un saldatore con inciso il suo nome.
Nel giro di poche settimane, il nucleo storico è dimezzato.
Fuoco ed espropri
L’anarco-luddismo di Rosso si trasforma in fuoco la notte del 6 ottobre. In una riunione coi capi si decide l’obiettivo: la Face Standard di Fizzonasco. Vanno in una decina. Oreste Strano al comando e poi Cavallina, Serafini, Fioroni, Caterina e Silvana Marelli, Bruno Valli e altri due venuti da Bologna. Non danno fuoco alle linee di montaggio, cosa che avrebbe lasciato senza lavoro gli operai, ma al magazzino. I danni sono ingentissimi.
Ai ragazzini delle scuole l’incarico di distribuire i volantini di rivendicazione: <… all’attacco contro la classe operaia… si risponde con una nuova forma di lotta – il fucile – e nuove forme di organizzazione»
Bruno Valli è un varesino, ha 26 anni, figlio di un muratore, fa l’elettricista. E’ da qualche mese che, assieme a Rocco Ricciardi, che fa il postino, e qualche altro, va a sparare in una miniera abbandonata. Ha acquisito fama di buon tiratore e non vede l’ora di sparare davvero. Per ora ha ucciso solo un cane che era a guardia di un deposito dal quale, assieme ai suoi amici, è andato a rubare esplosivo.
Ma a luglio è arrivato il battesimo del fuoco vero e il primo morto. Durante una rapina viene uccisa una guardia, nonostante fosse ormai disarmata. Con lui ci sono Ricciardi, Zanetti e un altro, tutti di Varese. Il delitto viene archiviato come opera della malavita.
Oltre al sabotaggio, la riappropriazione della ricchezza è l’altro pilastro del programma politico di Rosso, che ha deciso di organizzare per il 19 novembre la prima grande spesa proletaria a Milano. Ha proposto di partecipare anche a LC e Avanguardia operaia, che però hanno rifiutato.
Obiettivo due supermercati. Una cinquantina di giovani entrano alla Esselunga di Quarto Oggiaro, bloccano le casse, staccano i telefoni, si impossessano del microfono e annunciano che da quel momento la spesa è gratis, poi se ne vanno coi carrelli pieni, anche diversi cittadini ne approfittano. Tra i 50 in azione non ci sono molti proletari. Più o meno la stessa cosa accade in un altro supermercato di Milano.
LC e Sesto San Giovanni
Alcune frange di LC sono sempre più attratte dal salto nell’affascinante mondo della lotta armata, della violenza come identità politica. La divaricazione con i vertici che hanno invece compiuto una scelta opposta è ormai insanabile. Soprattutto a Sesto San Giovanni, dove il grosso della sezione, che ha una forte presenza nelle fabbriche della Stalingrado d’Italia, è su queste posizioni. Un paio son già passati alle Br.
Il 28 ottobre in tre si presentano alla Cisnal di Sesto, due sono armati. Legano l’impiegato e rubano gli schedari. Ma lo hanno legato male, lui si libera e spara sull’auto in fuga. I tre, che si firmano Volante Rossa, sono Enrico Galmozzi, Massimo Libardi e Sergio Segio, del servizio d’ordine di LC.
Il primo ha 23 anni, dopo la scuola ha scelto di fare l’operaio alla Breda. Il secondo, 21 anni, è il teorico del gruppo. Il terzo, figlio di un partigiano comunista, finito nei lager di Tito, ha solo 19 anni, ma è il più bravo con le armi, bello e dannato.
La convivenza in LC è ormai impossibile. I dirigenti hanno ordinato di cacciare dai cortei chi inneggia alla lotta armata. La sezione viene commissariata, il segretario Roberto Rosso rimosso. I tre se ne vanno da LC assieme ad un altra decina. Tra loro Bruno Laronga, 21 anni famiglia di immigrati pugliesi, entrato in LC quando era studente all’Itis, stessa scuola di Alasia, un gregario, una “creatura di Galmozzi”, ma che diverrà un capo. Oliviero Camagni detto Giap, 19 anni, sta facendo il militare nel genio guastatori e diviene l’esperto di esplosivi del gruppo. Sono il seme insanguinato che produrrà un terribile raccolto di morti.
Poco dopo anche Roberto Rosso e Piero del Giudice, due leader di LC a Milano, se ne vanno, portandosi dietro un centinaio di militanti, soprattutto a Milano, Torino e Firenze. Rosso ha 25 anni, famiglia bene, da ragazzino nella Gioventù studentesca di Don Giussani, molto bravo a scuola, tanto che va a fare matematica alla Normale di Pisa, dove però conosce Sofri e dopo un po’ molla tutto per fare la rivoluzione. Del Giudice invece è un “vecchio”, 34 anni, un’intellettuale a cui non dispiace il comando, lo chiamano “il sergente di ferro”. Diverrà poi docente di storia e letteratura italiana, scrittore, critico e storico dell’arte.
Argelato
A Bologna un buon pezzo di PotOp è passato con Rosso. Un gruppetto di giovani capeggiato da Franco Franciosi, quasi tutti studenti, sono desiderosi di compiere il salto nell’illegalità. Frequentano il circolo “Gatto selvaggio”, nei locali di un ex night club a luci rosse, ritrovo della sinistra più radicale. In tre sono andati a dare una mano a dar fuoco alla Face Standard. Poco dopo in sei rapinano il direttore di un supermercato Coop. Con loro c’è anche una ragazza, Marzia Lelli. Parte del bottino, un paio di milioni, viene consegnato a Milano a Tommei. Ma sono pochi soldi, a Rosso ne servono di più, per finanziare il giornale e la crescita del nucleo armato.

Il corpo del brigadiere Lombardini
Pochi giorni dopo Tommei viene arrestato, perchè il suo nome è stato trovato nel covo Br di Robbiano. Negli stessi giorni viene arrestato anche Strano, durante una perquisizione gli hanno trovato armi in casa. Entrambi saranno rilasciati dopo pochi mesi.
Sono i bolognesi a suggerire una nuova rapina, apparentemente facile. Sone le buste paga di uno zuccherificio di Argelato, una trentina di milioni che un portavalori consegna ogni mese. Ad avere l’idea è stata forse la Lelli, che fa la postina a Castel d’Argile, lì a pochi chilometri.
Franciosi va a Milano a discuterne con Negri, Pancino, Serafini, Valli. Viene dato l’ok e a Bologna vengono mandati Serafini e Valli, con un mitra Sten e altre armi. Due più affidabili, perchè i bolognesi hanno entusiasmo, ma sono inesperti.
La mattina del 5 dicembre arriva una misteriosa telefonata ai carabinieri di Castello d’Argile: c’è un pulmino sospetto vicino al cimitero di Argelato, nella pianura nebbiosa tra Bologna e Ferrara. Il brigadiere Andrea Lombardini, nonostante sia il suo giorno di riposo, va sul posto assieme a un altro milite. A bordo del pulmino ci sono tre ragazzi, Lombardini chiede i documenti. La risposta è una raffica di Sten sparata da un ragazzo di 22 anni, che lo colpisce in pieno petto. Una reazione assurda. L’altro carabiniere spara, i tre gridano che si arrendono. Scendono, si avvicinano. Il militare, che è un ragazzino di 20 anni, ha un attimo di indecisione, il suo superiore è a terra morto. I tre gli balzano addosso, lo disarmano e lo stanno per uccidere, ma la pistola si inceppa. Allora lo colpiscono col calcio dell’arma e fuggono con l’auto dei carabinieri.
La rapina è fallita, gli altri che aspettavano su due auto si danno anche loro alla fuga. Scatta l’allarme, nel giro di qualche ora Valli e altri due vengono arrestati mentre vagano infreddoliti nella bassa. Gli altri riescono a raggiungere Milano. Marzia Lelli invece sparisce, non ricomparirà mai più, ma continuerà a sparare. 35 anni dopo tornerà a Lizzano in Belvedere, dov’era nata, dentro un urna cineraria.

Bruno Valli
Il giorno dopo Negri convoca Caterina e Borromeo, quelli con la faccia pulita. Spiega loro che ci sono quattro ragazzi di Bologna che hanno qualche problema e che bisogna portarli a Luino. Che qui ci sono altri compagni che li accompagneranno di là dal confine. Ma la cosa non è organizzata bene, perchè appena in Svizzera vengono arrestati tutti.
L’azione non viene rivendicata, i sei vengono di fatto abbandonati al loro destino. Tra l’altro erano stati ingannati, dicendo loro che la rapina era stata concordata con le Br, in vista di un’unificazione. Tanto che, quando anni dopo Negri sarà arrestato e mandato a Palmi, dove stanno anche i ragazzi di Bologna, saranno i brigatisti a doverlo proteggere dalla vendetta. <Abbiamo dovuto togliergli Negri dalle mani – racconta Buonavita – per evitare che si facessero giustizia>.
Perchè il professore, che con Fioroni aveva commentato: <siamo stati così sfortunati che è rimasto per terra vivo un testimone perchè la pistola si è inceppata>, manda i ragazzi a fare le rapine, ma lui non si sporca mai le mani e, anzi, nega anche di conoscerli. Il 9 dicembre Bruno Valli si impicca nel carcere di Modena, dopo aver disegnato un cuore con il nome Luisa e scritto “Libertà o morte”. Sarà il primo di molti altri suicidi. Solo un anno dopo Rosso rivendicherà l’uccisione di Lombardini. “E’ roba nostra“.
Sequestro fallito
Fallita la rapina, pochi giorni dopo fallirà anche un sequestro di persona. Pancino e Monferdin mettono a punto il piano. L’obiettivo è l’industriale Vittorio Duina, la prigione sarà a Padova nell’azienda di elettronica di un compagno. Pancino ha fornito un flacone di toluolo per narcotizzarlo. Casirati e i suoi amici saranno gli esecutori. L’auto di Duina viene tamponata, un’altra auto gli chiude la strada, ma lui con un paio di manovre riesce a sfuggire.
g.g.
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