Una grande e complessa macchina narrativa, nella quale niente è come sembra, che ha per vero soggetto la vera essenza della scrittura: la possibilità di creare un mondo, totalmente autosufficiente, nel quale valgono apparentemente le regole del nostro (Dicker non è uno scrittore fantasy), portate però ad un estremo punto di tensione,  nel quale giocare con i personaggi come burattini in un teatro dei pupi.

Non a caso i protagonisti sono lo scrittore stesso, il suo editore da poco scomparso e un attore, figlio d’arte, che assume per l’occasione le sembianze di un banchiere svizzero.

Lo scrittore, dopo la scomparsa del suo editore , decide di trascorrere un periodo di vacanza a Verbier, villaggio alpino del Vallese, in un lussuoso hotel. Qui comincia ad indagare, spinto soprattutto dalla curiosità di un’ affascinante ospite dell’hotel, che si propone come sua aiutante , sull’ enigma della camera 622, che non esiste. Infatti la numerazione delle suite del sesto piano  passa dalla 621 alla 623, tra le quali si trova  una improbabile 621 bis.

Non sarà difficile scoprire che il numero è stato soppresso perché, in quella camera, quindici anni prima, è avvenuto un assassinio, di cui la polizia non ha ancora trovato il colpevole.  Ma chi è stato ucciso? Il lettore lo scoprirà solo dopo aver letto più della metà del romanzo, mentre per arrivare a conoscere il nome dell’assassino dovrà arrivare alle ultime righe. In mezzo una trama molto complessa, piena di spostamenti nel tempo e nello spazio e di colpi di scena,  che si addensano soprattutto nella parte conclusiva, e che Dicker padroneggia con grande maestria: la vicenda è al limite del credibile, eppure tutto tiene . Se il paragone non fosse troppo corrivo e banale, data la nazionalità dell’autore, si potrebbe paragonare il meccanismo del racconto ad un orologio svizzero.

E’ insomma un libro divertente, ma freddo. I personaggi non hanno nessuno spessore psicologico, sono appunto delle marionette abilmente manovrate (senza però che traspaia una riflessione filosofica sull’ esistenza umana di pirandelliana memoria), delle pedine su una scacchiera che non possono uscire dalle regole del gioco di cui fanno parte. Il lettore è incuriosito, stupito, ma mai emotivamente coinvolto.

Rispetto al famosissimo  La verità sul caso Harry Quebert , che propone anch’ esso la figura dello scrittore come protagonista del romanzo, l’ Enigma della camera 622 è più macchinoso e meno fluido, ma conferma l’abilità inventiva di Dicker.