Diffugere nives, redeunt iam gramina campis

     arboribusque comae;

mutat terra vices et decrescentia ripas

     flumina praetereunt;

Gratia cum Nymphis geminisque sororibus audet              

     ducere nuda choros.

Inmortalia ne speres, monet annus et almum

     quae rapit hora diem.

Frigora mitescunt Zephyris, ver proterit aestas,

     interitura simul              

pomifer autumnus fruges effuderit, et mox

     bruma recurrit iners.

Damna tamen celeres reparant caelestia lunae:

     nos ubi decidimus

quo pater Aeneas, quo dives Tullus et Ancus,              

     puluis et umbra sumus.

Quis scit an adiciant hodiernae crastina summae

     tempora di superi?

Cuncta manus avidas fugient heredis, amico

     quae dederis animo.              

Cum semel occideris et de te splendida Minos

     fecerit arbitria,

non, Torquate, genus, non te facundia, non te

     restituet pietas;

infernis neque enim tenebris Diana pudicum               

     liberat Hippolytum,

nec Lethaea valet Theseus abrumpere caro

     vincula Pirithoo.

 

Non è importante sapere chi sia il Torquato a cui Orazio si rivolge, quasi certamente è un amico che il poeta invita a cena con un’altra lirica, certamente come si afferma qui è un nobile, un avvocato importante e una persona moralmente integra. Ma nulla di tutto ciò lo potrà sottrarre al suo destino: come tutti sarà destinato a diventare polvere ed ombra. Ma questa è la conclusione dell’ode che comincia con una scena primaverile traboccante di vita e di gioia. La natura rinasce al soffio dei venti primaverili, Ninfe e Grazie danzano nude nei boschi. Ma non durerà molto, Torquato deve sapere che tutto è destinato a finire, anche in breve. Tra poco arriverà l’estate e schiaccerà sotto i suoi piedi la primavera (proterit). E’ un ciclo inesorabile, destinato a ripetersi eternamente, espresso con la violenza di un altro verbo (rapit, riferito al tempo che ci strappa via la luce del giorno, che alimenta la vita (almum diem). Ma la natura percorre il suo ciclo annuale ritornando sempre al punto di partenza. Vale anche per la luna destinata a riacquistare ciò che sembrava aver perso nel suo viaggio. Noi no. Anche noi apparteniamo alla natura, siamo natura, ma  la natura prevede inesorabilmente che quando il nostro ciclo finirà per noi non ci sarà un nuovo inizio: ci dissolveremo come granelli di polvere sparsi al vento. Nessuno ci potrà richiamare alla vita, dagli Inferi (citati qui in omaggio a una tradizione che prevede che Minosse giudichi le anime dei defunti, richiamata anche da Dante nell’Inferno), non esce nessuno, neppure se una dea o un eroe come Teseo lo volessero.
Torquato non sarà salvato dalla nobiltà d’animo o di stirpe, né dalla sua facondia. Così come non sono stati risparmiati Enea e grandi re come il ricco Tullo Ostilio e il virtuoso Anco Marzio.
E allora l’invito è lo stesso che Orazio rivolge a Leuconoe e a Postumo: godersi la vita, concedere a noi stessi, che siamo i nostri migliori amici, tutto ciò che ci dà gioia e che non ha senso lasciare all’avidità degli eredi.

Traduzione: La neve si è disciolta, ritornano le foglie sugli alberi e il verde nei campi, la terra cambia aspetto, seguendo il suo ciclo, i fiumi, con meno acqua, scorrono lungo le rive.  la Grazia con le Ninfe e le sue sorelle gemelle osa condurre nuda le danze.Lo scorrere del tempo, che ci strappa via il giorno, che dà la vita, ti ammonisce a non riporre le tue speranze in cose immortali.
Il freddo è mitigato dai venti primaverili (Zephyris), ma l’estate calpesta e schiaccia la primavera, estate destinata anch’essa a morire, appena l’autunno riverserà nelle nostre mani i suoi frutti con abbondanza, e subito ritorna il morto inverno.
Tuttavia le lune rapidamente riparano i danni che subiscono in cielo, calando e oscurandosi,  noi quando siamo caduti dalla terra nel luogo dove sono andati il padre Enea e i re Tullo Ostilio e Anco Marzio, siamo soltanto cenere ed ombra. Chissà se gli dei aggiungeranno un domani al totale dei nostri giorni?
Tutto ciò che avrai concesso al tuo animo, perché ne godesse, sfuggirà alle mani avide dell’erede.
Quando, una volta per tutte, Torquato, sarai morto, e Minosse avrà pronunciato la sua sentenza su di te, per  quanto essa sia splendida, non ti riporterà in vita né la tua nobile stirpe, né  l’ abilità nel parlare, né la tua fede. Neppure La dea Diana può sottrarre alle tenebre il suo devoto Ippolito, né Teseo può spezzare le catene infernali del suo amico Pirotoo.