Purtroppo non  siamo in possesso di nessun manoscritto di Dante e spesso i titoli delle opere antiche cambiano nel tempo. La Divina Commedia ebbe un grande successo ancor prima che Dante la completasse e cominciò a circolare in  moltissime copie manoscritte. Ma con quale titolo?   Sappiamo per certo soltanto che fu Boccaccio a definirla divina, nel Trattatello in laude di Dante, scritto fra il 1357 e il 1362. Ma è nella prestigiosa edizione a stampa di Ludovico Dolce del 1555, che il poema di Dante è intitolato per la prima volta “La Divina Comedia”.

Se l’aggettivo divina allude all’eccezionalità e all’eccellenza del testo, perché chiamare commedia un poema? E’ lo stesso Dante che per due volte la definisce così all’interno dell’opera: in Inferno XVI 128 «questa comedìa» e in Inferno XXI 2 «la mia comedìa», quindi sempre con l’accento alla greca sulla i e con una sola m.  Ed è lo stesso Dante a spiegare la scelta di questa definizione in un’epistola al signore di Verona Cangrande della Scala, suo massimo protettore durante l’esilio, nella quale gli dedica , come regaluccio per sdebitarsi dell’eccellente accoglienza ricevuta, il  Paradiso :

< pertanto, dal momento che i principi morali insegnano che ricambiare significa conservare l’amicizia, vorrei seguire questo assunto ricambiando i benefici ricevuti più d’una volta. Per cui sovente ho esaminato i miei regalucci e li ho differenziati e poi vagliati, alla ricerca del più degno e gradito a voi. E non ne ho trovato uno adeguato alla vostra eccellenza più di quella sublime Cantica della Commedia che si intitola Paradiso..>

L’autenticità dell’epistola è discussa da molti studiosi, ma se si trattasse di un falso sarebbe un vero peccato, perché, proprio in questo testo, Dante chiarisce molti punti essenziali per l’interpretazione del suo poema fra cui, appunto, la scelta di definirla una comedia o, come diciamo noi, una commedia.

< Il titolo del libro è “Inizia la Commedia di Dante Alighieri, fiorentino di nascita, non di costumi”. A chiarimento di ciò dobbiamo sapere che commedia deriva da “comos”, “villaggio”, e “oda”, cioè “canto”: da qui commedia quasi “canto villereccio”. La commedia è un genere di narrazione poetica che differisce da tutti gli altri. Differisce dalla tragedia riguardo al contenuto: infatti la tragedia all’inizio suscita un sentimento di quieta ammirazione, ma nella conclusione è rivoltante e terrificante; è definita così perché deriva da “tragos”, che è il “capro” e “oda”, come se si trattasse di un “canto del capro”, ossia disgustoso e maleodorante appunto come un capro, come appare evidente nelle tragedie di Seneca. La commedia, poi, propone all’inizio le difficoltà di un evento, ma lo sviluppo di questo approda a un esito felice, come nelle commedie di Terenzio…. >

Dopo aver preso le distanze dai costumi corrotti di Firenze, Dante spiega la scelta del titolo: al contrario della tragedia, che ha una conclusione orribile e tetra, la commedia narra invece una vicenda che inizia con delle difficoltà, ma che si conclude felicemente. Il titolo è quindi perfetto per  un’opera che comincia nella terribile selva oscura e si conclude in Paradiso, al cospetto di Dio.

Ma l’uso del termine commedia non riguarda solo il contenuto, ma anche lo stile. E per uno scrittore come Dante, che si considera e si dichiara esplicitamente il continuatore della grande tradizione latina, discepolo fedele di Virgilio, definire commedia un’opera che, soprattutto nel Paradiso, è così stilisticamente elevata rappresenta un problema. Per gli scrittori classici, infatti, ad ogni genere doveva corrispondere uno stile, e  lo stile della commedia è per definizione comico, cioè basso e quotidiano. Ma qui gli viene in soccorso Orazio, considerato qui non come grande poeta, ma come teorico della letteratura.

<Allo stesso modo i due generi differiscono nell’espressione: alata e sublime è la tragedia, dimessa e umile la commedia, come afferma Orazio nella sua “Arte poetica”, dove consente talvolta ai comici di esprimersi come i tragici e viceversa:

“Talvolta, però, anche la commedia solleva lo stile,e Cremete, irato, disputa con ampolloso linguaggio;e spesso si dolgono con parole dimesse i tragici Telefo e Peleo…”

E per questo appare chiara la ragione per cui quest’opera si intitola Commedia. Infatti, se guardiamo al contenuto, inizialmente orribile e ripugnante, poiché descrive l’Inferno, alla fine appare positiva, desiderabile e gradevole, perché illustra il Paradiso; quanto all’espressione, viene impiegato un linguaggio misurato e umile, in quanto usa la lingua volgare in cui si esprimono le donnette.>

La citazione di Orazio serve quindi a  giustificare, nell’ambito di un’opera definita commedia,  uno stile che, se nell’Inferno può anche essere , secondo i canoni medievali, dimesso e umile, perché non fa grande uso di figure retoriche e usa parole basse e quotidiane, nel Paradiso raggiunge livelli di eccezionale raffinatezza . E poi non dimentichiamo che, per un poeta dell’epoca di Dante, un’opera veramente elevata, come dovrebbe essere una tragedia, non può essere scritta con la lingua volgare in cui si esprimono le donnette, ma in latino.

E’ anche vero, però, che lo stesso Dante, nel XXV canto del Paradiso afferma

( Paradiso, XXV, 1-3)

Se mai continga che ‘l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
sì che m’ha fatto per molti anni macro,….

Quindi l’ opera che lo ha fatto dimagrire per tanti anni per lo sforzo profuso sarebbe un poema sacro alla cui stesura ha contribuito, come per i testi sacri, Dio stesso. Altro che una commedia !